Quel 77,5 per cento di sì alle future Preture di protezione suona come un‘esortazione a parlamento e governo ad andare avanti. Celermente
La credibilità dei partiti passa anche dai tempi delle decisioni. Più si allungano i tempi, più cresce la disaffezione dei cittadini per la politica. In Ticino è da quasi quindici anni che, tra gruppi di lavoro e approfondimenti soprattutto parlamentari, la politica cerca di individuare la giusta soluzione in termini organizzativi per rispondere in maniera rapida e adeguata alle esigenze di chi non è in grado di badare ai propri interessi. E necessita pertanto di misure di protezione, quelle contemplate dal Codice civile: tutela, curatela ecc. Nel 2013, in seguito all’entrata in vigore del riformato diritto tutorio federale, hanno visto la luce le Arp, le Autorità regionali di protezione: nulla di rivoluzionario, considerati il mantenimento del modello amministrativo e la gestione comunale o intercomunale del sistema. Che ha via via mostrato i suoi limiti. Salvo qualche eccezione, le Arp manifestano disfunzioni sul piano operativo. Ieri la svolta, con l’avallo delle urne al modello giudiziario, proposto nei mesi scorsi nero su bianco dal Consiglio di Stato e poi approvato dal Gran Consiglio. Saranno quindi le Preture di protezione, col supporto di specialisti in psicologia, pedagogia e lavoro sociale, a disporre le misure a sostegno di coloro, adulti o minori, che vivendo situazioni precarie risulteranno particolarmente vulnerabili. La cosiddetta cantonalizzazione del sistema, che dovrebbe migliorare la qualità dei provvedimenti in materia di diritto di protezione e favorire una prassi uniforme su tutto il territorio ticinese, scongiurando disparità di trattamenti, è stata così confermata dal voto popolare.
Se da un lato è stato senz’altro opportuno il suggerimento del deputato socialista Nicola Corti, accolto dagli altri membri della commissione parlamentare ‘Giustizia e diritti’ e dal governo, di sondare l’opinione dei cittadini sul passaggio al modello giudiziario prima di affrontare il resto della riforma messa a punto dal Dipartimento istituzioni per il tramite della Divisione giustizia, dall’altro lato quel 77,5 per cento di sì alle nuove Preture, praticamente un plebiscito, suona come un’esortazione alla politica non solo ad andare avanti, ma anche a procedere in modo spedito. "È un mandato popolare nitido", ha commentato Luca Pagani, deputato del Centro/Ppd e relatore commissionale con la leghista Sabrina Aldi sulla riorganizzazione del settore prospettata dal Consiglio di Stato. Proprio in virtù di questo chiarissimo mandato, governo e parlamento dovrebbero assegnare, nell’ambito delle rispettive competenze, una corsia preferenziale all’esame degli altri aspetti della riforma, tra cui quelli procedurali. Ed è altamente auspicabile che il cantiere venga portato a termine ancora in questa legislatura. Con un Gran Consiglio rinnovato, con la presenza di neo deputati, il rischio di ripetere l’esercizio è elevato. Si perderebbe tempo prezioso e la credibilità dei partiti verrebbe appunto meno. L’implementazione di questa riforma è urgente. Crisi e rincari vari potrebbero aggravare determinate situazioni personali. Senza dimenticare che il nostro cantone registra un progressivo invecchiamento. E sono spesso gli anziani ad aver bisogno di misure di protezione.
La riforma ha un costo non indifferente. Ma la giusta attenzione verso le fasce più fragili della popolazione vale assai più di un pareggio di bilancio o di un decreto taglia spesa (pubblica). Specie se si pensa all’immediato futuro, che si profila alquanto difficile.