laR+
logoBol

‘A causa dell’intelligenza artificiale devo cambiare lavoro’

L’IA mette a rischio alcune professioni. Come quella di Emma*, traduttrice per la Confederazione. ‘Strumento utile, ma è l’umano a garantire la qualità’

Berna starebbe ipotizzando un piano di risparmio per i servizi linguistici e misure legate all’utilizzo dell’IA (Keystone)

L’IA mette a rischio alcune professioni. Come quella di Emma*, traduttrice per la Confederazione. ‘Strumento utile, ma è l’umano a garantire la qualità’

1 marzo 2025
|

“L’intelligenza artificiale può diventare un alleato formidabile, se uniamo i nostri sforzi per farne uno strumento di progresso sociale ed economico, coniugando produttività e benessere al lavoro al beneficio di tutti i lavoratori”. Parole di Sana de Courcelles, una delle partecipanti all’Artificial Intelligence Action Summit che il 10 e 11 febbraio a Parigi ha riunito capi di Stato e di governo, leader di organizzazioni internazionali, amministratori delegati di piccole e grandi aziende, rappresentanti del mondo accademico, organizzazioni non governative, artisti e membri della società civile provenienti da oltre cento Paesi. Il futuro del lavoro è uno dei temi principali trattati al vertice poiché – si legge nel sito del summit – lo sviluppo dell’intelligenza artificiale (IA) “trasforma profondamente i mercati, il contenuto degli impieghi, i compiti e i metodi di lavoro”. E per le (tante) professioni che già ne traggono benefici e che in futuro ne potranno trarre ancor di più, ce ne sono altre che con l’avvento, la diffusione e il continuo sviluppo dell’IA sono addirittura a rischio.

Lo sa bene Emma*, traduttrice diplomata indipendente che si dice più che inquieta, tanto da pensare di doversi cercare un altro impiego. Le avvisaglie del fatto che qualcosa stia cambiando profondamente «c’erano». E i messaggi mischiati agli auguri di buon anno inviati a fine 2024 dalla Confederazione alla rete di traduttori esterni cui Berna fa capo (e di cui Emma fa parte da una ventina d’anni), non promettono gran che di buono. Si parla, senza peraltro fornire dettagli, di un piano di risparmio per i servizi linguistici in allestimento, di misure legate all’utilizzo dell’IA e alla promozione dell’efficacia, difendendo al contempo la professione, i traduttori in Svizzera e la qualità del lavoro.

L’impennata durante il Covid, poi il crollo

La mole di lavoro in questi quasi due decenni è cambiata parecchio; e di conseguenza le entrate finanziarie. «Durante il periodo pandemico c’era stata un’impennata di mandati. In quel lasso di tempo, per lo più nel 2020 e 2021, io e i colleghi che conosco abbiamo lavorato tantissimo. Dopo quei due anni molto intensi, c’è stato un evidente crollo che, pur giustificandosi con la fine dell’emergenza sanitaria, ha comportato un calo ben al di sotto dei livelli di prima del coronavirus, specialmente negli ultimi dodici mesi». Già a inizio 2023 per alcune settimane non aveva ricevuto mandati e – ci dice – non era mai successo. Idem nel 2024, anno in cui il vuoto si è però protratto per più tempo, seguito da una maggiore irregolarità nella proposta di documenti da tradurre. Negli ultimi tempi c’era il sentore che i servizi linguistici della Confederazione stessero valutando l’adozione degli strumenti di traduzione, che in un primo tempo sembrava volessero utilizzare unicamente per le comunicazioni interne. «Ma informazioni ufficiali in tal senso, come traduttori esterni, non ne abbiamo avute». E però alla prova dei fatti il numero di mandati diminuito drasticamente. Una delle risposte sul perché, che Emma e i colleghi si sono dati è appunto l’avvento dell’intelligenza artificiale.

