Vincenti e così diversi. ‘Lui l'ideale di svizzero, sulla ticinese critiche fuori luogo’. L'analisi del prof. Fabien Ohl, sociologo dello sport a Losanna
Stessa nazionalità. Stesse discipline praticate (nessuno dei due gareggia in slalom). Stesso predominio in una stagione chiusa con sette coppe in due, tra cui quelle di vincitori delle rispettive classifiche generali. Due campioni eccezionali, due immagini un po’ diverse.
Lui è Marco Odermatt: indiscusso beniamino in Patria dove s’è scatenata una vera e propria ‘Odi-mania’, conta sostenitori e ammiratori anche in quei Paesi tradizionalmente rivali (su tutti: l’Austria). Del 26enne di Buochs piacciono il carattere forte e competitivo, certo, ma al contempo gioviale; il forte senso di squadra (qualcuno lo ricorderà inquadrato dalle tv mentre segue con apprensione le discese dei compagni), la disponibilità, la comunione con il pubblico.
Lei è Lara Gut-Behrami: raro esempio di longevità ad altissimo livello, è figura più divisiva perfino (o soprattutto?) nel Paese in cui è cresciuta. Per i modi più spicci; per alcune affermazioni discutibili nei confronti di colleghe; per il rifiuto, non di rado, di rilasciare dichiarazioni quando una gara va per il verso storto; per le turbolenze passate nel rapporto con Swiss Ski: la 32enne ticinese che da alcuni anni vive a Udine o piace tanto, o non piace per nulla.
La rappresentazione che dà di sé uno sportivo, cambia la percezione e il peso dato alle sue prestazioni? Ne parliamo con Fabien Ohl, professore di Sociologia dello sport all’Università di Losanna.
Prof. Ohl, partiamo da Marco Odermatt che pare proprio piacere a tutti...
... ma gli erano state mosse alcune piccole critiche, quando non aveva preso posizione in relazione alle questioni ambientali legate alle gare (poi mai disputate a causa del maltempo, ndr) previste a Zermatt. Erano comunque biasimi di poco conto.
È però vero che fa l’unanimità pressoché dappertutto e c’è chi lo definisce persino un nuovo Roger Federer. Per questo suo modo di essere, può esserci un cosiddetto ‘effetto Odermatt’ nello sport in generale e nello sci in particolare? E quale?
Sì, può esserci. È un campione eccezionale con varie qualità, quindi è comprensibile l’entusiasmo che suscita e il fatto che abbia sostenitori dappertutto. Il paragone con Federer? In termini di personalità perché no? Ma l’impatto dello sci è decisamente più ridotto rispetto a quello del tennis, poiché è uno sport che interessa un numero assai più limitato di Paesi: grossomodo l’Europa e nemmeno ovunque, gli Stati Uniti e il Canada, forse il Giappone. Dunque l’immagine di Federer è assai più internazionale e globale di quella di Odermatt e quasi certamente il secondo non raggiungerà mai quello status di figura mondiale cui è assurto il primo.
Detto ciò, nelle regioni interessate allo sci è chiaro che l’effetto di Odermatt c’è: in termini di idealizzazione, di utilizzazione e proiezione dell’immagine. Un po’ come è stato per Federer, che ha saputo ‘vendersi’ in quanto sorta di ideale di persona perbene e affabile. Un’immagine che può essere usata e valorizzata in tutte le culture nelle quali è presente questo modello ideale dello sportivo piacevole, corretto, rispettoso degli avversari. Per Odermatt, è partendo dalle storie su rivalità (con Cyprien Sarrazin in discesa), caccia ai record (le vittorie consecutive in gigante di Stenmark, successi e coppe di Hermann Maier) o paragoni con altri dominatori (Marcel Hirscher) che i racconti su di lui hanno più eco in Paesi come Francia, Svezia o Austria. La mediatizzazione, di cui ognuno ha una sua lettura, risponde peraltro alle aspettative di lettori e spettatori; e i giornalisti hanno bisogno di questo genere di storie: di amicizia ma anche di inimicizia, di posta in gioco. Perciò attorno a un campione come Odermatt c’è tutta una narrativa che si crea e viene alimentata. Perché è un personaggio assai accattivante.
Quali sono le caratteristiche che di uno sportivo, ne fanno un personaggio?
