Una sfilza di prodotti ecosostenibili aiutano le persone a convincersi di star facendo qualcosa per il clima, ma in realtà è tutto un trucco per far grana
Il surriscaldamento climatico è un tema scomodo. Lo è per i negazionisti che voltano gli occhi al cielo, sbuffando che i cambiamenti climatici, anche drastici, siano un fenomeno totalmente naturale e ricorrente (il fatto che questi abbiano causato estinzioni di massa solitamente non viene menzionato). Lo è per chi alla crisi non solo ci crede, ma ritiene sia necessario fare tutto il possibile per fermarlo, arrivando a gesti come il blocco del traffico messo a segno da Renovate Switzerland durante il weekend pasquale.
I primi, quando vedono le azioni dei secondi, si indignano, pestano i piedi e infiammano i social, perché alla fine cosa sono carenza di risorse, paesaggi aridi e ghiacciai che si sciolgono, comparati a dover attendere quattro ore in colonna a Pasqua, rispetto alle tradizionali tre ore e mezza? Secondo loro questi attivisti, che essendo giovani non hanno ancora chiaro come si fanno le cose, dovrebbero optare per metodi più civili, cercare il dialogo, e in ogni caso smettere di rompere le scatole. I secondi, di rimando, accusano i primi di difendere lo status quo in quanto sono essi stessi i principali beneficiari, o perché troppo pusillanimi per riconoscere la gravità della situazione. In questa seconda categoria rientra anche Francesca, membro attivo di Renovate, che abbiamo deciso d'intervistare.
Tra questi due fuochi, si trovano le persone comuni, quelle che riconoscono che 19 gradi a dicembre non sono normali e che l’assenza di pioggia è problematica, ma che di certo non andrebbero in giro a incollarsi alle cose. Ebbene il surriscaldamento climatico è un tema scomodo anche per loro, perché a nessuno piace sentirsi dire che il pianeta è spacciato. Ed è in questi momenti che il capitalismo compie la sua magia, trasformando queste persone in una nicchia di mercato, e vendendo prodotti puntuali per lenire le ansie sul futuro. Ecco dunque comparire sugli scaffali spazzolini in bambù, cannucce in cartone e sigarette con i pacchetti in carta riciclata. Tutti prodotti che sottintendono che in fondo, è colpa nostra se il clima sta andando in malora, e che possiamo fare la differenza se smettiamo di usare le forchette in plastica. Questa è, almeno in parte, una bugia. Finché ci sarà un sistema in cui enti privati e governativi continuano a produrre emissioni inquinanti mastodontiche, magari producendo gli stessi beni ‘ecosostenibili’, le abitudini dei consumatori potranno cambiare ben poco, ed è controproducente puntarsi il dito a vicenda su chi consuma meno.
E non è la prima volta che questa dinamica manipolatoria da relazione tossica viene messa in atto. Soffri di ansia, depressione e burnout? La causa non è certo da ricercare in un mercato del lavoro troppo esigente o nelle condizioni economiche sempre più precarie, ma dentro di te, e può essere risolto magari comprando questa applicazione per meditare, o qualche olio aromatico. Vuoi lottare per i diritti civili? Eccoti una maglietta con lo slogan che fa per te. Consumare le nostre bevande ti ha causato il diabete? Compra la versione senza zucchero. Tanto è tutto un business, dove anche comportamenti virtuosi come la rinuncia alla plastica possono essere una fonte di profitto. Come qualcuno cantò a Sanremo 2022: “La fine del mondo, una giostra perfetta”.