laR+ IL COMMENTO

L’inamovibile Xi Jinping

Il terzo mandato consecutivo come leader del Partito comunista non è una buona notizia per la Cina

In sintesi:
  • Quando il potere diventa ‘eterno’ arrivano repressione e inefficienza
  • Occorre difendersi dalla globalizzazione alla cinese?
(Keystone)
25 ottobre 2022
|

Il terzo mandato consecutivo come leader del Partito comunista al presidente Xi Jinping non è una buona notizia per la Cina, meno che mai per il mondo e per coloro che credono più nelle istituzioni che negli uomini. Chi adesso avrà la forza politica o il coraggio di dirgli, ad esempio, che la strategia dello ‘zero Covid’ – con la chiusura di città con milioni di abitanti – è fallimentare o che è meglio non imbarcarsi in una qualche avventura militare per ricongiungere finalmente la madrepatria e scrivere la storia, o ancora che sarebbe preferibile non attaccare il business privato?

Qualcuno pensa che esageriamo? Per referenze chiedere all’ex presidente Hu Jintao, scortato dai commessi fuori dalla tribuna autorità al Congresso del Pc, sabato scorso, davanti alle telecamere delle tivù mondiali. Le immagini di quella che potrebbe rivelarsi una "purga" mediatica, formato XXI secolo, sono state censurate in Cina.

Il 69enne Xi Jinping contravviene così alla tradizione di uscire di scena dopo due mandati, voluta dalla leadership del suo Paese tempo addietro per evitare personalismi o culti della personalità. Oggi i cinesi si ritrovano a essere condotti dal ‘Nucleo’, ossia Xi, il cui ‘Pensiero’ è insegnato nelle scuole poiché rappresenterebbe la bussola per intere generazioni.

In altre realtà, a differenti latitudini, tali imposizioni – con Costituzioni in vigore violate o peggio violentate – sono state giustificate spesso dalla necessità di ‘stabilità’ per fronteggiare meglio crisi interne o esterne. Il risultato finale è stato disastroso.

Senza andare troppo lontano, la Russia. La Costituzione eltsiniana del 1993 prevedeva due mandati presidenziali all’americana da 4 anni, poi a casa. E invece, nel 2008, ecco il giochetto di Putin con un fedelissimo (Medvedev) al Cremlino e il vero leader come primo ministro. Poi, quattro anni dopo, lo scambio al contrario con l’aggiunta dell’interpretazione costituzionale dei due incarichi "consecutivi". Conclusione: opposizioni interne annientate, società atomizzata e tragedia ucraina.

Da sempre il limite massimo dei due mandati è stato l’antidoto contro le derive autoritarie e per garantire l’efficienza dell’amministrazione pubblica. Si evita infatti il formarsi intorno al Capo di folle di collaboratori mediocri ma adulanti. Tornando a Pechino, si osserva che nel nuovo Comitato permanente del Partito, il vero direttorio del Paese, vi è stato un repulisti: sono usciti 4 dei 7 membri; non vi è neppure una donna. Caratteristica principale dei neopotenti, guarda caso, è quella di aver già lavorato con Xi. Da noi si direbbe che essi sanno fare ‘squadra’ col leader. Invero, come segnalano eminenti sinologi, si sono poste le basi per il quarto e per il quinto mandato del ‘timoniere’, che ha avuto al Congresso la riconferma anche come capo dell’apparato militare e nel marzo 2023 avrà quella come presidente.

Di conseguenza non deve sorprendere che gli Stati Uniti abbiano recentemente fondato l’Aukus – la ‘Nato del Pacifico’ con Gran Bretagna e Australia – e creato una comunità politico-economica regionale anti-cinese, dopo che Pechino costruisce da anni atolli artificiali sulle rotte della navigazione, rafforza la flotta militare (primo mattone di una politica espansionista) e lancia missili contro i satelliti nello spazio. Serve difendersi, o no, dalla globalizzazione alla cinese?