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‘Si mostrano più audaci grazie al seguito sui social media’

L'estrema destra, tornata sotto i riflettori con Junge Tat, ha cambiato modo di porsi, ma per il sociologo Cattacin non ha terreno fertile per espandersi

La destra estremista ha mutato aspetto
(Keystone)
4 ottobre 2023
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“La cultura svizzera è varia e bella, anche senza kebab, moschee e attacchi di coltello!”. “Il numero di abitanti in Svizzera sta crescendo in modo massiccio a causa dell’esorbitante immigrazione di massa, un’immigrazione di sostituzione”. “Mentre l’industria locale viene messa al muro per il bene del clima, in altre parti del mondo si costruiscono impianti di produzione e si massimizzano le capacità a spese della natura”. C’è parecchio in comune tra la retorica di queste frasi programmatiche del movimento di estrema destra Junge Tat e quella a cui ci ha abituato negli anni l’Unione democratica di centro. Eppure, nel corso degli ultimi giorni, il primo partito a livello nazionale ha preso in più occasioni le distanze dalla piccola formazione che gli si è avvicinata e che sta facendo parecchio parlare di sé anche al Sud delle Alpi per aver srotolato a Bellinzona un enorme striscione da una torre di Castelgrande col messaggio “Migrants go home - Migranti a casa” e questo una decina di giorni dopo aver piantato simbolicamente una rete a Chiasso. A documentare il tutto sono dei video postati dal gruppo sui suoi canali Instagram e Telegram, con la richiesta al Consiglio federale di “deportare i clandestini” e avviare la “remigrazione”.

Nonostante i membri del gruppo – sorto nel 2020 dallo scioglimento di altre realtà affini – rifiutino la definizione di “organizzazione di estrema destra”, dichiarandosi invece “nazionalisti conservatori legati ai valori tradizionali”, secondo gli esperti tale definizione è sicuramente pertinente, non fosse che per il segno di riconoscimento che i suoi aderenti utilizzano: la runa Tyr, simbolo impiegato tra l’altro dalla Reichsführerschule, la scuola di formazione del partito nazionalsocialista, nonché dalla Gioventù hitleriana come distintivo di merito.

Junge Tat è formata da una ventina di membri fissi, di cui alcuni coinvolti in procedimenti penali, e si trova sotto osservazione da parte dell’Ufficio federale di polizia (Fedpol), dell’Agenzia di polizia dell’Unione europea (Europol), e del Servizio delle attività informative della Confederazione. Quest’ultimo nel suo rapporto 2023 evidenzia che il gruppo “si interessa a temi d’attualità di grande visibilità strumentalizzandoli per le proprie azioni nello spazio pubblico”. Tra questi si trovano appunto la migrazione e le questioni legate alla comunità Lgbt contro cui hanno fatto delle azioni dimostrative in diverse località svizzere, in seguito promosse attraverso un uso dei social media molto ben congegnato.

Chiesa: ‘L’Udc Svizzera non ha alcun contatto con questi gruppi’

