L'Ustat ha misurato per la prima volta i flussi tra residenti e frontalieri e quanto sono duraturi i cambi di domicilio. Le storie di Emanuele e Giordano
Sempre meno frontalieri diventano residenti, mentre sempre più residenti diventano frontalieri. È questa la tendenza decennale emersa dallo studio ‘I flussi tra residenti e frontalieri. Quanto sono duraturi i cambi di residenza?’ (febbraio 2024) con il quale l’Ufficio di statistica del canton Ticino (Ustat) ha misurato per la prima volta il numero di persone che ogni anno cambiano il loro statuto. Un monitoraggio del fenomeno che “diventerà ancor più centrale – si legge nel preambolo del documento firmato da Maurizio Bigotta e Vincenza Giancone – per poter comprendere se i cambiamenti legislativi in atto, come quelli legati alla fiscalità dei frontalieri, porteranno anche a nuove dinamiche sulla scelta di residenza.
Concentrandosi sulla durata degli spostamenti da una parte all’altra della frontiera, l’analisi mira a comprendere se una volta avvenuto il cambiamento di statuto, questo si mantiene nel tempo o se si tratta di un passaggio temporaneo. I risultati evidenziano che per i frontalieri che diventano residenti si tratta di una decisione duratura, invece per i residenti che diventano frontalieri emerge un maggiore dinamismo già dal primo anno dopo il trasferimento.
È inutile girarci attorno. Il motivo per il quale mi sono trasferito in Italia, quasi cinque anni or sono, è essenzialmente economico. Lavoro nella medesima azienda da una trentina d’anni e da qualche tempo mi è stata ridotta la percentuale. Si era venuta a creare una situazione in cui a pesarmi di più, le dirò, erano in particolare i costi di cassa malati che su un salario di poco più di quattromila franchi, incidevano parecchio. In un primo tempo avevo pensato al canton Grigioni, dove tutto costa un po’ meno. Per vari motivi non se n’è fatto nulla e per finire è andata bene così anche in termini di chilometri percorsi, perché rispetto al mio posto di lavoro sarei stato più distante rispetto a dove abito. C’è di mezzo una frontiera, ma in pratica è come se abitassi in qualunque posto in Ticino a venti chilometri dalla ditta in cui sono impiegato.
Spostandomi in un paese nella zona di confine, sono passato dal pagare ogni mese 1’500 franchi di affitto e 500 di cassa malati, a una pigione di 600 Euro. Questo passo mi ha permesso decisamente di respirare in termini finanziari. In termini di ‘bellezza’, non posso dire che la regione dove sto mi piaccia particolarmente. Non è l’Italia da cartolina, per intenderci. E poi diciamocela tutta: il Ticino è veramente bello! Però purtroppo in certe situazioni non si può vivere di sola bellezza. Quando si è in difficoltà, non ci si può permettere granché in termini di attività nel tempo libero. Anche cose come gli scarponcini per andare in montagna o un pasto consumato in una capanna alpina non sono spese sostenibili e di certo non hanno la priorità su affitto, sanità, imposte. Per quanto piuttosto sottotraccia, quello dei cosiddetti working poor è un fenomeno dal quale anche la ‘ricca’ Svizzera non sfugge.
Da quando vivo là, oltreconfine, oltre a fare la spesa di alimentari e abbigliamento (come peraltro molti residenti in Ticino), vado dal dentista, porto l’auto dal meccanico e via dicendo. Tutto costa meno e il risultato è che con gli stessi soldi con i quali prima faticavo a vivere, in Italia potrei risparmiare centinaia di franchi al mese. In questi anni sono riuscito anzitutto a sanare la mia situazione finanziaria, poi a mettere da parte qualcosa e oggi posso permettermi ad esempio di uscire a cena o andare dal parrucchiere con più frequenza; ciò che prima era impensabile. Da questo punto di vista è stata una scelta giusta. Ora ha cominciato a farsi strada l’idea di rientrare in Ticino. Però non a tutti i costi: cioè torno, se trovo un bell’alloggio, in una zona che mi piace perché è bello abitare in un posto in cui si sta bene. Altrimenti resto dove sono. Certo è che, venendo in Ticino, perderei il beneficio economico dato da un costo della vita più basso in Italia. È una riflessione che ho iniziato e mi sto guardando in giro senza fretta, perché dove sto, non mi manca nulla. Però mi lasci dire una cosa: per me l’Italia è stata una salvezza.
* nome noto alla redazione
Io e mia moglie Grazia siamo di Nola, in provincia di Napoli, abbiamo 28 anni ed entrambi lavoriamo alla Rsi, dove io mi occupo del bar. Venuti a conoscenza della figura del frontaliere, nel novembre 2018 abbiamo deciso di spostarci al Nord per cercare lavoro in Svizzera, rimanendo però a vivere in Italia. Ci siamo stabiliti a Como dove abbiamo lavorato per il primo anno nell’ambito della ristorazione. Poi abbiamo trovato impiego in Svizzera con permesso G e così ha preso avvio la nostra vita da frontalieri. Più che i chilometri, a risultare un po’ stressante era il traffico in uscita ed entrata di Como e con il passare del tempo le ore buttate in colonna (che inevitabilmente allungano la giornata) si sono fatte più pesanti.
