L'emergenza umanitaria nella Striscia. Monica Minardi, presidente di Medici senza Frontiere Italia: ‘Abbiamo visto di tutto, ma mai una cosa simile’
«Siamo assolutamente scioccati dal livello di violenza presente a partire dal 7 ottobre, giorno del barbaro attacco di Hamas alla popolazione israeliana, e che è poi proseguito con la cieca reazione di Israele nella Striscia: è un’escalation inaudita, di cui stanno facendo le spese migliaia e migliaia di civili, in grandissima parte donne e, soprattutto, bambini. Quello che stiamo vedendo è l’assenza di uno spazio umanitario minimamente sicuro in cui poter offrire cure mediche che noi saremmo in grado di prestare, ma non possiamo farlo in modo coordinato».
Vibra di sconcerto, il tono di Monica Minardi, presidente di Medici senza Frontiere Italia. Un tono che accompagna il drammatico evolversi degli eventi nella Striscia di Gaza, dove i team medici dell’organizzazione sono privi di tutto e costretti a operare in condizioni «assolutamente inedite anche per personale senior attivo da anni nelle più cruente zone di conflitto del pianeta». In un contesto considerato «insostenibile», dichiara Minardi alla “Regione”, «abbiamo comunque personale sanitario palestinese che eroicamente, nonostante sia esso stesso direttamente coinvolto nel conflitto con le rispettive famiglie, continua a lavorare in condizioni disperate. E con questo mi riferisco a cure mediche senza antibiotici, senza sedazione, senza farmaci per il dolore, spesso eseguite in ambienti del tutto inadeguati come i corridoi degli ospedali, sotto gli occhi dei parenti».
Msf è operativa a Gaza e in Cisgiordania dall’89. Fino all’ottobre di quest’anno ha coordinato attività di chirurgia ricostruttiva, progetti sulla salute mentale e di medicina generale, che nella Striscia venivano svolti negli ospedali al-Shifa, Indonesian Hospital e al-Awda. Lo staff è composto da 22 persone internazionali fra personale medico e non medico, e circa 300 palestinesi.
Come conseguenza dell’ordine di evacuazione dal nord della Striscia – che Msf ha pubblicamente denunciato come “assurdo e disumano” – tutto il personale internazionale e parte di quello nazionale palestinese si è spostato verso sud con l’obiettivo di cercare zone sicure; zone «che peraltro in tutta Gaza è impossibile trovare», come sottolinea Minardi. Parte del personale locale palestinese (medici, ma anche autisti e altre figure) in autonomia ha tuttavia deciso di rimanere al nord, anche per stare vicino ai familiari, continuando a lavorare in ospedali duramente colpiti da raid e bombardamenti, mentre lo staff internazionale ha atteso per giorni prima di essere finalmente evacuato, il 1° novembre, in Egitto, passando per il valico di Rafah. Nel frattempo, una nuova équipe internazionale di emergenza di Msf, composta da medici specializzati nelle urgenze, è stata identificata ed è pronta a entrare a Gaza, con 8 Tir di materiale fra farmaci e strumentazione, per supportare la risposta medico-umanitaria.
Questa è dunque la situazione, che, operativamente, per Msf, «significa in primo luogo mancanza di quella coordinazione che è la base imprescindibile del lavoro svolto durante 34 anni nella zona – considera Minardi –. Se in relazione ai membri del nostro team internazionale parlo di estrema vulnerabilità, non lo faccio per operare una distinzione fra loro e lo staff locale, ma per sottolineare l’assoluta straordinarietà di quanto sta accadendo a Gaza. A detta del nostro personale, sta succedendo qualcosa senza precedenti sia per la mancanza di spazi sicuri in cui poter offrire cure mediche sempre più necessarie e urgenti, sia per il pressoché totale esaurimento dello stock. Da medico dell’emergenza quale io sono per formazione, capisco appieno la totale frustrazione di chi ci chiama in lacrime mentre tenta di svolgere attività mediche e chirurgiche senza sedazione, senza farmaci, con un paracetamolo dato per medicare un bambino con delle ustioni estese. A questo va aggiunto lo stato di ulteriore prostrazione individuale di molti dei nostri collaboratori, che hanno perso figli, congiunti e altri parenti stretti e che quando lasciano casa per andare al lavoro lo fanno con l’angoscia di non trovare più niente al loro ritorno».
