Il presidente al secondo mandato. La politica abdica riscrivendo ‘Il Gattopardo’ per pigri: ‘Se vogliamo che tutto rimanga com’è, lasciamo tutto com’è’
Tutti a dare addosso ai politici italiani, bollati come scaldapoltrone buoni a nulla, intrallazzoni incapaci di intrallazzare e perfino di eleggere un presidente della Repubblica. Eppure, in quest’ultima settimana di fumate nere, prima della rielezione di Mattarella e del ritorno allo status quo, la vituperata politica italiana è riuscita a riscrivere nientemeno che ‘Il Gattopardo’, siciliano e da quel sapore vagamente rétro che non passa mai di moda, proprio come Mattarella.
Il libro contiene il celebre passaggio “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, una specie di formula magica per vedere disvelato l’immobilismo che rende l’Italia quel che è. Ma quella frase sottintendeva uno sforzo innecessario che il Parlamento attuale, più pigro di una corte siciliana risorgimentale, non ha avuto alcuna intenzione di fare. E quindi se si vuole che tutto rimanga com’è, tanto vale non cambiare nulla. Ecco il colpo di genio, il passaggio che toglie perfino quell’aggrapparsi alle apparenze, che da sempre è il marchio di fabbrica di chi vuole mantenere il potere.
Una scena de ‘Il Gattopardo’ di Luchino Visconti
D’altronde, delegando a un tecnico e a una sorta di eterno presidente-papa i ruoli chiave della politica, i partiti e i loro leader chiedono apertamente il ruolo di attore non protagonista: nel grande cinema può valere un Oscar, ma in Italia non ci sono nemmeno più i Telegatti. Certo, c’è chi s’accontenta del Tapiro d’oro pur di strappare un minuto in più alle telecamere, misurando il consenso in punti di share in un Paese in cui il voto è prigioniero di un sistema elettorale alieno, nato per un bipolarismo che non c’è più.
Ma se tutto quel che vuoi è rimanere vivo e nulla più, lasciare tutto com’è, è la risposta. Ci sono organismi unicellulari poco ambiziosi che non hanno mai dovuto far nulla più che esistere per continuare a esistere. Molti partiti oggi applicano lo stesso schema. E funziona pure.
Salvini durante il voto alla Camera (Keystone)
Per non farsi mancare niente c’è stato anche il momento grottesco della candidatura di una donna, fatto senza alcuna convinzione. Prima Elisabetta Casellati, l’unica a crederci davvero, poi Elisabetta Belloni, oscura donna delle istituzioni capace di avere un seguito sbalorditivo per essere un individuo di cui l’italiano medio non sapeva e ancora oggi non sa nulla. Chi è Elisabetta Belloni? È di destra? È di sinistra? Cosa pensa dell’Europa? E del Gattopardo? È cattolica? Atea? Militarista? Pacifista? Juventina? Vegana? Capricorno? Non importava. Era diventata un’allegorica Marianne italiana a cui dare il Tricolore da sventolare sino al Quirinale. Tifoseria, nulla più. Lo stesso trasporto cieco per cui si sostiene Berrettini all’Australian Open o i Maneskin all’Eurovision. Che è anche giusto, ma la corsa alla presidenza non è un torneo di tennis né un festival musicale, anche se ormai si fa di tutto per renderla tale.
Elisabetta Belloni (Keystone)
Belloni magari era davvero il nome migliore di tutti, il futuro (o anche semplicemente il presente) che non si è avuto il coraggio di sostenere, però nessuno ci ha spiegato davvero perché, anche perché – diciamolo – non interessava a chi la osteggiava e ancor meno a chi la spingeva.
Mattarella, che aveva già fatto (fare) i pacchi per traslocare, resta dov’è. Si è sempre detto ‘l’inquilino del Quirinale’ indicando implicitamente che di lì si passava e non si restava. La differenza tra un presidente e un re, o un papa. ‘Solo contratti transitori di sette anni’, avrebbe recitato un ipotetico annuncio immobiliare. Al Quirinale si era ospiti, per servire il Paese, mai davvero padroni di casa. E invece eccolo lì, Sergio Mattarella: il residente della Repubblica.
Murale dedicato al trasloco di Mattarella (Keystone)