La Saudi National Bank, versando la bellezza di 1,5 miliardi di dollari, diventa uno dei più importanti azionisti della banca svizzera in difficoltà
A volte capita che certe battute te le tirino proprio fuori. Ad esempio ieri la direzione del disastrato Credit Suisse, che ha perso 5,9 miliardi di franchi in un anno, che di qui alla fine del 2025 taglierà novemila posti di lavoro, di cui duemila in Svizzera, ci fa sapere che nel proprio capitale, nella misura del 9,9%, entrerà la Saudi National Bank, principale istituto della più importante monarchia del Golfo. I sauditi, versando la bellezza di 1,5 miliardi di dollari, diventano uno dei più importanti azionisti della banca svizzera in difficoltà. Ecco allora che viene da commentare che, da Paradeplatz, stanno scappando i mitici "gnomi", emblema da tempo immemorabile del potere bancario elvetico, per far posto agli emiri. Una volta simbolo dei petrodollari, oggi quella dell’Arabia Saudita è una delle piazze finanziarie che dopo la caduta del segreto bancario elvetico stanno gradatamente svolgendo il ruolo opaco che, per mezzo secolo, ha contribuito alla fortuna della Svizzera. Tra l’altro, oltre ai capitali sauditi, a Credit Suisse sono già affluiti quelli di Qatar Investment Authority.
Per il portale ‘Inside Paradeplatz’ di Zurigo, sovente spina nel fianco di banchieri e fiduciari confederati, "oggi Credit Suisse ha venduto la propria anima". Il giornale online, soffermandosi su quel 9,9% in mano alla Saudi National Bank, ricorda a chi l’avesse dimenticato che a guidare l’Arabia Saudita c’è Mohammed bin Salman, ritenuto uno dei leader mondiali più brutali. Al riguardo basti ricordare la fine atroce che riservò nel 2018 al giornalista dissidente Jamal Khashoggi, ucciso da sgherri inviati da Riyad all’interno del consolato saudita di Istanbul da cui, stando al ‘Washington Post’, venne poi fatto uscire a pezzi.
La domanda è se dopo una gestione catastrofica da parte di una dirigenza che in quanto a inosservanza delle regole non si è fatta mancare nulla, dai pedinamenti dei manager non allineati alla violazione sistematica delle quarantene in epoca di Covid, il ventaglio delle possibilità per risollevarsi non si fosse ridotto all’osso. D’altronde pure Ubs, quando 14 anni fa rasentò il fallimento travolta dalla crisi finanziaria dei subprime, oltre che dai soldi della Confederazione venne salvata dall’intervento del fondo sovrano di Singapore. Che successivamente si ritirò dalla grande banca, ormai rimessa in sesto non solo grazie alla gestione Ermotti ma pure dal prezioso lavoro svolto ai vertici da Ulrich Körner, oggi alla guida di Credit Suisse. Istituto che se da un lato costringerà i contribuenti svizzeri a ingoiare il rospo Bin Salman, dall’altro dovrebbe riuscire a risparmiare loro l’esborso multimiliardario che comportò il salvataggio di Ubs.
La Saudi National Bank, e di conseguenza l’autocrate saudita, non avrebbero probabilmente messo piede a Paradeplatz nel caso fosse, nel frattempo, diventata legge una proposta del Consiglio federale che sottopone all’approvazione governativa gli investimenti in settori strategici della Confederazione da parte di entità statali o parastatali di paesi dittatoriali.
Fatto sta che in luglio, nonostante l’affaire Kashoggi e il fatto che il giornalista assassinato avesse pure la nazionalità statunitense, Joe Biden ebbe un incontro cordiale con Bin Salman per ottenere l’aumento della produzione di greggio saudita. Insomma, prima degli "gnomi" l’anima se l’è già venduta qualcun altro.