Una Copa América non vale un Mondiale, certo. Ma l’Argentina di Messi non aveva mai saputo vincere con Maradona sulla Terra
“Si hizo lo que hizo en la cancha, imaginate desde el cielo”, recita la pubblicità di ‘Quilmes’, la birra più popolare dell’Argentina, che gira una, due, mille volte durante la Copa América. In quella coppa vinta dalla nazionale argentina nella notte tra sabato e domenica, che è stata pure la prima competizione ufficiale affrontata dagli Albicelesti dopo la morte di Maradona. E non solo: si tratta, soprattutto, del primo titolo conquistato dalla ‘Selección’ dopo 28 anni di astinenza. E allora “se ha fatto quel che ha fatto in campo, immaginati dal cielo”. I creativi l’hanno proprio azzeccata stavolta (un po’ come quelli che dalle nostre parti hanno scelto di mettere Sommer dappertutto durante l’Europeo). Perché l’Argentina di Messi non aveva mai saputo vincere con Maradona sulla Terra. Era troppo ingombrante la sua ombra? Chi lo sa. Sta di fatto che il genietto del Barcellona è riuscito a togliersi quella spina dal fianco: un titolo con la Nazionale, l’unico che gli mancava nel suo straordinario palmarès.
Chiaro, una Copa América non vale un Mondiale. Ma è senz’altro un buon auspicio verso Qatar 2022.
A valere un Obelisco invaso dalle masse (il punto di ritrovo per eccellenza degli argentini per le grandi celebrazioni), in una Buenos Aires ancora in piena ondata pandemica, è soprattutto il contesto. Sportivo e sociale, come sempre. Perché laggiù il legame tra calcio e politica è talmente palese che nemmeno i più puristi osano reclamare per l’aura immacolata dello sport a cui taluni vorrebbero ancora credere in Europa. Sul campo l’Argentina ha battuto il Brasile, l’eterno rivale, a casa loro, il Maracaná. Lo stesso stadio dove, sette anni prima, Messi si era fatto sfuggire l’occasione di alzare la Coppa del Mondo, andando a perdere una finale (vincibile) contro la Germania. L’unico gol della partita a Rio de Janeiro lo segna Di Maria, colui che nel 2014 – dopo aver lasciato fuori la Svizzera con una rete ai supplementari – si vede costretto a saltare la finale contro i tedeschi a causa di un infortunio.
Calcio e politica, si diceva. Alla vigilia della finale di Copa America l’impresentabile presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, aveva pronosticato una vittoria verdeoro 5 a 0. Con il suo consueto stile (un eufemismo), lo aveva rinfacciato al presidente argentino Fernández durante il summit del Mercosur.
Quindi, un trionfo sportivo e non solo. La Copa América doveva giocarsi in Argentina e in Colombia. Ma entrambi hanno rinunciato a pochi giorni dall’inizio: i primi a causa della pandemia, i secondi un po’ per la pandemia ma soprattutto per la grave crisi sociale che sta attraversando da mesi il paese. Il Brasile si è messo a disposizione in extremis, suscitando non poche perplessità tra gli stessi giocatori della ‘Seleção’. Già, perché nel Paese carioca il virus non demorde, anzi. Ma a prevalere sono state le intenzioni di Bolsonaro di mettere a tacere le tante voci che in questo periodo chiedono l’impeachment del presidente, portando il circo del calcio a casa. Povero Bolsonaro: Argentina campione a Rio, il senato che indaga e Lula che primeggia nei sondaggi in vista delle elezioni dell’anno prossimo.
Ma chiudiamo parlando di calcio. Parliamo di Messi. Della Pulce che è riuscita a riempire quella maglia numero 10 come si deve. A traghettare la sua Argentina fino in fondo. Con il talento e con la grinta. Perché mai nessuno aveva dubitato delle sue qualità tecniche. E ora, pure sul piano della personalità non c’è più niente da rimproverargli. Messi, che esulta e piange sul prato del Maracaná. Uno sfogo meritato, dopo quattro finali perse con la Nazionale, dopo anni di critiche e frustrazioni. Messi, esempio di sportività, che abbraccia l’amico Neymar sconfitto. Messi che riceve la coppa, la bacia, la condivide con i suoi compagni e finalmente, sollevandola, la offre al cielo… A lui, che guarda da lassù e sorride.
Ora è fatta, Diego. Serviva soltanto la tua ultima mano.