Distruzioni per l'uso

Buttare via la chiave: la trappola del giustizialismo

Viviamo in una società sempre più sicura, eppure c’è in giro una gran voglia di forche e manette

((Pixabay))
31 marzo 2018
|

“Ormai c’è da aver paura ad andare in giro”. È una frase che sento pronunciare da anni, e che non manca mai di farmi salire la carogna. Anzitutto perché quell’”ormai” non ha alcun senso: tutte le statistiche dicono che viviamo in condizioni di sicurezza sempre maggiore. Solo fra il 2013 e il 2016, per dirne una, i reati penali in Ticino sono calati del 25%. Di essi, quelli contro “la vita e l’integrità della persona” (che superano a stento il migliaio) sono scesi del 2%, furti e altri reati contro il patrimonio del 34 %. E la discesa si accentua ulteriormente se si vanno a vedere i numeri degli anni precedenti.

Il mercato della paura

Si tratta di una tendenza strutturale che coinvolge tutta l’Europa, dovuta a evoluzioni sociali e non solo “poliziesche”. Ma sebbene anche la sicurezza percepita registri un miglioramento, in linea con gli altri paesi Ocse, una parte della classe politica e dei media continua ad alimentare un malsano senso di assedio. Sarà che come dice il direttore del ‘Foglio’ Claudio Cerasa “il mercato della paura è il cugino del mercato del malumore”: l’uomo nero aiuta a vendere copie e a raccattare voti. Uomo nero in tutti i sensi, dato che inventarsi una criminalità diffusa aiuta anche a gonfiare la diffidenza nei confronti di stranieri e migranti. (E infatti in giro si leggono titoli del tipo “kosovaro massacra vecchietta”, mentre “ticinese strozza la nonna”, fateci caso, non s’è mai visto.)

Berna, Bellinzona, Teheran

Il tutto ha chiare conseguenze politiche, come ha dimostrato negli ultimi anni l’approvazione di diverse leggi e iniziative. Alcuni esempi: l’iniziativa popolare ‘internamento a vita per criminali sessuomani o violenti estremamente pericolosi e refrattari alla terapia’ del 2004, sintetizzabile con un “buttate via la chiave” senz’appello neanche dopo decenni di detenzione;  l’iniziativa 'per l'espulsione degli stranieri che commettono reati' approvata nel 2010, che pretende di obbligare i giudici a espellere uno straniero anche solo per lo spaccio di due canne; la nuova legge sui servizi segreti del 2016, che ha ampliato enormemente la possibilità per la Confederazione di spiare i suoi stessi cittadini.

Anche a livello cantonale si sono registrati sussulti di questo tipo. Come quando si pretese la presentazione del casellario giudiziale - "a tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico" – per un semplice permesso di soggiorno. E più di recente, con la proposta di revisione della legge sulla polizia, che darebbe agli agenti il diritto di fermare per 24 ore una persona senza neanche prendersi il disturbo di chiedere l’ok a un magistrato (tecnicamente si parla di custodia di polizia). Da guardie a sceriffi, insomma, e sempre con la solita scusa: la “salvaguardia dell’incolumità dell’individuo e di terze persone”.

Sicurezza minacciosa

Sarà. Ma in tutta questa corsa alla sicurezza, non mi sento mica tanto al sicuro. Prima di tutto perché temo che il Leviatano pubblico, gonfiandosi oltremisura, finisca per schiacciare le libertà del privato cittadino. Soprattutto quando si tratta di gente alla quale càpita di allontanarsi dal gregge: “gli anarchici li han sempre bastonati /e il libertario è sempre controllato / dal clero e dallo Stato…” cantava Guccini. Figuriamoci quelli che, inzuppati da uno dei tanti acquazzoni che può riservarti la vita, s’infilano semplicemente in qualche boiata di troppo.

Poi c’è una questione di diritto: fra sicurezza e giustizia – e quindi anche fra sicurezza e democrazia – a volte ce ne passa. Se pur di blindarsi via da ogni rischio si mettono in discussione i diritti civili e le più ovvie norme a tutela del cittadino, le conseguenze rischiano di essere ferali. Lo si vede bene nella “vicina Penisola”: dove l’accanimento legislativo e giudiziario ha raggiunto livelli parossistici, e il risultato è che le carceri sono strapiene di tossici e poveracci, che con ogni probabilità lasceranno il gabbio ancora più delinquenti di prima.

Common ground

Infine, quello che provo è una sorta di dispiacere politico. Il garantismo – l’idea, per semplificare, che è meglio un criminale a piede libero che un innocente in galera, e che comunque anche coi criminali ci vuole rispetto – è passato di moda. Peccato davvero, perché era uno dei pochi terreni comuni che tenevano insieme socialisti, liberali, cattolici, perfino anarchici. Garantisti i socialisti, perché da Marx in poi hanno capito che sono spesso i disgraziati a finire nelle patrie galere. I cattolici, perché sapevano che c’è speranza per ogni ladrone, e che una delle opere di misericordia è assistere i carcerati. I liberali, perché leggevano John Stuart Mill: “c’è un limite alla legittima interferenza dell’opinione collettiva sull’indipendenza individuale: e trovare quel limite, e difenderlo dalle invasioni, è tanto indispensabile a una buona conduzione degli affari umani quanto lo è la protezione dal dispotismo politico”. Per non parlare degli anarchici, che in nome della libertà individuale si fecero massacrare tanto dai franchisti quanto dagli stalinisti, ai tempi della guerra civile spagnola.

Adesso il vento tira altrove. “Tanto io non ho niente da nascondere”, ci raccontiamo. E accettiamo di tutto: pene draconiane, stati di polizia, telecamere, schedature, grandifratelli assortiti. Nella speranza che nella rete dei manettari finiscano solo gli altri. Perché da che mondo è mondo sono sempre gli altri, i cattivi. Buona fortuna.