«Nel momento in cui sono iniziati a diventare evidenti a tutti i riferimenti di Junge Tat a posizioni di estrema destra di aspirazione fascista o nazionalsocialista, l’Udc ha cominciato a prendere le distanze dai suoi membri che le si sono accostati perché l’associazione con loro andrebbe contro gli interessi principali di questo partito che sono pseudo anti-immigrazione, ma soprattutto fortemente orientati al mantenimento di un’economia liberista – sostiene Sandro Cattacin, professore di Sociologia presso l’Università di Ginevra –. L’Udc, se ha un vantaggio, è quello di riuscire a disciplinare e regolare ciò che le sta più a destra, tenendolo in un certo senso sotto controllo». Lo si è visto, dice Cattacin, negli ultimi giorni a Zurigo quando la candidata democentrista al Consiglio nazionale Maria Wegelin ha lasciato la direzione della sezione Udc di Winterthur dopo che il ‘Sonntagsblick’ aveva rivelato che la donna aveva incaricato due attivisti di Junge Tat di gestire la sua campagna elettorale. In un primo momento Wegelin aveva affermato di non vedere alcun motivo per ritirare l’incarico ai due, facendo poi un passo indietro in concomitanza con un comunicato della sezione di Winterthur del partito che affermava di non tollerare in alcun modo gruppi o atteggiamenti estremisti, “estremismo di destra compreso”. Nel mentre l’associazione dei proprietari fondiari aveva deciso di ritirare il proprio sostegno alla candidata. Recente è pure la notizia che i Giovani Udc di Turgovia starebbero esaminando l’espulsione di un membro della Junge Tat attivo nel loro movimento. Mentre ieri il presidente nazionale democentrista Marco Chiesa, da noi contattato, ha dichiarato che l’Udc Svizzera «non ha alcun contatto con questi gruppi definiti di estrema destra e condanna tutti gli estremismi. L’Udc – ha sottolineato Chiesa – è un partito democratico che conta su centinaia di migliaia di elettrici ed elettori, e migliaia di rappresentanti locali, cantonali e federali, che hanno a cuore i valori del nostro Paese. Le sezioni cantonali intervengono con delle verifiche puntuali in casi specifici quando si ravvisa l’esigenza di ribadire i principi del partito ed escludere derive che nulla hanno a che fare con la politica dell’Udc».

«Questo contesto fa sì che le organizzazioni di estrema destra non abbiano mai trovato troppo terreno fertile per espandersi – afferma Cattacin –. Rispetto al passato è però cambiata la loro forma di manifestarsi». Secondo il sociologo, «l’uscita allo scoperto così eclatante di questo gruppo è stata facilitata soprattutto dalla capacità di comunicare efficacemente sui social media quelle che sono le loro rabbie e frustrazioni politiche. Da quando questa possibilità è a portata di mano di tutti, la conseguenza è che simili formazioni hanno preso più coraggio e si sentono più sostenute in quanto seguite da alcune centinaia di follower. Questo dà loro l’impressione di essere un movimento importante, ciò che però non è il caso nel loro insieme». Negli anni Ottanta e Novanta, spiega Cattacin ricordando il periodo in cui lavorava su queste tematiche, «quelli a ispirazione neonazista erano movimenti difficili da intercettare e vedere. Non avevano un indirizzo o una pagina internet, si organizzavano tra loro, festeggiavano incontrandosi in ritrovi specifici. Quanto al loro numero, sono sempre rimasti piuttosto stabili, intorno ai 400-500. E la quantità di radicali in circolazione nel Paese non è sostanzialmente cambiata nemmeno ora». Pur essendoci stato l’avvento dei social, queste organizzazioni hanno comunque mantenuto gli incontri aggregativi «perché sono importanti per una fusione identitaria». Sul sito di Junge Tat sono diversi i resoconti e gli inviti rivolti a membri e simpatizzanti per partecipare a gite in compagnia, allenamenti di boxe, “lezioni sulla politica”.

‘Uscire allo scoperto permette un dibattito pubblico su chi ha ragione o meno’

Ma non esiste un maggiore rischio che attraverso queste azioni appariscenti divulgate sui social media si risvegli un estremismo di destra che magari era latente e si creino più proseliti? «Fino a un certo punto – risponde Cattacin –. Come mostrano anche evidenze storiche degli anni Settanta, gli anni del terrorismo, il fatto che questi individui abbiano un maggior coraggio di uscire allo scoperto permette anche di farli entrare in contatto con il resto della società e di lanciare un dibattito pubblico su chi ha ragione o meno. In questo senso, con l’auspicio che sia un’alternativa alla violenza fisica, ben venga che mostrino le loro insofferenze, con tutte le scorciatoie argomentative, per poter permettere al vasto pubblico di creare in parallelo un discorso più differenziato, sperando che questo sia in grado di contrastare tali idee. Se poi il risultato è come quello che si vede in Italia, dove ci si è accordati su una politica antiumana e problematica da svariati punti di vista democratici e legali, significa che una buona parte della popolazione è favorevole a questo tipo di politiche. Ma anche che lo spazio pubblico democratico è mal messo, e non solo nella vicina Penisola dove non c’è più posto per giornali o televisioni che si interpretano come servizio alla democrazia e dunque come quarto potere».

