Da Lugano a Ginevra, l'architetta del paesaggio Sophie Agata Ambroise sta rimodellando quartieri per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici
Alluvioni improvvise e siccità prolungate sono le bestie nere della nostra epoca, che stanno causando danni ingenti, mettendo a dura prova valli e città, coperte per lo più da asfalto e cemento. Una ‘pelle’ urbana che non riesce a smaltire velocemente l’acqua piovana durante i forti temporali e, se lo fa, la disperde, anche nelle fognature, senza conservarla. Una nuova sfida per amministratori e professionisti, che stanno progettando diversamente gli spazi urbani. Un esempio sono città e quartieri spugna che grazie a pavimentazioni permeabili e altre astuzie riescono a captare, drenandola, l’acqua piovana, indirizzandola, ad esempio verso le aree verdi. Altra sfida: i fiumi. Prosegue, seppur a rilento, il ‘ripristino’ dei corsi d’acqua, precedentemente canalizzati, a uno stato quasi naturale: il tutto promosso e finanziato da governo federale, Cantoni e Comuni. L’idea è che i fiumi rinaturalizzati hanno un alveo più largo che rallenta la corrente, attenuando le inondazioni a valle, avendo la possibilità di tracimare ai lati. Qui entra in gioco l’architettura del paesaggio: “Una professione quasi misconosciuta, oggi alla ribalta, che sa proporre soluzioni pratiche anche per mitigare le conseguenze della crisi climatica nella gestione delle acque, del verde e della terra”, ci spiega Sophie Agata Ambroise, architetta del paesaggio. La incontriamo nel suo studio Officina del Paesaggio ricavato in un’antica casa nel Lugansese, immersa in una rigogliosa vegetazione. Il luogo traboccante di vita rispecchia la sua filosofia: far respirare la natura nel cuore pulsante della vita urbana. “Se una volta natura e città erano separate, oggi ci si è accorti che non c’è un limite tra flora, fauna, acqua ed esseri umani, non c’è un dentro e un fuori. Oggi si tende a densificare le aree urbane dove ci sono già servizi e infrastrutture, potenziando oasi naturali, che regalano ai cittadini qualità di vita e benessere”.
Col suo team, con le sue visioni ha saputo convincere diverse municipalità in Ticino e in Svizzera che le hanno di recente affidato importanti progetti. Uno tra i suoi primi lavori è stata la Foce a Lugano: “Era un triste derelitto. Poi abbiamo pensato che il fiume Cassarate poteva diventare il cuore della nuova Lugano. Senza stravolgere nulla, abbiamo ridato alla Foce la sua identità, creando passerelle, isolette”. Oggi è frequentata dal manager in pausa pranzo, dalla pensionata coi nipotini, dagli adolescenti bloccati in città perché le mamme lavorano e non possono portarli al mare. Ancora Ambroise: “Si diventa turisti nella propria città. Tutti possono mettere i piedi nell’acqua, rinfrescarsi senza dover raggiungere le cascate nelle valli. In un mondo accelerato e sempre più tecnologico, queste oasi di natura primordiale creano un piacevole spaesamento, un altrove che accoglie, rimette in armonia, fa vibrare emozioni profonde nel mezzo di città dense di costruzioni”. Una nuova convivenza urbana tra umani, flora e fauna che fa bene a tutti. “Mi ha commossa vedere le lucciole alla Foce. Questo grazie a una ritrovata biodiversità”. C’è di più. Avere tanta bellezza sotto gli occhi tutti i giorni aiuta ad apprezzarla, amarla e quindi proteggerla.
Una convivenza a tratti difficile. Specchi e corsi d’acqua più naturali, ma doverosamente più sicuri. Entro 80 anni, i fiumi elvetici saranno ritornati a uno stato quasi naturale perché i fiumi rinaturalizzati reagiscono meglio alle piene, potendo assorbire più acqua. Per realizzare questo piano governativo elvetico, occorre rinaturalizzare 50 chilometri di corsi d’acqua ostruiti l’anno. Si riesce a malapena a farne 18. “Rinaturalizzare significa allargare l’alveo, rallentare la corrente, erodere meno il letto del fiume. Mentre un fiume incanalato, oltre a non avere vita e non essere fruibile dai cittadini, esonda più facilmente: non avendo ostacoli, è più rapido”.
