L'intervista di Blocher al nostro giornale conferma l'unità sul piano federale, ma su quello cantonale gli obiettivi comuni non basteranno in eterno
Per l’alleanza tra Lega e Udc la campagna elettorale in vista delle elezioni federali del 22 ottobre arriva al momento giusto. Quale occasione migliore, infatti, di mostrarsi compatti, uniti, con gli stessi obiettivi e parlando la stessa lingua quando, non più tardi della scorsa primavera, si è consumata una battaglia vera e propria tra attacchi democentristi a un seggio leghista in Consiglio di Stato, il ‘siamo alle pistolettate’ con cui Boris Bignasca espresse tutta la sua ‘simpatia’ verso i compagni di avventura e tanti, troppi mal di pancia interni da ambo le parti.
Nell’intervista concessa in esclusiva a ‘laRegione’ nell’edizione odierna, Christoph Blocher si mostra il politico navigato e scafato qual è. A precisa domanda sui rapporti con la Lega, la risposta è stata che sono alleati e che i veri avversari sono gli altri partiti. Banale finché si vuole, ma è così. Se si guarda solo l’aspetto delle elezioni federali, però. Dove su tutti i temi in campo – dall’immigrazione al clima, dalla neutralità ai rapporti con l’Unione europea – l’intesa è granitica. Il punto è un altro, ed è tutto ticinese: questa alleanza a volte è un gigante forte, per carità, ma con i piedi potenzialmente d’argilla. Argilla ticinese.
La comunione d’intenti sotto la Cupola federale nasconde infatti situazioni che in Ticino, se i due partiti prima o poi non affronteranno, rischieranno di essere talmente ingestibili da non venir risolte con una pacca sulla spalla e un sorriso. La Lega è in calo costante, sia di consensi sia di deputati in Gran Consiglio, mentre l’Udc è in parabola ascendente ormai da tempo. Viene davvero da chiedersi fino a quando farà la portatrice d’acqua – e di consiglieri di Stato, Claudio Zali senza la lista unica con l’Udc difficilmente sarebbe stato riconfermato – e accetterà di essere socia di minoranza senza cercare, sul serio, se non il sorpasso un avvicinamento che, a oggi, parrebbe nelle sue possibilità.
Certo, la ricandidatura di Marco Chiesa al Consiglio degli Stati gode anche del sostegno della Lega. Sulla carta. Per questo è più che comprensibile come l’Udc ripeta spesso che la riconferma di Chiesa è tutto tranne che scontata e che andrà sostenuto fino all’ultimo voto. L’elettorato leghista, quello gagliardo e ‘delle origini’, quello senza giacca e cravatta insomma, avrà digerito l’attacco di Piero Marchesi al posto di Zali? Sarà sufficiente dire, ed è eufemisticamente incontestabile, che Chiesa continuerebbe le battaglie sull’asilo, l’immigrazione e la sovranità nazionale?
Indipendentemente da come andranno in Ticino, le prossime elezioni federali confermeranno che l’Udc è il primo partito, per distacco, in Svizzera. In questa fase storica così delicata, sia a livello internazionale sia a livello nazionale – con i rincari dei premi di cassa malati e del prezzo dell’energia, e con un potere d’acquisto sempre più eroso – i democentristi dovrebbero fare un passo verso le loro responsabilità istituzionali, magari riallacciando i rapporti col fronte borghese, e smettere di usare dei modi che in alcune occasioni sono parsi eccessivamente muscolari. Adesso il vento è in poppa. Ma avere due seggi in governo e fare opposizione continua nella società, e a volte in parlamento, è pagante fino a un certo punto. Citofonare in via Monte Boglia.