Lo scrittore Etgar Keret: ‘I fondamentalisti vogliono il genocidio. E lui li ha sostenuti per un tornaconto politico. L’immaginazione ci salverà’
Etgar Keret, scrittore e intellettuale israeliano che ha fatto dell’ironia il suo tratto distintivo raccontando con una profonda leggerezza la vita nell’angolo più esplosivo del Medio Oriente, resta fedele a sé stesso quando lo contatto per un’intervista: “Sono libero nelle prossime tre ore, sempre che non venga prima colpito da un missile”. Mentre parliamo gli ricordo l’incipit di un suo libro, “All’improvviso bussano alla porta”, il cui titolo oggi suona profetico e sinistro, ma che invece contiene, in poche righe, tante verità su Israele e sul conflitto israelo-palestinese.
L’incipit è questo: “Raccontami una storia”, mi ordina l’uomo barbuto seduto sul divano del mio soggiorno. La situazione, devo ammettere, è tutt’altro che piacevole. Io le storie le scrivo e non le racconto, e non lo faccio su richiesta. L’ultimo che mi ha chiesto di raccontargli una storia è stato mio figlio. Un anno fa. Gli ho raccontato qualcosa di una fata e di un furetto, non ricordo nemmeno bene, e dopo due minuti lui dormiva. Ma qui la situazione è completamente diversa. Perché mio figlio non ha la barba né una pistola. Perché mio figlio mi ha chiesto una storia con garbo, e quest’uomo sta tentando di estorcermela. Cerco di spiegare al barbuto che se mette via la pistola sarà solo per il suo bene. Per il nostro bene. È difficile pensare a una storia con la canna di un revolver carico puntata alla testa. Ma il tizio insiste: “In questo Paese se vuoi qualcosa devi usare la forza”. È appena arrivato dalla Svezia e in Svezia è tutto diverso. Lì, se vuoi qualcosa, lo chiedi educatamente e la maggior parte delle volte lo ottieni. Ma non qui. Basta una settimana da queste parti per capire come funzionano le cose. O meglio, come non funzionano. I palestinesi hanno chiesto educatamente uno Stato. Lo hanno ottenuto? Col cavolo. Allora sono passati a far saltare in aria i bambini sugli autobus e la gente ha cominciato ad ascoltarli. I coloni volevano un dialogo. Qualcuno gli ha dato retta? Nessuno. Allora hanno cominciato a menar botte, a versare olio bollente sulle guardie di frontiera, all’improvviso la gente presta loro ascolto. In questo Paese capiamo il linguaggio della violenza e non importa che si parli di politica, di economia o di un parcheggio. La forza bruta è l’unico linguaggio che capiamo.
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I razzi nel cielo di Israele
All’inizio l’ho vissuta come una routine. Non è la prima volta che suona la sirena mentre sono a letto. Con mia moglie siamo anche andati a prenderci un caffè pensando che non fosse niente di diverso dal solito, ma poi abbiamo sentito le notizie che arrivavano dai kibbutz, dai valichi di frontiera e abbiamo capito che era in atto una escalation. Ti immagini una cosa e poi ad ogni notizia peggiora, peggiora e peggiora ancora…
Che qualcuno sta giocando con le volontà della gente di Israele e di Gaza. Siamo avvolti da un senso di impotenza e disperazione, perché per tutto il giorno non abbiamo sentito altro che di terroristi che entravano nelle case, buttavano giù le porte, ammazzavano. Otto ore passate così. Ci aspettavamo che qualcuno del governo comparisse in tv e ci dicesse qualcosa, invece Netanyahu ci ha messo cinque ore prima di farsi vivo. Intanto la gente moriva. Quando è comparso aveva un bel trucco ed era tutto pettinato bene, però quel che ha detto e come lo ha detto ha solo mostrato l’incompetenza del governo.