Nelle città elvetiche a cavallo dei fiumi, la tendenza, continua l’architetta paesaggista, è quella di densificare i centri riunendo le attività urbane dove ci sono già infrastrutture, mezzi pubblici, servizi, per consumare meno suolo, inserendo tutto “in armonia sulla trama blu dei fiumi, quella verde della vegetazione e quella bruna della terra”. Densificando i nuclei urbani, occorre dezonare i terreni lungo i fiumi per allargarli, renderli più sicuri e fruibili ai cittadini. “Chi deve rinunciare a un campo va compensato, occorre costruire un consenso tra vari interessi in gioco. Molte città lo stanno facendo, proponendo, ad esempio, uno scambio di indici, permettendo di costruire in città, ad esempio in altezza”. In ballo c’è davvero tanto. Secondo gli esperti dell’Università di Berna coi cambiamenti climatici ci si deve aspettare un aumento della portata d’acqua del 10-20 per cento: già un incremento del 10 per cento – secondo il laboratorio Mobiliare per la ricerca sui rischi naturali – comporta un aumento dei danni agli edifici del 40 per cento. Con il 20 per cento i danneggiamenti salirebbero dell’80 per cento.
Per evitare l’allagamento dei centri urbani si punta a progettare con la strategia della città spugna. “Riducendo le superfici sigillate con l’asfalto, il terreno respira, diventa più permeabile. Basterebbe usare, ad esempio, il ghiaietto o il calcestre”, spiega l’esperta. Le città spugna non si allagano, e ridistribuiscono l’acqua alla vegetazione urbana. Proprio come fa la spugnetta da cucina, che assorbe l’acqua in eccesso e la ridà. Un circolo idrico virtuoso che attenua i disastri delle ‘bombe d’acqua’ e alimenta in tempi di siccità le oasi verdi in città, che rinfrescano dall’afa estiva. Al riguardo, lo studio, Officina del Paesaggio, fondato dall’architetta Ambroise, si è appena aggiudicato due importanti progetti, di spazi pubblici frutto di Msp (Mandati di Studi in Parallelo) in cui la figura dell’architetto-paesaggista era pilota. Uno a Sion, dove la sfida è appunto quella di rimodellare due ‘boulevards’ centrali, rendendoli luoghi di incontro, più freschi, più traspiranti, quindi con più biodiversità e vegetazione, che necessita di poca manutenzione. “Come in altre città svizzere, anche a Sion si punta a recuperare l’acqua piovana per il verde cittadino. È una rivoluzione. Significa fermarla prima. Stiamo ripensando i luoghi verdi che creano una rete di vita permeabile, usando materiali porosi, piante, che possano rallentare e raccogliere l’acqua”.
Allearsi con la natura è la via scelta da molte città elvetiche per fronteggiare alluvioni e canicole. Città più verdi svolgono un ruolo decisivo: la vegetazione può garantire temperature sopportabili. Gli alberi hanno un effetto rinfrescante: le foglie captano polveri e gas, le radici immagazzinano acqua, la loro ombra compensa le temperature estreme anche di parecchi gradi. “A Ginevra ad esempio non si può abbattere nessun albero. Nei prossimi decenni il 30 per cento della superficie complessiva dello spazio pubblico sarà ombreggiata da vegetazione”.
Anche in Ticino, le città stanno cercando di valorizzare e rendere più sicuri i serpenti blu che le attraversano. A Bellinzona, Consorzio Correzione Fiume Ticino e Città, con il sostegno di Cantone e Confederazione, stanno ridando nuova vita al Ticino in un progetto a più tappe che vede il fiume, e non la Collegiata, come nuovo cuore blu e verde: “Con tre semplici aperture il fiume rinaturalizzato ha rallentato, c’è più diversità acquatica, diverse piante pioniere che portano freschezza. Il fiume è più sicuro e accessibile a tante famiglie che trascorrono in zona Torretta molte giornate estive”. L’ampio progetto di rinaturalizzazione del parco fluviale Saleggi-Boschetti realizzerà nuovi luoghi di svago, in città, completamente immersi nella natura.
Altra visione, il lungolago, da Paradiso a Gandria che Ambroise sogna più fruibile: “Consolidando i muri di sponda, si potrebbero creare, ad esempio, passerelle, semplici gradinate, gruppetti di massi, piccoli accorgimenti per rendere accessibile, in sicurezza, le rive ai cittadini”.
Non solo Ticino, perché l’estro della luganese ha fatto centro anche a Ginevra dove dovrà disegnare due chilometri di lungofiume, dove l’Arve incrocia il Rodano. Qui è sorto un nuovo quartiere di Ginevra (il Praille Acacias Vernets), ci vivono 20mila persone. “Abbiamo pensato a una foresta molto selvatica con amache, ponti di corda, passerelle, con un tocco poetico: un’isola per gli uccelli migratori. Luoghi che possano creare una rottura, forti estraniamenti, un altrove che accoglie e rimette in armonia e in connessione profonda, nonché combattere le isole di calore», conclude.