KeystoneIl picco di lavoro durante la pandemia, poi il crollo

Leggendo la mail, «la mia reazione è stata pensare che dovrò cercarmi un’altra occupazione (sorride un po’ amaramente, ndr). Mi spiego. Se l’evoluzione riscontrata negli ultimi anni non inverte la tendenza o perlomeno non si stabilizza, non vedo un grande futuro per la mia professione. E lo dico veramente a malincuore, perché questo mestiere l’ho sempre amato: mi ha dato tantissimo e penso di avergli dato anche io qualcosa. Mi rendo però conto che l’intelligenza artificiale lo sta profondamente cambiando e, magari, più che di un futuro della traduzione si deve parlare di un futuro della revisione. Per quanto manchino indicazioni di se e in quale misura la Confederazione intenda far ricorso all’IA in sostituzione delle persone, è indubbio che si vada verso una situazione in cui sempre più testi verranno tradotti da questi sistemi, che sono anche utili e che non voglio assolutamente demonizzare. È indubbio che possono velocizzare e talvolta razionalizzare il nostro lavoro; ma credo che si andrà più nella direzione della verifica di contenuti e non della traduzione». Non sarebbe (stato) male – aggiunge Emma – se invece di una vaga richiesta di scambio di esperienze in merito all’utilizzo dell’IA, la Confederazione avesse fatto (o facesse) un ragionamento a monte. Cioè «consultandoci, su quali secondo noi professionisti sono i tipi di testo che si prestano meglio per una traduzione artificiale, quali invece meno e quali no». Ma, tiene a precisare, finché non vede «nero su bianco la comunicazione di una decisione chiara da parte di Berna, non mi permetto di trarre conclusioni e men che meno di prendermela con chicchessia, anche perché i rapporti sono sempre stati ottimi e non ho motivo perché non possa continuare a essere così».

Esperti di nulla, un po’ tuttologi

Emma stimava il suo impegno professionale annuale medio pari a un impiego all’80 per cento, con periodi (come quello della pandemia) anche del 120 e altri (in generale i primi mesi dell’anno o durante le vacanze) del 50%. «Oggi è sì e no attorno al 30%. Capisco le esigenze di risparmio e razionalizzazione addotte dalla Confederazione: in quanto cittadina in qualche modo ne beneficio anche io. E comprendo che, pur essendo un Paese con ben quattro lingue nazionali, la traduzione non venga posta tra le maggiori priorità. Lungi da me il voler semplicemente difendere il mio orticello, ciò che mi pare giusto e corretto nei nostri confronti è sapere dove siamo e soprattutto dove stiamo andando. E apprezzerei se la nostra categoria venisse coinvolta nel processo, invece di trovarsi magari di fronte al fatto compiuto, ossia a scelte calate dall’alto per quanto legittime». Un’implicazione maggiore del settore delle traduzioni potrebbe «esserci utile anche per capire quali altri sbocchi e attività possiamo avere e soprattutto quale futuro avrà la nostra professione. Anche perché ognuno deve fare i propri conti, non solo lo Stato. E prima si possono fare i conti, prima si può chinarsi su eventuali prospettive, alternative o cambi professionali».

Alternative e sbocchi che non sembrano portare al settore privato, che «per primo ha intuito certe tendenze e, anche in un’ottica di contenimento dei costi, è stato pioniere nel ricorrere all’IA». Così i clienti privati che Emma ha comunque mantenuto, accanto all’impegno con il settore pubblico, negli anni «per un motivo o per l’altro non sono più tornati». Leggendo e scrivendo degli argomenti più disparati, i traduttori accumulano numerose conoscenze e competenze. «Siamo un po’ tuttologi, ma senza altri diplomi che ci potrebbero permettere poi di candidarci per una posizione in ambiti diversi». E dunque? L’idea di una riqualifica professionale, considerati molti fattori («non da ultimo l’età», butta lì ridendo), al momento Emma non la sta valutando. Sta invece «pensando di andare nella direzione di cercare qualcosa che mi consenta di usare ciò che conosco e so usare, ossia le lingue».

Parola per parola, ma non solo

Capire cosa significhi tradurre è anche comprendere perché l’intelligenza artificiale è sì più rapida, ma non (sempre) altrettanto o più efficace dell’umano. Perché un traduttore non si ‘limita’ a scrivere un testo in un’altra lingua. Anche se molto dipende – spiega – da cosa s’intenda per traduzione. «Per me non è soltanto rendere il contenuto di un documento di partenza comprensibile per il lettore finale; ma anche, se non soprattutto (ed è pure questo un aspetto che mi piace del mio lavoro) garantire una coerenza all’interno dello scritto. E questo implica tanta ricerca. Faccio un esempio: se si parla di una persona che ha fatto questo o quello, io tutti quegli elementi vado a verificarli e a volte scopro che è sbagliata una data, o la funzione e le cariche che ha ricoperto o addirittura il nome. In generale non si tratta solo di trovare eventuali errori o sviste (come un articolo di legge al quale si fa il rimando che non è corretto), ma anche di capire se un determinato termine è quello giusto. Voglio essere sicura che quello che scrivo è esatto e voglio garantire una coerenza terminologica che ritengo fondamentale». Un lavoro di verifica, questo, che è comunque fatto a discrezione personale: «C’è il traduttore che ne fa di più per proprio scrupolo, quello che ne fa meno»; ma in entrambi i casi il compenso non cambia, dato che la tariffa concordata è comprensiva di tutto (telefonate, invio mail, documentazioni varie). «Quando segnalo un’imprecisione, ricevo sempre dei riscontri positivi. Per finire, questo è un lavoro di team: poter migliorare anche il testo di partenza, credo che sia nell’interesse dello stesso committente il quale, per rimanere alla Confederazione, esce al contempo con testi in tre lingue». Il risultato finale di un testo tradotto con l’intelligenza artificiale, invece, «dipende anzitutto dalla qualità dello scritto di partenza. Pur essendo molto validi, gli strumenti di traduzione automatica non si curano di determinati aspetti. Se ci sono due frasi identiche, l’IA non se ne accorge e si limita a tradurle; se per esprimere un concetto viene prima usato un termine e per lo stesso concetto dopo ne viene usato un altro, l’IA non se ne accorge; l’IA non coglie certe sottigliezze e talvolta nemmeno l’ambito (se giuridico o divulgativo) e questo influisce sui termini ‘scelti’ nella traduzione. E di sicuro l’IA non si occupa di fare quelle verifiche incrociate di cui parlavamo prima». Con un utilizzo più diffuso degli strumenti automatici si andrà verso un altro tipo di lavoro, «completamente diverso dalla traduzione».

