In Ticino manca un punto di sostegno indipendente dalla Chiesa. Poche vittime hanno fatto un passo avanti. L'esperienza romanda di Sapec a Lugano
Tutto crolla, se l’immagine esteriore della Chiesa non corrisponde alla realtà interiore. Al primo posto, la Chiesa ha messo se stessa, ignorando cocciutamente la sofferenza di centinaia di vittime di abusi sessuali. Tra loro, alcuni hanno sfidato il terrore di uscire allo scoperto. Superando il timore di non essere creduti, hanno aperto in Svizzera il maleodorante vaso di pandora, denunciando le violenze subite da sacerdoti. Da uno, due, tre sono diventati centinaia. È soprattutto grazie alla tenacia di questi sopravvissuti, riuniti in associazioni a Losanna (poi a Zurigo), che la Chiesa svizzera ha dovuto guardarsi allo specchio, chiedere scusa per aver insabbiato, spostato, tollerato sacerdoti che hanno abusato (e continuato ad abusare) degli innocenti. È simile all’incesto. Al dolore della violenza si somma il tradimento, ai piedi della croce, per mano di una persona di fiducia. Simile a un padre. Perché il sacerdote entra nell’intimo della persona, c’è attaccamento, fiducia. Il coraggio delle vittime ha obbligato la Chiesa a fare dei passi, istituendo commissioni di esperti, per ascolto, risarcimenti, analisi. Dal 2010 al 2023, 450 vittime hanno denunciato aggressioni alla commissione ‘Abusi sessuali in ambito ecclesiale’ della Conferenza dei Vescovi Svizzeri. In Ticino i casi emersi si contano sulle dita di una mano. Quale vittima ha voglia di denunciare il suo carnefice all’istituzione che non l’ha protetta e ha pure distrutto parte degli archivi? La fiducia è rotta. Mille casi di abusi, secondo i ricercatori dell’Uni di Zurigo, dagli anni Cinquanta a oggi, sarebbero solo la punta dell’iceberg. E la ricerca va avanti.
Servono punti di accompagnamento indipendenti dalla Chiesa come SAPEC (Soutien aux personnes abusées per des Prêtres de l’Eglise Catholique), il primo gruppo del suo genere in Svizzera, fondato nel 2010 da tre vittime e attivo in Romandia. A co-fondarlo è stato Jacques Nuoffer. Anche lui una vittima. Da 13 anni, Sapec aiuta chi ha dovuto subire in silenzio ed ha favorito la creazione nel 2016 della Commissione indipendente di ascolto, conciliazione, mediazione e riparazione (CECAR): favorisce contatti con le autorità ecclesiastiche, può presentare domande al Fondo nazionale di risarcimento. In Ticino, dove un parroco condannato per vari abusi, disse al padre di una vittima ‘Se fosse stato un buon cristiano lei non mi avrebbe denunciato’, non esiste nulla di tutto ciò. La buona notizia è che il presidente Nuoffer sarà in Ticino a novembre. «Una delle prime vittime che si è rivolta a noi era un ticinese, residente in Romandia», dice Nuoffer.
Lei ha co-fondato il primo gruppo di aiuto per vittime abusate sessualmente da un prete: sono stati anni difficili?
Quando sono andato in pensione nel 2008, dopo aver informato la mia famiglia, ho deciso di denunciare gli abusi subiti da un prete amico di famiglia, quando ero un adolescente. È stato impossibile ricostruire la mia storia, trovare documenti, avere ascolto in Diocesi. Solo porte chiuse. Un silenzio inaccettabile. Le cose dovevano cambiare. Ho raccontato la mia storia ai media e altre vittime mi hanno contattato. Così è nato SAPEC. Solo con l’arrivo nel 2011 del vescovo Charles Morerod di Losanna, Ginevra e Friburgo ci siamo sentiti ascoltati e le cose hanno iniziato a cambiare.
In questi 13 anni, la Chiesa ha dimostrato più sostegno alle vittime?
Il cambiamento è molto, molto lento. La Chiesa necessita una rivoluzione, dovrebbe cambiare dalle fondamenta. Non è pronta.
