Xi Jinping ha orchestrato tutto per a restare al potere a vita. E ci sta anche riuscendo
Non si può affermare che tutte le dittature – pur avendo in comune il partito unico e la ferrea occupazione dello Stato – siano uguali. Ma al di là di diversità storiche delle nazioni che dominano, di tattiche differenziate e di modelli economici non paragonabili, uno scopo strategico in comune l’hanno: mantenere il potere con la forza della repressione, impedire il crollo del loro modello, perpetuarlo se occorre con ogni mezzo possibile.
Così, mentre a Mosca Vladimir Putin tenta di irrorare la società con il recupero dei ‘valori’ imperiali-tradizionali-religiosi e distribuisce ai suoi collaboratori i testi dei filosofi che hanno teorizzato la specificità e l’unicità della ‘spiritualità della Russia’ in contrapposizione all’Occidente ‘demoniaco’, a Pechino Xi Jinping – pur potendo contare sulla tradizionale cultura confuciana dell’obbedienza dei sudditi – si preoccupa che la Cina non faccia la fine dell’Urss, sbriciolandosi sotto il peso delle sue contraddizioni e di errori considerati fatali. Primo fra tutti, quello di non rimettere in discussione il ruolo e l’esistenza del partito comunista, come fecero Gorbaciov e Eltsin. "Est, ovest, sud, nord e centro, il partito guida tutto" è uno dei suoi slogan preferiti, come sottolinea l’Economist. Che rivela: "Negli ultimi mesi i funzionari cinesi sono stati costretti a guardare l’‘ennesimo’ film sul crollo dell’Unione Sovietica".
Soldati e Kfc (Keystone)
Anche in questa chiave va letto il Ventesimo Congresso del Partito comunista cinese, inaugurato ieri, e che alla fine della settimana incoronerà Xi con un terzo mandato alla guida (politica e militare) del gigante asiatico. Cosa mai avvenuta dai tempi di Mao. Mandato di altri cinque anni, che consoliderà postura e sostanza imperiale del leader cinese. Non che la cristallizzazione del potere cinese precluda dibattiti, confronti e scontri anche feroci al suo interno. Xi Jinping ha costruito la sua ascesa in una sorta di ‘lunga marcia’, con cui si è sbarazzato senza tanti complimenti di molti rivali, spostandosi sulla tastiera ideologica delle varie posizioni intestine, recuperando anche piccole dosi di maoismo, mantenendo il controllo sul mix fra economia statale e privata, tenendo però la barra su quel programma di "prosperità condivisa" che (contrariamente alla Russia putiniana) ha permesso alla Cina di conquistare la posizione di ‘sfidante sistemico’ degli Stati Uniti, favorendo la crescita di una classe media: il reddito medio annuo è di 4’200 franchi, ma lo stesso partito riconosce che quasi la metà della popolazione vive con 140 franchi al mese.
Eppure, il ‘balzo in avanti’ di Jinping nella conquista del potere assoluto coincide con una delle fasi più problematiche sul piano economico e sociale. La stessa Bank of China fa previsioni molto negative: crescita bloccata al 3% (lontanissima dai record pre-pandemici), disoccupazione in crescita, prospettiva di una mondializzazione assai meno vantaggiosa, inedito collasso delle azioni immobiliari, e scenario fosco sul piano internazionale, con la Cina alleata con Putin (a cui però Pechino non consegna armi) e necessità di non perdere i mercati internazionali. Uno scenario che, anche a causa della politica dello ‘zero Covid’ (con prolungati, massicci e ferrei lockdown in tutto il Paese), ha provocato proteste inedite ed evidenti fratture con parti non piccole della popolazione. Incognite e problemi non mancano al futuro probabile ‘imperatore a vita’.
Hi Jinping sorseggia tè al Congresso (Keystone)