Madrid ha provato maldestramente a nascondere la partita con la nazionale di calcio kosovara, con effetti tragicomici. Tenendo il piede in due scarpe
Togliete la pipa dal celebre dipinto di Magritte e metteteci la Nazionale di calcio del Kosovo. Et voilà: “Ceci n’est pas une équipe”. Anzi, olé. Visto che il pasticcio qui l’hanno fatto gli spagnoli, evidentemente ignari dell’adagio “la toppa è peggio del buco”.
La farsa, che aveva già avuto una tragicomica introduzione nei giorni precedenti, ha preso definitivamente corpo mercoledì allo stadio di Siviglia, dove la Nazionale spagnola ha fatto di finta di non incontrare quella kosovara per le qualificazioni ai prossimi Mondiali in una pièce situazionista degna delle avanguardie. Hanno giocato, ovviamente. Perché c’è un Mondiale in ballo. Che si disputerà in Qatar, Paese pieno di contraddizioni e in cui i diritti dei lavoratori sono presi talmente poco sul serio che almeno 6’000 migranti sono morti durante la costruzione degli stadi che ospiteranno la competizione. Prima della sua gara di qualificazione, la Norvegia, in segno di protesta, è scesa in campo con una maglia con su scritto “Diritti umani dentro e fuori dal campo”. E a Oslo c’è chi parla di ritirarsi dalla competizione. In Spagna, no. Alla Spagna (e non solo a lei) evidentemente va bene così.
Madrid e la sua federazione calcistica avevano altro a cui pensare, ribaltando il concetto dell’elefante nella stanza, quello che tutti vedono, ma ignorano. Gli spagnoli hanno preso un topolino e lo hanno nascosto sotto talmente tanta roba che alla fine non si poteva non notare. I motivi riguardano la politica, interna e non estera. Perché il Kosovo, dichiaratosi indipendente dalla Serbia nel 2008 e riconosciuto da altri 96 Paesi (Svizzera inclusa), in Spagna assume le sembianze dei Paesi Baschi e della Catalogna. Regioni le cui richieste di autonomia hanno messo e mettono fortemente in imbarazzo il potere centrale. E quindi, per dire (senza dirlo) a catalani e baschi che nessuna secessione sarà tollerata, i benpensanti (poco pensanti) di Madrid hanno pensato di nascondere l’inno e la bandiera del Kosovo nel pre-partita; hanno chiesto (e in larga parte ottenuto) che la parola Kosovo non fosse pronunciata nella tv di Stato: con i commentatori costretti ad acrobazie linguistiche come “i giocatori del territorio del Kosovo” o “la squadra della federazione calcio kosovara”. Insomma, dire il risultato della partita era un po’ come annunciare il titolo di un film di Lina Wertmüller.
Il tabellino della tv di Stato spagnola (Twitter)
Anche il tabellino nell’angolo del televisore aveva una stramberia: mentre la sigla ESP (per España) era, come d’abitudine, tutta in maiuscolo, quella del Kosovo era in minuscolo: kos. Una deviazione dalle consuetudini che si faceva notare. Come si è fatto notare il traduttore della nazionale kosovara in un video che ormai ha fatto il giro del mondo in cui cerca in tutti i modi di far dire la parola Kosovo ai giornalisti locali: “Vuole fare una domanda all’allenatore? Va bene, ma mi dica di che squadra”. Lì c’era l’allenatore di una sola squadra. Ma la conferenza stampa non è andata avanti finché l’uomo, sempre più contrariato, non è riuscito a far dire “Kosovo” a qualcuno. Insomma, la Spagna, senza riuscire nell’intento, voleva portare a termine la partita e tutto quel che le girava intorno senza mai nominare davvero gli avversari, un equilibrismo degno di Georges Perec, che nel 1969 scrisse un libro di 300 pagine intitolato “La scomparsa” in cui riuscì ad arrivare in fondo senza mai usare la lettera "e".
Tra l’altro la Spagna poteva scansare il Kosovo in un modo semplicissimo, segnalandolo all’Uefa come rivale non gradito. Ogni Nazionale infatti può chiedere di evitare nei sorteggi un avversario per motivi politico-diplomatici. Ma la Spagna aveva già scelto Gibilterra, territorio conteso con i britannici a cui non si vuole dare legittimità giocandoci contro una partita ufficiale. Insomma, il problema c’è e forse sarebbe bene risolverlo senza liste di proscrizione o sparizioni abborracciate come quelle di certi maghi sui palchi di provincia, che illudono solo loro stessi di aver fatto svanire l’assistente agli occhi altrui, mentre dalla platea si vede benissimo il trucco.
Il Cile segna nella porta vuota dell'Unione Sovietica
Sul campo la Spagna ha vinto e il Kosovo, poco dopo, è tornato nel suo Paese che non esiste. Resta quel senso di inadeguatezza, e incompiutezza, simile al caos creato da quei medici e infermieri che non vogliono vaccinarsi, ma allo stesso tempo non vogliono rinunciare a lavoro e stipendio sicuro. Nessuno mai che se ne va e fonda un ospedale tutto suo. Così la Spagna, che al Mondiale non vuole rinunciare.
Se avesse davvero creduto in quel che faceva non si sarebbe presentata, a qualunque costo: come fece l’Urss, che boicottò lo spareggio contro il Cile di Pinochet non andando a giocare nello stesso stadio in cui il regime torturava i suoi oppositori, rinunciando – di fatto – alla possibilità di giocare la Coppa del mondo del 1974. Come fece nel 2017 il lottatore iraniano Alireza Karimi-Machiani, che per evitare di sfidare un israeliano in una semifinale dei mondiali, perse apposta la gara precedente. Troppo facile tenere il piede in due scarpe: dichiararsi salutisti al McDonald’s con l’hamburger tra le mani e ambientalisti rombando col Suv in coda. Si fa così perché si sa che tutto passa, resta però la brutta figura di chi ha la porta del bagno rotta e per non farsi vedere nudo in famiglia scende e va a farsi la doccia in mezzo alla strada.
Ceci n'est pas une pipe, ovvero "La trahison des images" (René Magritte)