Le vittime sono più a loro agio con altre vittime. In Ticino non esiste un punto di ascolto, denuncia, mediazione neutrale, come Sapec: accogliete anche gli italofoni?
Certo, se una vittima parla francese può chiamarci, oppure scrivere un email o una lettera in italiano, che faremo tradurre. L’aiuto c’è per tutti. Negli ultimi 10 giorni abbiamo ricevuto 20 nuove richieste di aiuto. Verrò in Ticino a novembre proprio per sensibilizzare e chissà, magari favorire la nascita di un gruppo nella Svizzera italiana. Negli ultimi anni, abbiamo sostenuto circa 200 vittime, siamo tutti volontari, facciamo del nostro meglio.
Che cosa cercano le vittime: ascolto? Riconoscimento del proprio dolore? Una condanna, un risarcimento?
Ciascuno è diverso e ha la propria storia. Noi ascoltiamo tutti e indirizziamo le persone dove possono trovare l’aiuto che chiedono. C’è chi vuole discutere col vescovo e dirgli in faccia ciò che ha vissuto. C’è chi avvia una pratica di indennizzo.
Perché la Chiesa per tanto tempo ha chiuso gli occhi: chi abusava sessualmente spesso non veniva denunciato ma spostato in un’altra parrocchia. L’immagine della Chiesa è più importante delle vittime?
Sono tanti fattori, Nel 2013 ero in Belgio, ricordo lo pedopsichiatra della Commissione abusi fiamminga. Lui mi spiegava che per tradizione il figlio maggiore era condannato a farsi prete, poi veniva inviato in una parrocchia fuori mano e di fatto abbandonato al suo destino. La regola era non toccare le donne, associate al maligno. Ma in questo contesto, abusare dei bambini non era considerato grave. L’autorità doveva proteggere i minori ma non l’ha fatto. Anzi ha protetto gli abusanti. È davvero scandaloso. Siamo molto lontani dall’amore di Gesù. La Chiesa incoraggia ad avere un comportamento morale, dunque più di altre istituzioni deve essere coerente.
La gerarchia può diventare terreno fertile per l’abuso di potere: l’abuso sessuale nella Chiesa è un problema di persone o di struttura?
Un problema di persone e anche strutturale. È sistemico, è una struttura che facilita gli abusi agendo perlopiù in un contesto favorevole, occupandosi di tanti bambini. La rigida gerarchia, il potere assoluto del vescovo, il prete messo su un piedistallo, la confessione e la sua relazione intima e spirituale coi fedeli, la segretezza, la sessualità (mal gestita) dei sacerdoti. Sono tutti ingredienti che possono facilitare l’abuso.
Gli abusi non si cancellano, ti segnano e lasciano ferite profonde, puoi solo cercare di farle diventare sopportabili.
L’abuso che uccide Dio nel cuore. Uno psichiatra sul vostro sito lo paragona all’incesto, il prete come il padre…
Non ci sono parole per descrivere la violenza devastante che si subisce. E fa ancora e ancora più male vedere che la Chiesa li ha protetti. Dal 2015 in Romandia, la diocesi ha iniziato a denunciare qualche caso.
Anche lei è una vittima, aiutare altre vittime, ha lenito il suo dolore?
Gli abusi non si cancellano, ti segnano e lasciano ferite profonde, puoi solo cercare di farle diventare sopportabili. Finito il servizio militare, scoprii che il prete che mi abusava era ospite dei miei familiari. Era quasi uno di casa. L’ho denunciato sotto Natale e ho trovato rifugio da mia sorella. Lì mi sono rotto una gamba. Sono stato ricoverato in ospedale ritardando il rientro a casa. Dopo tanti anni, la gamba mi fa ancora male. È come un marchio che ti resta appiccicato addosso.
Ha mai parlato col prete che l’ha abusata?
Sì, quando ero bloccato a letto, arrivò di nascosto. Mi disse che anche lui era stato abusato sessualmente nel collegio cattolico. Quando ho avviato le pratiche per segnalare il caso, lui era già morto.