Qualcuno può diventare personaggio quando rappresenta un sottogruppo della popolazione di un certo Paese: penso ad André Agassi, il cui essere in qualche modo ribelle aveva portato certe persone a identificarsi in lui. Si diviene personaggi su vasta scala, invece, allorché si catturano pressoché tutte le fasce di pubblico. Se Odermatt ci piace solo perché siamo sciatori o svizzeri, la sua popolarità rimane tutto sommato ristretta. La popolarità prende tutt’altra ampiezza quando un ottimo atleta sa essere (come Odermatt) un bravo tipo e compagno di squadra, simpatico, corretto con tutti; uno che potrebbe (come Federer) essere un bravo marito e padre. È grazie a queste caratteristiche che le narrazioni si moltiplicano e rispondono così a più tipologie di pubblico.
Uno sportivo esemplare tanto sportivamente quanto personalmente, non diventa una figura pressoché irreale nella sua apparente perfezione, con la quale è difficile o impossibile identificarsi?
Ci identifichiamo a persone che parlano di noi. Mi spiego. In termini sportivi nessuno di noi sarà mai come Roger Federer o Marco Odermatt. Di loro andiamo fieri; ma è nelle loro qualità che proiettiamo un pochino di noi, per i simboli che esse sono. Più che la perfezione o supposta tale di un Federer o un Odermatt, a piacerci è il fatto che rappresentino la figura idealizzata dello svizzero: gran lavoratore, eccellente in ciò che fa, discreto. Un’immagine non propriamente realistica, che però piace ugualmente. Diciamo che alle persone piace pensare di credere al principe azzurro o alla principessa che, pur sapendo che non esistono nella vita vera, sono una sorta di sogno che si ama comunque. Sappiamo che Federer e Odermatt non sono perfetti, eppure a noi svizzeri rinviano un’immagine dello svizzero-tipo; e a un palcoscenico più ampio dell’ideale dello sciatore, del campione, del personaggio elegante, del bravo compagno.
Lo sport ha bisogno di donne e uomini-immagine? E perché?
Certo, poiché è ciò che fa sognare. Sullo sci esistono pochi studi in merito; ma è un meccanismo ben evidenziato nel calcio. Quella in figure come Leo Messi, Cristiano Ronaldo, Kylian Mbappé, per citarne alcuni, è una specie di identificazione che oltrepassa le frontiere e porta questi campioni ad avere sostenitori in tutto il mondo. Per le loro qualità di calciatori, ma anche in rapporto a ciò che rappresentano: una storia di emigrazione, il colore della pelle, le condizioni in cui sono cresciuti e via dicendo. I personaggi sono gli stessi, ma le forme di ricezione da parte della gente sono molteplici.
Se un campione è anche una brava persona, capiamo che possa essere semplice identificarsi in lui. Come si spiega l’idolatria nei confronti di chi è (stato) un grandissimo sportivo, ma tutt’altro che un esempio di vita? Lei ha citato Messi, non si può non pensare a Diego Maradona.
Allo sport piacciono i personaggi autentici, più che quelli ‘positivi’. Prendiamo appunto Maradona: tutti sanno dei suoi legami con la malavita, dell’abuso di droghe e alcol, dei guai col fisco, delle minacce proferite ai giornalisti. Però era di origini popolari e non le ha mai rinnegate. In questo era autentico e coerente ed è ciò che poteva piacere.
Nello sport ci sono personalità che talvolta non sono per nulla gradevoli. Nelle Arti marziali miste se le danno di santa ragione e si insultano, però fa parte dello spettacolo e chi pratica quelle discipline è autentico in quel genere di violenza. Ciò spiega perché gente come Conor McGregor abbia numerosissimi fan; e al contempo rispecchia la diversità nello sport e nei diversi sport. È la diversità che permette a ognuno di noi di trovare una figura nella quale identificarsi e in cui trovare da un lato le qualità che rivendichiamo (la forza, l’eleganza, il coraggio), dall’altro i valori in cui crediamo (il rispetto, la gentilezza, la simpatia, il fair-play). Valori che proiettiamo sugli sportivi, perché mica li conosciamo, in una sorta di finzione che ci creiamo. La realtà potrebbe essere diversa dalla narrazione; come nel caso di Oscar Pistorius, velocista paralimpico inizialmente celebrato per come aveva saputo superare il suo handicap, rivelatosi poi uomo violento e condannato per l’uccisione della sua fidanzata.
Veniamo a Lara Gut-Behrami. La ragazza arrivata in Coppa del mondo come un tornado di risate, è diventata una donna cui si rimproverano le maniere, diciamo così, più spicce. Capisce queste critiche?
