Intervista al professor Amos Goldberg. ‘Se non si è ideologicamente prevenuti, si può vedere che la società in quanto tale non esiste più’
Specialista della Shoah, professore di Storia all’Università di Gerusalemme, Amos Goldberg in un articolo apparso sul sito israeliano Local Call ha preso posizione su una questione particolarmente scottante, quella della definizione giuridica del massacro in corso a Gaza. Per lui non vi sono dubbi: a Gaza è in corso un genocidio. La Corte internazionale di giustizia dell’Aja aveva ritenuto ricevibili le accuse del Sudafrica, e in attesa della sentenza la discussione si è infuocata anche perché la scelta lessicale ha grandi implicazioni giuridiche e riapre ferite nella memoria storica e nell’identità dello Stato ebraico. Gli abbiamo chiesto di spiegarci le ragioni che lo spingono a denunciare senza mezzi termini un “genocidio”.
«Prima di rispondere alla sua domanda, voglio condividere con lei lo shock e il trauma del 7 ottobre. Il conflitto non è iniziato quel giorno e ha ovviamente un contesto. Per molti anni sono stato molto attivo a vari livelli contro l’occupazione e l’apartheid, e per una soluzione equa tra israeliani e palestinesi. Tuttavia, il 7 ottobre è stato atroce, criminale e scioccante per me e per tutti in Israele».
Non si aspettava nulla del genere.
Sapevo naturalmente che l’idea di Netanyahu di emarginare la questione palestinese con la firma degli accordi di Abraham era una pura illusione e che a un certo punto ci sarebbe stata una ritorsione. Ma l’aspetto criminale dell’attacco, l’uccisione di così tanti civili, la distruzione di così tante case, la presa di così tanti ostaggi tra cui bambini e anziani, è stato per me uno shock, un trauma fortissimo per ciò che ho provato, ciò che ho pensato e penso oggi.
Mi rendo conto che questa è una premessa importante per la sua risposta.
Esattamente. Da un lato ci è voluto del tempo per digerire quanto successo ed elaborare il lutto. Dall’altro, mi è servito del tempo per iniziare a riconoscere ciò che noi – Israele – stiamo facendo, anche se ero pienamente consapevole che proprio in circostanze così traumatiche gli Stati sono più propensi a commettere crimini di massa. Come essere umano, come israeliano e come studioso penso che a Gaza sia in atto un genocidio. Anche se Israele aveva il diritto all’autodifesa dopo l’attacco criminale di Hamas, ha rapidamente oltrepassato la linea della moralità di ciò che è accettabile, violando tutte le leggi umanitarie e il principio di proporzionalità. A mio avviso, siamo implicati in un genocidio che è tuttora in corso.
Cosa glielo fa credere esattamente?
Innanzitutto vorrei distinguere tra il significato giuridico e quello storico-sociale di genocidio. A livello giuridico – premetto che non sono un esperto – dovremo aspettare il verdetto della Corte internazionale di giustizia (Cig). Ma già a gennaio la stessa Cig ha stabilito che ci sono ragioni per supporre che a Gaza si stia consumando un genocidio. Legalmente un genocidio non significa necessariamente una distruzione totale. La Convenzione afferma che un genocidio è costituito da alcuni atti (che essa specifica) compiuti con l’intenzione di distruggere in tutto o in parte un gruppo etnico, religioso, razziale o nazionale, non necessariamente l’intera popolazione come nell’Olocausto. Questo crimine richiede anche l’intenzione di compierlo, e l’infinita e documentata retorica genocida che ha prevalso in Israele – dal primo ministro al soldato semplice – fornisce una solida prova dell’intenzione di commettere un genocidio. Molti studiosi di diritto ritengono che sia così.
Vediamo allora cosa è successo e sta succedendo secondo lei a Gaza.
Sì, qui siamo sul livello storico. A Gaza abbiamo un numero enorme di vittime: 44mila persone sono già state uccise e si stima che almeno 10mila siano sepolte sotto le macerie. Il 70% circa dei morti sono bambini e donne. E non tutti gli uomini uccisi erano combattenti di Hamas, alcuni di loro erano anziani o non legati ad Hamas e certamente non combattenti di Hamas. Aggiungiamo 105mila feriti, molti dei quali probabilmente non sopravviveranno perché le infrastrutture mediche sono quasi completamente distrutte. E dobbiamo aggiungere quello che gli esperti chiamano “genocidio per logoramento”, che è in effetti menzionato nell’articolo due clausola c della Convenzione sul genocidio: creare circostanze che portano, come a Gaza, a una morte di massa a causa della mancanza di cibo e di medicine. Molte migliaia di persone sono già morte o moriranno a causa di questo... Complessivamente abbiamo il 20-30% della popolazione che è morta, o sta morendo silenziosamente, è ferita o è fuggita dalla Striscia. Quasi tutti gli abitanti sono stati sfollati dalle loro case. E oltre a questo Gaza è quasi completamente distrutta, comprese quasi tutte le infrastrutture, mentre i dirigenti sono stati uccisi. Il crimine di genocidio, come lo vedeva già Raphael Lemkin (autore della definizione giuridica dell’Onu, ndr) è la distruzione di una collettività. Se non si è ideologicamente prevenuti, si può vedere che Gaza e la società in quanto tale non esistono più. L’intero quadro è quello di un genocidio.