Mille casi di abusi sessuali emersi in Svizzera (dal 1950 al 2023) in ambito ecclesiale è solo la punta dell’iceberg. Siamo agli inizi. «Terminato il progetto pilota, partirà per tre anni l’indagine scientifica dell’Uni di Zurigo. Sarà più estesa. Oltre agli archivi diocesani saranno vagliati in modo sistematico gli archivi giudiziari, quelli di congregazioni e istituti. L’analisi riguarderà gli abusi nell’ambito dell’attività pastorale, dentro istituti e collegi, e in seno alle comunità religiose. Colmeremo le lacune che continueremo a trovare nelle fonti, con le testimonianze delle vittime», ci dice la storica Vanessa Bignasca ricercatrice dell’Uni di Zurigo che cura la parte ticinese. Basta scrivere a ricerca-abusi@hist.uzh.ch e si verrà contattati.
«Tutto è anonimizzato e sarà garantita la più stretta confidenzialità», precisa. Bisognerà incoraggiare tutti quanti, vittime o chi ha notizia di abusi, a farsi avanti. Soprattutto in Ticino dove manca un punto di sostegno neutrale. «Spesso abbiamo constatato che le vittime non hanno una gran fiducia nella Chiesa e in seguito a un dibattito pubblico, solo loro a creare un gruppo di ascolto e aiuto». A colpire maggiormente la ricercatrice sono il dolore e il silenzio. «Questi abusi hanno causato tanta sofferenza, emersa solo in parte. Molti hanno taciuto per paura di non essere creduti, a volte il silenzio era incoraggiato dagli stessi familiari». Mentre chi doveva vergognarsi, continuava a seminare dolore, protetto dalla Chiesa.
Due associazioni che rappresentano degli interessi delle vittime di abuso in Svizzera hanno ottenuto che rappresentanti ecclesiastici, statali e accademici affrontassero la questione: il pioniere in Svizzera è stato il Groupe SAPEC (Soutien aux personnes Abusées par des Prêtres de l’Eglise Catholique), fondato nel 2010 e attivo soprattutto nella Svizzera francese. Già nei suoi primi mesi di attività, l’associazione ha avviato il dialogo con numerosi dignitari cattolici, avanzando richieste. Il gruppo ha portato avanti progetti di ricerca, organizzato numerose tavole rotonde, creato una rete internazionale con altre associazioni. Il tutto, sostenendo parallelamente, le vittime di abuso nei loro contatti con le autorità ecclesiastiche e favorendo gruppi di discussione. Un’importante pietra miliare, si legge nello studio dell’università di Zurigo, è costituita dalla fondazione, nel 2016, della CECAR, un consultorio indipendente per le vittime, dovuta in gran parte all’iniziativa e alla tenacia di SAPEC. Analogamente alle commissioni d’esperti diocesane, la CECAR può ricevere segnalazioni di casi di abuso sessuale commessi da dipendenti ecclesiastici che sono caduti in prescrizione e presentare domande al Fondo nazionale di risarcimento. Durante la procedura, le vittime vengono seguite da una Commissione interdisciplinare, che ha il compito di ascoltarle, registrare le loro aspettative e, se possibile, impegnarsi per una mediazione la CECAR si considera un organo neutrale, indipendente dalle autorità della Chiesa cattolica, offre alle vittime un luogo di ascolto, di scambio e di mediazione con l’accusato o, se questo non è possibile, con i suoi superiori.
In Svizzera tedesca c’è l’associazione non-profit Interessengemeinschaft für Missbrauchsbetroffene im kirchlichen Umfeld (IG-MikU) che è stata fondata nel 2021. L’associazione sostiene le vittime di abusi sessuali e/o spirituali nell’ambiente ecclesiastico, favorisce gruppi di auto-aiuto, e difende i loro interessi nei confronti degli organi ecclesiastici e delle loro Commissioni d’esperti, delle autorità e dei media. Le due associazioni SAPEC e IG-MikU collaborano e condividono puntualmente informazioni, anche tramite il consultorio indipendente per le persone vittime di abusi CECAR e con le commissioni diocesane che si occupano della prevenzione. A oggi, in Ticino, come detto, non esiste un’analoga organizzazione o rappresentanza di interessi delle vittime.