Como ci piaceva, è una città di cui è facile innamorarsi: viverci è bello e per di più noi abitavamo sul lago, sembrava di essere turisti in casa. Però, specie a livello di servizi e burocrazia, l’Italia è un Paese complicato e non sempre efficiente; ciò che a lungo andare pesa. A maggior ragione se, come nel nostro caso, si scopre una realtà in cui invece le cose funzionano. Venendo a lavorare qui (in Svizzera, ndr), tutto ci è sembrato subito più bello, più pulito, più funzionante. Tutto più tutto. E così ha iniziato a balenarci in testa l’idea di trasferirci al di qua del confine. Idea che ha preso corpo durante la pandemia, periodo nel quale abbiamo avvertito un po’ di incertezza relativa alla possibilità o meno, per i frontalieri, di continuare a spostarsi nonostante le restrizioni imposte dalla situazione sanitaria. Nei primi mesi di lockdown abbiamo avuto modo di riflettere e nonostante l’indubbio vantaggio economico di lavorare in Svizzera e vivere in Italia, avvertivamo la sensazione di sbagliare a rimanere a Como. Ci mancava qualcosa.
Nel 2020 ci siamo trasferiti a Chiasso, cittadina funzionabilissima. L’appartamento nel quale viviamo oggi ci era piaciuto subito e si trova in una zona incantevole, tranquilla e vicina ai negozi. L’affitto è passato da 900 Euro a 1’030 franchi al mese poi diventati gli attuali 1’180. Rimane un prezzo accessibile e inferiore a quanto, per immobili simili, era richiesto in altre zone, specialmente a Lugano e dintorni. Alla quota per l’appartamento di Como, 50 metri quadrati in uno stabile vecchio, si aggiungevano però le spese che portavano il totale a oltre mille euro mensili; mentre la pigione attuale è per un bilocale con balcone e garage.
Ora come ora, l’idea di tornare a vivere in Italia non c’è proprio. Per nulla! Una volta che ci si abitua ad avere una certa qualità di vita e ottimi servizi, si fatica a pensare di farne a meno. Prendiamo la sanità: è vero che i costi delle casse malati sono notevoli, ma il sistema sanitario qui funziona molto bene. Certo, noi possiamo contare su due stipendi però non sono paghe stratosferiche, eppure riusciamo a sostenere uscite che alcuni mesi sono importanti. La differenza di oneri, rispetto all’Italia, è indubbia; ma altrettanto indubbia è la differenza in termini di stabilità. Che per molti versi non ha prezzo. Quindi no, non ci siamo mai detti che il trasferimento è stato uno sbaglio, anzi rimaniamo convinti che sia stata la scelta giusta. Per me, la Svizzera merita.
Meno mobili negli anni a venire rispetto a chi fa il movimento inverso, le 7’417 persone che rientrano in questa categoria sono state suddivise in sette gruppi (cluster) di traiettorie. Il primo: chi, una volta diventato residente in Ticino, rimane tale anche nei tre anni seguenti (5’732 persone; il 77,3% di chi da frontaliere diventa residente); con una sovrarappresentazione di svizzeri, donne e ultra 35enni. Il secondo: chi, dopo essersi trasferito in Ticino, continua la sua migrazione verso il resto della Svizzera negli anni successivi (225, il 3%); con svizzeri e giovani (15-34 anni) presenti in quote maggiori rispetto alla media. Il terzo, quarto, quinto e sesto: “cluster” maggiormente associati a un ritorno verso l’estero, con una non sorprendente sottorappresentazione di svizzeri. Tra coloro che dopo essere diventati residenti sono tornati all’estero come frontalieri, 131 (1,8%) lo hanno fatto già l’anno successivo e 341 (4,6%) nei due anni seguenti, con giovani fino a 34 anni sovrarappresentati in entrambi i casi; tra coloro che sono ripartiti verso l’estero senza più tornare frontalieri, 312 (4,2%) hanno perso ogni legame con la Svizzera dopo solo un anno e 298 (4%) nel secondo o terzo anno; in entrambi i gruppi prevalgono giovani fino ai 24 anni e persone più vicine all’età di pensionamento. Il settimo “cluster”, il più eterogeneo, è composto dalle 378 persone (5,1%) che dopo due anni da residenti in Ticino si sono spostate nel terzo anno, principalmente verso l’estero (senza essere frontaliere) o il resto della Svizzera; con una presenza relativamente più marcata di giovani tra i 15 e i 24 anni, età che potrebbe essere caratterizzata da spostamenti importanti anche legati a nuove opportunità professionali o formative.
Tra quanti dal Ticino si sono spostati all’estero, si è osservato un maggiore dinamismo. Anche le 3’303 persone di questa categoria sono state classificate in sette “cluster” di traiettorie.
Il primo: chi rimane frontaliere dopo tre anni (1’096 persone, ossia il 33,2% di coloro che da residenti diventano frontalieri), con una sovrarappresentazione di persone tra i 35 e i 54 anni. Il secondo e il terzo: chi, dopo essere divenuto frontaliere, lascia anche il legame lavorativo con la Svizzera e resta residente all’estero; con 662 persone (20%) che hanno lasciato subito l’attività e 268 (8,1%) che lo hanno fatto soprattutto dopo due anni e in maggioranza si tratta di stranieri e ultra 55enni. Il quarto e il quinto: chi rientra in Ticino entro il periodo analizzato dallo studio, in prevalenza svizzeri e giovani 15-24 anni per un “cluster” e dai 34 anni per l’altro, di cui 600 (18,2%) sono tornati immediatamente e 197 (6%) negli anni successivi (specie nel secondo). Il sesto: le 188 persone (5,7%), maggiormente svizzeri e giovani 15-24 anni, che dopo essere diventate frontaliere tornano residenti ma nel resto della Svizzera. Il settimo “cluster” è il gruppo residuale di 292 persone (8,8%) più difficili da definire, soprattutto svizzeri e 55-65enni, ma pure 35-44enni.