Altro non può dire, la presidente di Medici senza Frontiere Italia, se non di «un livello di crudeltà e di disumanità che supera ogni immaginazione: oltre ai bombardamenti sui civili si lascia la popolazione senza accesso all’acqua, al cibo e ai farmaci. Non si trovano più le parole per descrivere una situazione sconvolgente».
La riflessione deve dunque spostarsi su un piano politico, perché è lì che si gioca non solo l’evoluzione del conflitto armato, ma anche una risposta umanitaria: «L’atto medico non è un atto politico, ma lo sono la testimonianza, la denuncia, la comunicazione di ciò che ci troviamo ad affrontare sul campo, che è la conseguenza di un chiaro fallimento del diritto internazionale. Possiamo parlare ad alta voce in quanto organizzazione internazionale con diverse sedi in tutto il mondo, eppure siamo totalmente indipendenti dai governi. Sin dalle primissime fasi Medici senza Frontiere ha chiesto che venissero garantiti spazi sicuri dove poter fornire cure mediche essenziali, perché lo spazio umanitario è un imperativo in tutte le crisi. Inoltre, abbiamo denunciato l’assurdità dell’ordine di evacuazione impartito a un milione di civili, ben sapendo che bombardamenti e distruzione ci sono anche al sud della Striscia».
Tuttora, sottolinea Minardi, «stiamo chiedendo un cessate il fuoco in modo che si possa ristabilire un minimo di dignità a un contesto che riguarda prevalentemente bambini e donne. Il numero di bambini con ferite da guerra, ferite multiple e ustioni è incredibile. Parlo di centinaia di nuovi casi ogni giorno. Io non sono chirurga, ma la nostra vicepresidente Elda Baggio lo è e mi ha confermato che la chirurgia di guerra è molto complessa e necessita spesso di interventi multipli. Abbiamo a che fare con amputazioni, emorragie interne, emorragie cerebrali, ustioni. Già in condizioni normali, con sale operatorie e materiale sterili, si verificano facilmente delle complicazioni. Figuriamoci in condizioni avverse, se non totalmente inadeguate». Un ulteriore motivo di riflessione riguarda le conseguenze a lungo termine per i civili che sopravvivono, ma rimangono profondamente segnati sia dalle disabilità fisiche, sia dai traumi psicologici. Oltretutto, rileva Minardi, «la mancanza di cibo e acqua potabile determina inoltre uno scenario in cui potranno proliferare le epidemie».
Al momento, conclude la presidente di Msf Italia, «è altissima fra gli operatori rimasti la frustrazione per l’inaccessibilità di gran parte del materiale ritenuto indispensabile. Il 29 ottobre Msf ha inviato 26 tonnellate di equipaggiamento medico su un volo dell’Oms, che è arrivato in Egitto in collaborazione con la Croce Rossa egiziana. Questa dotazione coprirebbe il fabbisogno di 800 interventi chirurgici».
Medici senza Frontiere ha sempre attivo un fondo di emergenza al quale è possibile donare e che viene utilizzato come “cuscinetto finanziario” per poter intervenire subito nel caso di crisi ed emergenze come quella in corso a Gaza, ma non solo. Giacomo Lombardi, delegato di Msf per la Svizzera italiana, nota che «come sempre, anche in questo frangente Msf mantiene la sua indipendenza e imparzialità grazie al fatto che oltre il 96% delle entrate proviene da donazioni private. Per Gaza, a maggior ragione visto il contesto politico delicatissimo, non accettiamo alcun tipo di aiuto finanziario che provenga da Stati, compresa la Confederazione». Informazioni di dettaglio si possono ottenere scrivendo a giacomo.lombardi@geneva.msf.org.