Nello sport, in generale, sugli atteggiamenti ‘trasgressivi’ si è più tolleranti verso gli uomini che le donne. Ai primi si concede molto di più nei modi di fare; basti pensare ai numerosi giocatori di calcio (Maradona non è certamente il solo) i comportamenti non sempre consoni o addirittura aggressivi vengono scusati, perfino ritenuti parte del carattere maschile e finanche virili. Per contro le campionesse sono più facilmente bersaglio di disapprovazione, se non sono costantemente in controllo della loro immagine. L’atteggiamento di Lara Gut-Behrami si potrebbe interpretare come indipendenza: sa condurre la sua carriera; ha costruito la sua organizzazione (che ha portato a risultati eccezionali) in una maniera un po’ autonoma e talvolta critica rispetto alla federazione svizzera di sci. Un modo di fare che le è valso dei biasimi; di cui non sono certo sarebbe stato oggetto un collega maschio. Questa diversa indulgenza nei confronti dell’indipendenza se è tratto caratteristico di un uomo o lo è di una donna, forse riflette le differenze su ciò che la società ritiene possano o non possano fare le donne, così come la percezione più o meno positiva degli uni o delle altre. Io reputo un bene che anche una sportiva possa affermarsi, essere libera, disapprovare un’organizzazione o una federazione; ma per questo non dovrebbe venire tacciata di persona con un caratteraccio, essere oggetto di rimproveri o venire colpevolizzata. È un ambito che andrebbe studiato più a fondo, ma si potrebbe leggere una certa misoginia in questa diseguaglianza di trattamento tra uomini e donne; che nel caso di Lara Gut-Behrami ha davvero poco senso. Oltre a essere una campionessa straordinaria, è appunto nel suo essere indipendente, nel suo volersi affermare per quella che è, nel suo continuo interrogarsi anche chiamando in causa le varie istanze sportive, che ha conquistato ciò che ha conquistato. Non c’è alcuna ragione affinché lei non sia un modello. Magari uno meno ‘per benino’ di Marco Odermatt, ma forse un po’ più realista.
In un’intervista al Blick a dicembre, Bernhard Russi si era detto amareggiato per certi atteggiamenti di Lara Gut-Behrami ritenuti poco consoni per chi come lei rappresenta una squadra, una federazione, uno sport importante in Svizzera. Oltre a pensare a sé, uno sportivo deve farsi promotore di un intero sistema?
Ovviamente gli sportivi rappresentano più di loro stessi. È però un po’ bizzarro che si facciano queste osservazioni a una come Lara Gut-Behrami. Roger Federer all’inizio della carriera non era certo la figura quasi immacolata poi diventata: cattivo perdente, si arrabbiava in partita, non ha sempre partecipato alla Coppa Davis. Col passar degli anni, anche grazie a esperti in comunicazione, ha saputo creare e crearsi un personaggio. Lara Gut nello sci è sì anche l’immagine di uno sport, di una federazione, di una nazione. Ciononostante reputo che quel genere di rimproveri che le vengono mossi siano fuori luogo. Gli atleti d’élite, i campioni (uomini o donne che siano) devono sportivamente sopravvivere e potersi dare tutte le chance per la loro carriera. Certo, Gut ha atteggiamenti a volte scostanti. E però: rimettersi talvolta in causa e non dovere essere perfetti a ogni costo, fa parte della vita. Per riuscire ad altissimi livelli, occorre una grande, grande determinazione. E ad averla, sono raramente le persone banali.
I tifosi dovrebbero limitarsi ad ammirare le performance, senza aspettarsi che gli sportivi siano anche brave persone?
In teoria sì. D’altro canto a rendere lo sport interessante è proprio questa diversità di personalità con le conseguenti narrazioni che si creano. Discussioni e dibattiti che possono nascere, controversie che possono scaturire sono ciò che alimenta stampa e social media. Se tutto fosse prevedibile e ‘perfetto’, se gli atleti fossero simili e ‘lisci’, l’interesse sarebbe minore anche da un punto di vista del marketing. La differenza di personaggi fa parte dell’attrattiva dello sport e, in più, è l’elemento che permette una maggiore identificazione a dipendenza che si sia giovani o più anziani, uomini o donne, di estrazione popolare o di classe sociale agiata, di origine straniera o svizzeri da più generazioni. Dall’hockey allo sci al calcio, le persone utilizzeranno proprio la diversità degli sportivi come un modo per ‘parlare’ di loro stesse e identificarsi in questo o quell’atleta, in relazione ai propri ideali.