Hanno richiamato d’urgenza i soldati per farli salire sui treni, ma era un giorno di vacanza, e alle 9 di mattina i treni non c’erano. Il ministro dei Trasporti si trovava in Messico e i soldati hanno protestato. Il primo treno è partito alle 5 di pomeriggio, tutto questo mentre la gente veniva uccisa. C’è chi ha aspettato otto ore il treno oppure si è organizzato con le auto private per muoversi. Intanto da Netanyahu e dal suo partito arrivavano solo frasi come “questa guerra c’è per colpa della sinistra, che è un cancro per la nostra società”. I ministri nel frattempo sono spariti per due giorni.
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Distruzione a Gaza
Non sono un esperto, ma ben tre persone ben informate e non legate tra loro mi hanno detto che i due terzi delle truppe israeliane erano in Giudea e nelle colonie. I coloni sono alla base del consenso di questo governo e con quel modo di agire pensavano di tutelare chi garantisce loro il potere. Nei kibbutz invece, molto spesso ci sono persone che contestano il governo. Abbiamo visto il risultato. Sì, questo governo è ostaggio dell’ultradestra.
Voglio essere chiaro: i palestinesi non sono Hamas e gli israeliani non sono Netanyahu, ma il fondamentalismo ha un ruolo preponderante nel conflitto. Combattere qui non è come combattere in Ucraina, dove per colpa dei russi gli ucraini rischiano di perdere la propria terra. Qui è diverso: quando combatti contro Hamas, Hezbollah e l’Iran quel che senti è che il tuo nemico vuole un genocidio, parliamo di gente che vorrebbe letteralmente tagliarti i testicoli e infilarteli in bocca. Qui c’è in ballo molto di più, ovvero l’esistenza stessa di Israele. Ora si parla di governo di unità nazionale come se fosse la soluzione a tutto. Ma a Netanyahu interessa la sua sopravvivenza politica ancor più di quella del suo popolo. Se metti in cima alle priorità del Paese i tuoi processi, come fai a governare bene?
Lui è una versione sofisticata di Donald Trump. Sempre lì a dire bugie, la sua politica è tutta separare e dividere. Dice che l’economia va bene nell’anno in cui i numeri dicono che è in caduta libera. Dice “mi prenderò cura di voi” perché la sicurezza è a rischio, poi si scopre che da quando ha ripreso il potere sono raddoppiati i numeri degli omicidi e degli assalti ai danni degli arabi-israeliani. Ha detto che avrebbe ripreso in mano la politica dei trasporti e la rete dei trasporti è collassata. Quest’uomo porta in palmo di mano ebrei che odiano ebrei ed ebrei che odiano i palestinesi. Io mi sono fatto mettere in alcuni gruppi WhatsApp di destra, giusto per curiosità, sia chiaro, per leggere con i miei occhi cosa scrivono.
La narrazione combacia con quella di certe tv conservatrici, come Fox e Channel 14: e cioè che staremmo perdendo la guerra per colpa del tradimento di una parte dell’esercito che avrebbe permesso i massacri perché vuole rovesciare il governo. Insomma, per loro, se muoiono donne e bambini è per un complotto della sinistra. Invece la gente muore, i parenti cercano i feriti nei Pronto soccorso e quel che si sente rispondere da Netanyahu e dai suoi sono stupidaggini come “se tu vai al supermercato e il supermercato è pieno, possono esserci anche tanti cassieri, ma devi avere pazienza e aspettare”. Ma chi aspetta da 48 ore di sapere che fine ha fatto una moglie o un fratello non è in coda col carrello della spesa, è terrorizzato all’idea che un suo caro sia stato rapito, torturato, bruciato, stuprato o decapitato. Questo è il livello di insensibilità a cui ci stanno abituando.
Certo che no. Centinaia di soldati stanno morendo per salvare il proprio popolo e dobbiamo sentire un ministro ultraortodosso che sparla di loro. Ero un bambino durante la Guerra dello Yom Kippur del 1973, e questi sono tempi peggiori. Però io non ho dubbi sul fatto che alla fine vinceremo. Ciò non toglie che a guidare questo Paese ci sono tanti incompetenti, o peggio. Netanyahu ha messo come ministro della Sicurezza Itamar Ben-Gvir, uno che teneva nel salotto il ritratto di Baruch Goldstein, il terrorista che massacrò 29 palestinesi nella Grotta dei Patriarchi. Ben-Gvir è quello che rubò lo stemma della Cadillac di Rabin quando lui tornò da Oslo dopo aver firmato i famosi accordi di pace. Disse: “Siamo arrivati alla sua auto, arriveremo a lui” (due settimane dopo Rabin fu ucciso da un estremista di destra, ndr). Questo oggi è il ministro della Sicurezza nazionale. Ma supereremo anche questa, la gente di Israele è intelligente, certo ora è spaventata. Ma ci aspettano tempi migliori, persone migliori.
