laR+ IL COMMENTO

E un giorno scoprimmo la ‘greedflation’

Dell'inflazione da avidità ne parlano l'Fmi e la Bce, che mettono in allerta la politica dal pericolo di una spirale profitti-prezzi

In sintesi:
  • La questione della greedflation è oggetto di dibattito tra gli economisti, e non solo tra i soliti ‘dissidenti’
  • Ci si chiede se la strategia adottata dalle banche centrali sia davvero efficace oppure controproducente
  • A beneficiare del rapido aumento dei tassi d’interesse è il settore bancario
Lo stesso carrello, altre cifre
(Ti-Press)
20 luglio 2023
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Si chiama ‘greedflation’, inflazione da avidità. Un fenomeno che potrebbe aiutarci a capire come mai, mentre i principali indicatori segnano una certa attenuazione dei rincari, i prezzi di alcuni prodotti – gli alimenti, per esempio – continuano ad aumentare. La questione della greedflation è oggetto di dibattito tra gli economisti, e non solo tra i soliti “dissidenti” come Stiglitz, Varoufakis o il nostro Sergio Rossi. In un recente rapporto, il Fondo monetario internazionale stima che circa la metà dell’inflazione in Europa sia dovuta alla crescita dei profitti aziendali. Fabio Panetta, membro del comitato esecutivo della Bce, ha invece allertato la politica in merito al pericolo di una spirale profitti-prezzi: “Ci sono settori in cui i costi dei fattori produttivi stanno scendendo, mentre i prezzi al dettaglio stanno aumentando e anche i profitti aumentano. Questo è sufficiente per preoccuparsi, come banchiere centrale, che ci possa essere un aumento dell’inflazione dovuto all’aumento dei profitti”. In effetti, secondo i dati di Refinitiv, il tasso di profitto delle imprese – ossia il rapporto tra l’utile netto e il totale del fatturato – ha superato abbondantemente l’8%. Prima della pandemia il margine medio si situava attorno al 7%. Qualcosa di analogo era pure accaduto l’anno scorso negli Stati Uniti, dove le aziende hanno registrato ampi margini di profitto nonostante l’inflazione più alta degli ultimi quattro decenni.

Ci si domanda, quindi, come sia possibile che le imprese possano aumentare i prezzi in modo così sproporzionato rispetto all’incremento dei costi di produzione; per quale motivo la ‘mano invisibile’ di Adam Smith non riesce a riportare tutti verso una situazione di equilibrio? Risponde Panetta: certe aziende hanno un tale potere di mercato che consente loro di aumentare i prezzi senza subire una perdita di domanda. Ecco il tranello.

A questo punto risulta legittimo chiedersi se la strategia adottata dalle principali banche centrali per moderare le aspettative inflazionistiche, cioè il rialzo del tasso guida della politica monetaria, strategia che mira anche a disciplinare i vari attori economici rendendo più costoso il credito e più redditizio il risparmio, sia davvero efficace oppure, addirittura, controproducente. Alcuni osservatori sostengono, infatti, che esiste un certo rischio di innescare un circolo vizioso: salgono i tassi, i finanziamenti diventano più onerosi (i mutui per le famiglie, i prestiti per le aziende) e le imprese reagiscono alzando i prezzi per conservare i margini di profitto. Tutto questo nel contesto di un’economia che tende a rallentare.

Si fanno dunque strada diverse previsioni che vedono piuttosto nero all’orizzonte: c’è chi parla degli effetti negativi dello shock dei tassi d’interesse che devono ancora farsi sentire, così come di una recessione che potrebbe colpire l’economia globale a partire dall’anno prossimo e che contrasta l’idea finora dominante di un “atterraggio morbido”.

Come sempre, però, quando certi perdono qualcun altro vince. In questo frangente, a beneficiare del rapido aumento dei tassi d’interesse è il settore bancario. Settore che ha visto lievitare i propri utili a livelli esorbitanti (+18%).

E i salariati? Nonostante lo spauracchio di una spirale prezzi-salari (che non si è verificata), questi a quanto pare non conoscono l’avidità. Soltanto la rincorsa.