La decisione di ieri del Consiglio di Stato è un atto di fiducia nei nostri confronti. A noi, adesso, mostrare coscienza e fare della nostra libertà l'uso migliore
La decisione del Consiglio di Stato di non obbligare all’uso della mascherina negli spazi pubblici è un atto di fiducia nei confronti della popolazione. Una fiducia che va meritata.
Più di cinque mesi sono passati da quando il nuovo coronavirus ha fatto la sua comparsa anche in Ticino. Un periodo durante il quale sofferenza e decessi hanno occupato le pagine dei quotidiani ogni giorno, dove ciascuno di noi ha preso sempre più coscienza di come la nostra vita stesse cambiando davanti ai nostri occhi. Mesi che devono essere d’insegnamento. Evitare un secondo lockdown che, parole di Norman Gobbi, “sarebbe umanamente, socialmente ed economicamente insostenibile” è nell’interesse di tutti. Indossare una semplice mascherina in un luogo chiuso dove non si riesce a garantire la distanza sociale dovrebbe essere un automatismo per chi ha vissuto quei giorni. Ed è qui che torna con forza il concetto di responsabilità individuale. Non dovrebbe essere necessario che sia lo Stato ad obbligare a far qualcosa che coscienza, memoria, buon senso e sì, responsabilità, dovrebbero rendere automatico
L’importanza della scelta di non imporre questo obbligo presa ieri dal governo è lì da vedere. Il singolo può fare tantissimo per evitare la sgradevole possibilità di un secondo confinamento, così come per salvaguardare la salute propria e della comunità. E ognuno di noi può dimostrare come non sia necessario l’arrivo di un obbligo calato dall’alto perché si comprenda quanto siano fondamentali comportamenti per nulla invasivi come quelli di proteggersi - e proteggere gli altri - durante una pandemia. Una prova di maturità a cui la popolazione è chiamata, e alla quale sul serio ognuno di noi può contribuire in maniera determinante.
Immanuel Kant scrisse: “Agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere divenga una legge universale”. Ciò presuppone una presa di coscienza totale della situazione nella quale siamo, e di che baratro rischiamo di tornare a vedere da vicino. La fiducia concessa ieri dal governo a tutti noi non è una cambiale in bianco, e saranno anche i nostri comportamenti a decidere se continueremo a meritarla. L’occasione, però, di dimostrare una maturità collettiva attraverso le nostre azioni non passa esclusivamente dall’uso di una mascherina o meno. Passa soprattutto dal concetto di sentirsi, come individui, parte di un mondo dove ci sono persone vulnerabili, dove ci sono anziani, dove ci sono donne e uomini che neanche conosciamo ma che indirettamente possiamo aiutare a non contrarre il virus. Passa dalla responsabilità di gestire noi la nostra libertà e fare di essa l’uso migliore possibile. Quando si prende un bus o un treno, quando si è a far la spesa, a pochi metri da noi potrebbe esserci una persona che ha a casa una mamma anziana, un nonno con malattie pregresse, un proprio amico immunosoppresso. Vale più il fastidio di una mascherina indosso o la possibilità di far qualcosa di utile per il prossimo? Questa è la domanda da porsi.
Gli obblighi sono antipatici, esattamente come la sensazione - giusta o sbagliata - di essere messi sotto tutela. Il miglior modo di evitare questi sentimenti sgradevoli è essere noi per primi, con i nostri comportamenti, il motivo perché certe decisioni - da semplici divieti e obblighi a un secondo confinamento - non vengano prese se non come ultima ‘ratio’.