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La piazza contro Netanyahu
Nelle scorse settimane giravo nei kibbutz leggendo libri per bambini, aiuto gli anziani con l’Alzheimer e gli indigenti. Certo, ora potrei essere in Svizzera con te o in Italia a mangiare una gustosa mozzarella, ma mi sentirei dieci volte più miserabile a farlo. Nella mia famiglia, che è sopravvissuta per un pelo all’Olocausto, gira una battuta un po’ scorretta, diciamo che abbiamo i geni delle persone che lasciano le loro case troppo tardi. Ma non lo dirò più. Ma è per dire che cerchiamo di restare, aiutare fino all’ultimo.
Sono un grande ottimista. Se fossimo stati bravi a rispettare l’un l’altro come comunità come siamo bravi a fare la guerra, oggi sarei a ballare sul mio balcone, non a informarmi su dove pioverà il prossimo missile. Sono ottimista su tante cose, ma non su tutte. Nel breve il problema non si risolverà. Ma sappiamo tutti che le idee integraliste di Hamas sostenute dall’Iran non sono quelle dei palestinesi. E che la destra israeliana ha coltivato Hamas per i suoi interessi, per avere un contrappeso alle posizioni dell’Autorità palestinese (Anp). Netanyahu nel 2019 disse che ogni persona contraria alla nascita di uno Stato palestinese avrebbe dovuto aiutare e finanziare Hamas. Per vent’anni Hamas gli ha fatto comodo. Non solo a Netanyahu, ma lui è stato il primo ministro per la maggior parte del tempo. Ministri fondamentalisti come Bezalel Smotrich hanno sostenuto che rafforzare Hamas voleva dire indebolire l’Anp. Oggi nessuno lo direbbe perché nessuno si farebbe vedere a ballare col diavolo, perché qui è come l’11 Settembre. Quando questa guerra finirà ci sarà un riavvio totale del sistema, ci saranno nuovi obiettivi e nuovi partner e magari cambierà finalmente anche la dottrina Netanyahu, anche perché non possiamo rinviare in eterno la creazione di uno Stato palestinese. Ogni due anni, a cadenza regolare, c’è stata un’operazione di forza contro i palestinesi, abbiamo visto che questi bagni di sangue non servono a niente e non portano ad altro che generare nei palestinesi il desiderio di un genocidio.
Viviamo in tempi in cui l’empatia e l’ambiguità sono state gettate fuori dalla finestra. Sui social è molto difficile veicolare emozioni come la disperazione, ma è molto facile veicolare odio. Io da sempre scrivo contro queste visioni della realtà semplicistiche e istintive. Mostrare sostegno o addirittura gioia per operazioni così barbare e per giunta premeditate è da psicopatici. Siamo veramente al livello più basso.
Mio papà mi raccontò che durante la Seconda guerra mondiale rimasero nascosti in una specie di buca sottoterra per 600 giorni. E quando gli chiesi come fece a sopravvivere in quella situazione, a non impazzire, lui mi disse che quando si svegliava immaginava il mondo in cui viveva, ma aggiungeva un dettaglio e passava tutta la giornata con quel piccolo dettaglio: un giorno lo immaginava popolato di ragazze con i capelli rossi, il giorno dopo pensava a una SS che gli regalava del cioccolato. Tutto quello che immagini è una possibilità quando sei in un posto in cui non ci sono possibilità. L’immaginazione prende lo spazio in cui vivi e lo allarga. Le storie sono un promemoria di questo senso di vita che va oltre la mera sopravvivenza. C’è un’esistenza oltre a uccidere e farsi uccidere. Le storie ci danno delle opzioni, ci rendono più umani.
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Lo scrittore Etgar Keret