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Targhe e arte della politica: la vittoria Ppd, la sconfitta Plr

Sulle imposte di circolazione il compromesso i popolari democratici l’hanno raggiunto con la sinistra, non coi liberali radicali. Appunti per il futuro

Fiorenzo Dadò e Alessandro Speziali
(Ti-Press)
23 giugno 2022
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Quella sulle imposte di circolazione è una vittoria del Ppd e della caparbietà del suo presidente Fiorenzo Dadò. Non solo nel difendere un’iniziativa popolare che, piacesse o meno, era stata sottoscritta da oltre 12mila persone cinque anni fa. Ma anche, e soprattutto, nel dare uno sbocco positivo all’obiettivo principale suo e degli iniziativisti: che il popolo potesse esprimersi. Il risultato è stato raggiunto, il come è abbastanza relativo.

Certo, di primo acchito sostenere un rapporto di minoranza che sconfessa le proprie proposte dopo l’infrangersi in aula del rapporto di maggioranza può sembrare la quintessenza del fine che giustifica i mezzi. Può non piacere, come non è piaciuto ai liberali radicali. Ma è l’arte della politica, che si manifesta nella sua sagacia quando riesce a unire alla ferma convinzione della bontà di un’idea pure la capacità di allargare il compasso, raggiungere compromessi, accordi sotto traccia e saper fare le telefonate giuste nelle ore giuste.

Le ticinesi e i ticinesi saranno chiamati alle urne, e sceglieranno tra l’iniziativa con primo firmatario Marco Passalia e il controprogetto di Ps e Verdi che ieri è diventato di maggioranza in Gran Consiglio, e tanto basta al Ppd. Ufficialmente. Già, perché ufficiosamente il discorso è un altro: al di là delle condivisibili parole sull’importanza dei diritti popolari, Ppd, Lega e Udc confidano nel fatto che con il rincaro del costo della vita una maggioranza dei votanti finisca comunque con il sostenere un’iniziativa che lascia più soldi ai proprietari di un’auto. Una vittoria che a ogni modo potrebbe pregiudicare lo sgravio fiscale fortemente voluto dal Plr e dal direttore del Dfe Christian Vitta. A meno che non si taglino i sussidi: cosa alla quale (anche) il Ppd si opporrebbe.

Anche per questo, ma non solo, a perdere è stato un Plr che ora può trarre un doppio insegnamento. Il primo è che in un sistema politico sempre più polarizzato, dove a sinistra e a destra si fanno alleanze e liste uniche, il centro non può limitarsi a sorvegliare il fortino ma deve andare all’attacco. Il secondo è che, tornando all’arte della politica, uno può essere convinto finché vuole della bontà del suo agire. Ma se non convince nessuno, il discorso si chiude tra echi che rimbombano in un corridoio vuoto.

Guardiano dei conti pubblici, e a volte come ieri troppo schiacciato sulle posizioni del Consiglio di Stato mentre il resto del parlamento viaggia veloce, il Plr se vuole dire davvero la sua deve svecchiare anche la propria azione oltre ai volti. Deve essere propositivo mantenendosi coerente, senza però subire gli eventi come è successo in Gran Consiglio nel dibattito di ieri pomeriggio. E deve creare consenso parlamentare attorno alle sue proposte, smettendo un po’ i panni del sergente di ferro e vestendo quelli di chi, una volta per tutte, ha capito che non è più tempo per lo splendido isolamento di chi sa di aver ragione.

E in questo l’atteggiamento gioca un ruolo fondamentale. I conti vanno rifatti: l’iniziativa si allontanerà ancora di più dagli 80 milioni massimi (già diventati 86) per avvicinarsi ulteriormente a quei 96 dei controprogetti sia del Plr, sia di Ps e Verdi. Ma sarà quest’ultimo ad andare al voto. Chiedersi il perché, e rispondersi con onestà, potrebbe essere una scossa di cui talvolta i liberali radicali hanno dimostrato di aver bisogno.

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