Tra passato e futuro

Rapidità invece di qualità?

In veste di traduttrice esterna, da diversi anni Emma ha un accordo formalizzato tramite contratto quadro, da rinnovare ogni quattro anni. Contratto che garantisce la tariffa concordata inizialmente tra le parti – che Berna riconosce per cartella: 1’800 caratteri spazi inclusi –, ma non stabilisce né assicura un numero esatto né minimo di mandati. In base alla qualità di ogni lavoro fornito e al feedback dato dal revisore interno, la Confederazione inserisce i traduttori negli elenchi dei professionisti ai quali fare maggiore o minor ricorso.

Molto variati sono tipologia, contenuto e lunghezza dei testi, che Emma traduce soprattutto dal tedesco all’italiano (meno sovente dal francese): si può andare da una-due pagine a documenti di 180 pagine. Può trattarsi di un testo di legge, della modifica di un’ordinanza di legge con il relativo rapporto esplicativo, del risultato di una procedura di consultazione, di un opuscolo divulgativo, di piccole biografie su personaggi che hanno fatto la storia in un determinato ambito. «Si spazia davvero molto ed è anche questo il bello del mio lavoro, perché attraverso le ricerche che si fanno per tradurre un testo, ci si arricchisce». Quando sono molto corposi, i documenti vengono suddivisi fra più traduttori per poter stare in tempi «che non sono tanto elastici. Ho spesso lavorato sotto pressione, ma quello non è mai stato un problema. Negli anni ho finito per lavorare anche dal lunedì alla domenica e, per quanto a cadenze irregolari, c’è sempre stato un flusso continuo di mandati, non sono mai rimasta senza lavoro e sono sempre riuscita a coprire tutto l’anno».

KeystoneTradurre non è limitarsi a scrivere un testo in un’altra lingua

La domanda, scherzando ma non troppo, se andrà in pensione da traduttrice «me l’ero posta già parecchio tempo fa». Il futuro non lo vede troppo roseo. «Credo che alcune facoltà formatrici di traduttori rischino seriamente di chiudere, perché non c’è già più una gran richiesta di professionisti». Il vantaggio maggiore dell’intelligenza artificiale è ovviamente la rapidità: per lo stesso volume di pagine, una macchina è molto più veloce. «Voglio però credere che ci vorrà sempre l’umano che controlla e garantisce la qualità. Sempre che ci si tenga alla qualità; poi si potrebbe aprire il capitolo dell’impoverimento generalizzato della lingua che, mi piange il cuore dirlo, è evidente nel modo di scrivere e di parlare. Ci si accontenta, ciò che conta è che passi il messaggio. Sebbene sia proprio il modo in cui un messaggio viene espresso, che contribuisce a rendere l’informazione più o meno chiara. Perché le parole contano. A questo proposito, per tornare alla mia professione, nella traduzione dal tedesco la lingua italiana ha molte più sfumature, aborrisce un po’ la ripetizione e cerca più sovente un sinonimo e l’IA questo lavoro non lo fa. Se in tedesco c’è la stessa parola dieci volte, nello scritto in italiano metterà dieci volte lo stesso termine; col risultato che il testo finale rischia di essere ridondante, pesante e non piacevole da leggere. Ma oggi, a quanto pare, è uno degli aspetti che contano poco».

* nome di fantasia, l’identità è nota alla redazione