laR+ IL COMMENTO

Francia, il caos e gli avvoltoi

La deflagrazione di violenza illustra l’esplosione di un odio a tutto campo. E c’è chi se ne approfitta

In sintesi:
  • Il fenomeno trascende gli émeutes del 2005 e non va confuso con le recenti proteste dei gilet gialli e per le pensioni
  • A sinistra come a destra c’è chi cavalca gli eventi per incassare dividendi elettorali
(Keystone)
1 luglio 2023
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Una deflagrazione di inaudita violenza che in qualche giorno si è estesa a tutto il Paese. Interi quartieri devastati, negozi saccheggiati. La furia devastatrice di bande di ‘casseurs’ non risparmia scuole, asili, ospedali, trasporti pubblici. A nulla è valsa l’immediata incriminazione dell’agente di polizia che ha ucciso il diciassettenne Nahel. Così come non hanno sortito alcun effetto le parole del presidente della Repubblica che a inchiesta non ancora avviata aveva definito “imperdonabile” il gesto del poliziotto. Un tentativo (fallito) di gettare acqua sul fuoco.

In diverse località è scoppiato l’inferno, come a Aubervilliers dove sono stati dati alle fiamme 12 bus, ad Amiens, nel Nord, dove a essere incenerita è stata la nuova mediateca, o in diverse città di provincia dove le molotov dei teppisti hanno distrutto municipi, teatri, abitazioni. Un vandalismo nichilista, perché il più delle volte mira a distruggere il bene comune, proprio quello che dovrebbe contribuire a migliorare la vita di ognuno.

I paragoni si sprecano, in particolare con le rivolte del 2005, pure scoppiate nelle periferie per poi tracimare un po’ ovunque. Per un acuto osservatore qual è il sociologo Pascal Bruckner assistiamo a una brutale deriva: la dinamica del sogno materialistico di giovani sbandati (“De la thune et des meufs!”, “soldi e ragazze”, sintetizzava in argot un rozzo slogan del 2005) lascia oggi il posto a un odio a tutto campo. Come se in quel poliziotto (presunto) omicida si rispecchiasse un mondo antagonista, quello della sopraffazione bianca. Come se un gesto individuale traducesse un’avversione collettiva contro una generazione, figlia dell’immigrazione, ghettizzata nelle banlieue.

Mutato anche l’identikit dei protagonisti di questa festa distruttiva: molto giovani (un terzo circa avrebbe tra gli 11 e i 16 anni), si identificano inevitabilmente per età, origine sociale, appartenenza etnico-religiosa, vissuto quotidiano con le vittime della violenza della polizia. La componente anagrafica e di genere (maschi) non è da sottovalutare: all’interno delle bande di ‘voyous’ le identità si costruiscono ‘in opposizione a’, alimentate dalla cloaca dei social (dove primeggia TikTok) imbottiti di disinformazione e astio (imperversa in questi giorni l’acronimo Acab – all cops are bastards – vera e propria incitazione al linciaggio).

Il paragone con le manifestazioni dei ‘gilets jaunes’ (più o meno ignorate dai giovani di periferia) o con quelle recenti contro la riforma delle pensioni non regge, salvo su due aspetti: l’estrema violenza di diverse frange di manifestanti e della risposta della polizia – sebbene nessuno sia stato ucciso dalle forze dell’ordine – e la frustrazione creata da un sistema politico verticistico. Fattori alla base di un diffuso disagio.

I rinforzi di polizia annunciati ieri da Macron, così come i suoi appelli a famiglie e gestori di social, non basteranno a domare l’incendio, anche perché a gettare benzina sul fuoco sono in molti. Nei cupi cieli della moribonda convivenza sociale volteggiano oggi non pochi avvoltoi: il sordido egotista Mélenchon (da cui sembrano finalmente prendere le distanze il suo ‘vice’ Ruffin o il Partito Comunista) e sul fronte opposto, all’estrema destra, spregiudicati tribuni che dal caos generale sanno di poter incassare lauti dividendi politici.