Tuttavia Netanyahu afferma che non c’è alternativa alla lotta contro i terroristi e che l’accusa di genocidio è solo l’espressione dell’antisemitismo.
C’è sempre un altro modo di combattere una guerra. Ma se Netanyahu ha ragione, perché allora ci sono un centinaio di medici americani che testimoniano di aver visto molti neonati e bambini uccisi dai cecchini? I cecchini hanno armi telescopiche e sanno benissimo dove sparare. Perché morire di fame? Perché bloccare gli aiuti umanitari? Perché uccidere 300 persone e distruggere un intero quartiere per eliminare un solo comandante di Hamas? Antony Blinken, che sostiene ciecamente Israele, ha dichiarato nel marzo 2023 che gli Stati Uniti riconoscono ciò che è accaduto ai Rohingya in Myanmar come un genocidio, mentre le prove dell’intenzione erano di gran lunga meno chiare, e il numero di morti e il volume della distruzione erano di gran lunga inferiori a quelli di Gaza.
E l’accusa di antisemitismo?
Questa accusa è un automatismo. Ogni volta che Israele viene accusato di qualcosa, tira fuori la carta dell’antisemitismo. Non credo che impedire un genocidio o una violazione dei diritti umani possa essere considerato antisemita. Quando accusano di antisemitismo è perché non hanno argomenti sostanziali per giustificare ciò che fanno. Non sono sicuro che loro stessi ci credano. Questo non vuol dire che l’antisemitismo non esista. Esiste, anche nella sinistra, e bisogna occuparsene. Ma questo non ha nulla a che vedere con il fatto di denunciare Israele per quello che fa.
Avraham Burg, ex presidente della Knesset, ha affermato che il ricordo della Shoah ha reso Israele insensibile alle sofferenze degli altri. Oggi abbiamo l’impressione che Israele stia perdendo la sua anima e che la tradizione ebraica di tolleranza appartenga al passato o sia sopravvissuta solo in parte nella diaspora ma non più in Israele.
Sì, purtroppo sono d’accordo. Secondo me non è solo a causa dell’Olocausto, ma soprattutto a causa della guerra permanente: Israele non ha mai riconosciuto i diritti dei palestinesi, li ha disumanizzati e ha occupato la Cisgiordania per 57 anni annettendola gradualmente. Questo è strutturale e noi israeliani stiamo perdendo la nostra anima, diventando sempre più razzisti: purtroppo abbiamo molti fascisti che ci sostengono in questo comportamento, ma anche sostenitori mainstream in tutto il mondo che così perdono a loro volta la loro anima.
Come vede il futuro? C’è ancora una soluzione politica, due Stati o uno Stato che possa garantire la giustizia per entrambi?
A essere onesti, per quanto posso vedere non c’è alcuna possibilità di una semplice soluzione a due Stati perché la geografia e la demografia non lo permettono più. Ci sono più di 700mila coloni in Cisgiordania (compresa Gerusalemme Est). E nella società israeliana non c’è la volontà politica di considerare i palestinesi come esseri umani e di raggiungere un accordo che garantisca loro uguaglianza, dignità e autodeterminazione. Non vedo alcuna prospettiva che questo possa cambiare nel corso della mia vita, e ho 58 anni. Sono molto pessimista quando vedo il processo che la società israeliana sta attraversando. Con il mio collega e amico palestinese Bashir Bashir, nei nostri libri sull’“Olocausto e la Nakba” (tradotti in italiano) abbiamo immaginato un modo binazionale – quello che Bashir chiama binazionalismo egualitario – di pensare alla Storia e a una soluzione politica. Il principio è molto semplice: ebrei e palestinesi dovrebbero vivere tra il fiume Giordano e il mare, godendo di diritti collettivi e individuali pienamente uguali, senza che nessuno goda di alcun privilegio o supremazia. Ma da questo punto di vista è talmente irrealistico che non può nemmeno essere considerato un’utopia e neanche fantascienza.