Il botta e risposta continuo tra Bignasca e Zali da una parte e i democentristi dall’altra, è a favor dei media e personale più che strategico
Davanti allo stanco ed eterno ritorno dell’uguale – Boris Bignasca che attacca, l’Udc che rintuzza – comincia a essere lecito chiedersi se il litigio continuo, il distinguo perenne benché friabile su molti temi, la presenza di alcuni candidati che neanche si nominano a vicenda da tanto mal si sopportano, siano parole in libertà o una battaglia di sostanza.
Questa commedia che ormai è in cartellone da mesi, vale a dire da quando Claudio Zali ha cominciato a sentire in pericolo il suo seggio governativo. Stiamo assistendo a uno scontro frontale nella ‘derecha’ più gagliarda, sia essa sociale o borghese? La corsa interna lanciata dal presidente cantonale democentrista Piero Marchesi nella lista unica Lega/Udc ha fatto inevitabilmente partire una lotta tra persone, non tra visioni del mondo. Si potrà parlare finché si vuole di tendenze più o meno ambientaliste, di questa o quella sfumatura sulla scuola, di politica economica. Ma il problema è personale. Il Boris Bignasca che alla trasmissione ‘Detto tra noi’ su Teleticino la scorsa settimana ha tuonato che un altro ‘Decreto Morisoli’ non lo avrebbe più votato, è lo stesso che il 19 ottobre 2021, quando il Gran Consiglio lo approvò, disse testuale: «Siamo ancora in tempo prima di salvare il Paese dal baratro». Nel mentre si sono chiusi i rubinetti della Banca nazionale svizzera, il Preventivo per il 2023 rischia di superare i 200 milioni di franchi, la manovra di rientro è dietro l’angolo e… dal primo sondaggio ‘Rsi’ Marchesi è davanti a Bignasca. Il discorso è questo: pistolettata più, pistolettata meno.
Ciò detto si apre un altro fronte, quello decisivo: "Nel bene o nel male, purché se ne parli" è uno dei lasciti de ‘Il ritratto di Dorian Gray’ di Oscar Wilde. Con questa polemica continua Lega e Udc hanno catalizzato l’attenzione, sui media come nell’opinione pubblica. E davvero ci si deve chiedere se le schermarglie tra Lega e Udc, acuitesi negli ultimi tempi, siano frutto di una precisa strategia elettorale. Fosse questo il caso, l’obiettivo è stato raggiunto: un matrimonio litigarello fa più notizia di una convivenza tranquilla, se non soporifera. Desta l’attenzione dei media e in un periodo di dilagante astensionismo potrebbe portare voti alla squadra di destra, e non solo quelli provenienti da coloro che si riconoscono in quell’area politica.
Ma se dietro alle parole in libertà ci fosse davvero della sostanza, i mal di pancia in una parte del variegato pianeta leghista potrebbero riverberarsi sulle scelte per le elezioni federali di ottobre. Se così fosse, solo un chiarimento con i democentristi – ma anche in seno al movimento con il deputato al Nazionale e direttore del ‘Mattino della domenica’ Lorenzo Quadri – potrebbe evitare contraccolpi negativi per l’area in vista del rinnovo dei poteri nazionali. In ballo è infatti la riconferma del democentrista Marco Chiesa agli Stati. Per l’Udc non riconfermare il proprio presidente nazionale nella Camera dei Cantoni potrebbe essere uno smacco con ripercussioni – va da sé – anche sulla futura corsa al sindacato di Lugano.
Sia come sia, c’è un dato di fatto: il loro aver saputo dirottare l’attenzione dei media, e quindi dell’opinione pubblica, sulle vicissitudini interne della lista più competitiva per le Cantonali potrebbe avere dei vantaggi per l’area. Se a sinistra non l’hanno capito, a Lega e Udc sta l’evitare che ciò si trasformi in un canto del cigno.