A indurre la Banca nazionale a prendere una pausa con i tassi sarebbero i timori per la tenuta dell’economia. Ulteriori inasprimenti non sono però esclusi
Che sia Hold’em, Omaha oppure quello classico, poco cambia: una partita a poker è sempre una questione di credibilità. Dopo aver rilanciato diverse volte, il buon giocatore si ferma un attimo e riflette prima di decidere la prossima mossa. In certi casi, prigioniero del proprio gioco, intuisce di non avere in mano le carte giuste ma chiaramente non può ammetterlo. Ritrattare, infatti, non è un’opzione: non solo implicherebbe perdere la mano in corso, vorrebbe anche dire compromettere la propria reputazione e squalificarsi per tutte le mani successive. Il giocatore a questo punto ha davanti a sé due alternative: alzare ulteriormente la scommessa (il cosiddetto raise), sperando che nessuno gli vada dietro; oppure “bussare” (check), cioè lasciare le cose come stanno. La via del rialzo, già intrapresa nelle ronde precedenti senza che abbia portato tutti i benefici sperati, ha determinato, tra l’altro, un aumento dell’esposizione del giocatore: ora a essere in bilico non è più soltanto qualche gettone, ma buona parte del suo patrimonio. Ritrovatosi quindi in una situazione complessa, per il nostro giocatore il ‘check’ diventa il male minore, quasi un obbligo.
Anche il presidente della Banca nazionale svizzera Thomas Jordan ha scelto di “bussare” a questo giro. In effetti la Bns ha deciso ieri di lasciare invariato il tasso guida, dopo cinque sedute consecutive di incrementi. Un tasso di riferimento che attualmente si attesta all’1,75%, cioè in terreno positivo al netto dell’inflazione, che ad agosto ha segnato un più 1,6 per cento.
A indurre la Bns a prendersi una pausa, senza che sia però escluso un ulteriore inasprimento della politica monetaria a medio termine, sarebbero più che altro i timori per la tenuta dell’economia svizzera, stagnante nel secondo trimestre, e con in previsione una crescita piuttosto esigua nella seconda metà dell’anno. In effetti le condizioni di finanziamento più restrittive si annoverano tra le cause elencate da Jordan per spiegare la frenata. In prospettiva, ha aggiunto il presidente della Bns, si intravedono i rischi di un minor utilizzo delle capacità produttive e un conseguente aumento, seppur lieve, della disoccupazione. Conseguenze che possono tranquillamente essere considerate “effetti collaterali” della scelta, effettuata un anno fa, di combattere l’inflazione puntando sul rafforzamento del franco (attraverso il rialzo dei tassi) per attenuare l’impatto del rincaro dei beni e i servizi importati. Jordan ha inoltre ammesso che la Bns dispone di un altro “asso nella manica”: l’intervento sui mercati dei cambi, dove attualmente sono le vendite di valuta estera ad avere la preminenza.
Anche se la Banca nazionale cerca ora di far passare il messaggio che il suo gesto mira a favorire la crescita economica, resta un dubbio: se questo fosse davvero l’obiettivo, la partita avrebbe potuto essere giocata in tutt’altro modo. Sin dall’inizio.