Per Cattacin c’è infatti un grande problema relativo allo spazio pubblico che non si costituisce più come una volta, ovvero attraverso un mediatore. «Un tempo c’erano sempre la stampa o la televisione con certi criteri a organizzare il discorso, oggi siamo piuttosto in una situazione dove questo spazio pubblico si divide in tanti spazi pubblici autonomi in cui queste azioni dimostrative rischiano di venire celebrate da chi non legge più altre notizie su quanto succede nel resto della società. E qui siamo davanti alla grande sfida democratica, ovvero come far sì che questo spazio pubblico torni a essere di gruppo, che l’informazione tenga alta la qualità e permetta effettivamente di confrontare le idee e gli argomenti, coinvolgendo anche i giovani». A parere del sociologo, il fatto di trattare questi argomenti sui media tradizionali è dunque importante anche per cercare di allargare almeno un po’ le bolle in cui molti utenti dei social media si sono rinchiusi e a cui i video di simili azioni arrivano comunque.

Per gli effetti che possono avere con i loro eletti restano più ‘pericolosi’ i partiti

Oltre che nella forma di comunicare, anche nell’immagine e nel linguaggio queste organizzazioni hanno assunto una facciata più accettabile, senza un’ostentazione – almeno all’esterno – dei più conosciuti simboli o riferimenti legati a ideologie fasciste e nazionalsocialiste che di primo acchito rimangono piuttosto sottotraccia. In tal modo si muovono su una sottile linea di confine e riescono un po’ più facilmente a evitare implicazioni legali. «Questo è la conseguenza di una legislazione più attenta al tipo di linguaggio che può essere formulato pubblicamente – rileva Cattacin riferendosi alla Svizzera –. In Italia si possono fare liberamente delle affermazioni per le quali invece in Germania si viene messi in prigione, mentre nel nostro Paese si ricevono delle multe. Tali condizioni fanno sì che questi gruppi siano anche obbligati ad adottare un linguaggio apparentemente meno estremista. Così si trovano a calpestare un terreno in cui Lega e Udc stanno raccogliendo voti e come visto cercano anche di penetrarvi. È un chiaro tentativo di entrare nel gioco democratico. Tuttavia il potere resta in modo preponderante nelle mani di questi partiti, che dal mio punto di vista attraverso i loro eletti rimangono più “pericolosi” per gli effetti che possono avere sulla qualità dello spazio pubblico».

Un’altra caratteristica evidente di organizzazioni come Junge Tat è la frequente commistione con movimenti ‘no vax’. Come evidenzia Cattacin questa esiste anche tra i ‘no vax’ e la destra istituzionale: «Ripeto, all’Udc interessa soprattutto fare i propri interessi nell’industria e nell’economia, ma è anche attenta a rafforzare la sua posizione elettorale e per questo strizza l’occhio a questi movimenti complottisti emersi nell’isolamento dettato dalla pandemia. Tuttavia, vedere un ‘no vax’ al centro di un partito tradizionale è difficile. Vi trova posto, viene tollerato e anche coccolato, ma nell’insieme del discorso rientra solo nella logica di cercare consensi». Non sorprende quindi che in alcuni cantoni l’Udc e il movimento di ‘coronascettici’ Mass-Voll abbiano congiunto le liste per le elezioni federali alle porte: “Si tratta di una pura partnership di convenienza, con l’obiettivo di aumentare la quota di elettori. Ciascun partner rimane indipendente e persegue i propri obiettivi politici”, hanno dichiarato i democentristi. «Una palese contraddizione abilmente sfruttata», commenta Cattacin.

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