L’opera ormai entrata quasi nel campo del mito è tornata prepotentemente di attualità. E con essa, l’eterno dibattito fra pontisti e no-pontisti
I ponti, in senso letterale e metaforico, sono in genere costruiti per unire. Ma ciò non vale nel caso del Ponte sullo Stretto di Messina, l’opera che da decenni divide inevitabilmente l’opinione pubblica italiana fra pontisti e no-pontisti. Un progetto le cui prime mosse prendono concretamente il via oltre 40 anni fa, e che ancora oggi non è giunto a conclusione, ritornando in voga a cadenza regolare. Un dibattito eterno che, è bene dirlo, spesso travalica la questione meramente tecnica sulla fattibilità e utilità dell’opera per assumere connotazioni ideologiche da entrambe le sponde politiche: è un dato di fatto che se i principali fautori della realizzazione dell’opera si trovano nello schieramento di centrodestra a guida Berlusconi prima e Meloni dopo, la principale opposizione arriva puntualmente dal centrosinistra e dall’area ambientalista.
Secondo i "pontisti", il Ponte sullo Stretto di Messina rappresenta un indispensabile strumento per lo sviluppo del Meridione, con la creazione di migliaia di posti di lavoro e, grazie soprattutto al dimezzamento dei tempi di trasporto delle merci, l’inclusione piena della Sicilia e della Calabria nel contesto economico del Mediterraneo del quale occupano, geograficamente, il centro. Le opposizioni dei contrari, invece, si fondano sostanzialmente sull’idea della presunta inutilità dell’opera a fronte della priorità da attribuire alla realizzazione di una rete viaria e ferroviaria efficiente in Sicilia e Calabria: due cose, va detto, delle quali l’una non esclude necessariamente l’altra, considerando anche la parte consistente di fondi previsti nel Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), di cui circa 10 milioni per l’Alta Velocità ferroviaria fra Salerno e Reggio Calabria e circa 80 milioni per il rinnovo totale della flotta di traghetti sullo Stretto. Altre criticità sono poi riscontrate nell’impatto ambientale e paesaggistico dell’opera sull’ecosistema unico dello Stretto e nell’alto rischio sismico della zona, devastata nel 1908 da un violentissimo terremoto.
Fu il governo Berlusconi ad indire la gara d’appalto sulla base del progetto preliminare approvato nel 2003 dalla società pubblica Stretto di Messina s.p.a. (SdM) fondata nel 1981 e depositaria dell’intero dossier. Un progetto che, riassumendo un ventennio di studi, prevedeva la costruzione di un ponte a campata unica con una luce di 3’300 metri, che ne farebbe il ponte sospeso più lungo al mondo, superando quello sui Dardanelli, in Turchia inaugurato nel marzo 2022, che presenta una luce fra le due torri di 2’023 metri. La gara viene vinta nel 2005 dalla cordata internazionale Eurolink con a capo l’allora Impregilo, oggi Webuild, per un importo complessivo di 3,88 miliardi di euro. Nel 2010 la società presenta il progetto definitivo dell’opera e dei relativi raccordi autostradali alla SdM., mentre nel frattempo vengono avviati i primi lavori preliminari di adeguamento di un tratto ferroviario in Calabria.
Tutto fatto? No, perchè nel 2012 il Governo Monti decide di mettere una pietra tombale sul progetto stanziando 300 milioni per pagare la penale per la mancata realizzazione dell’opera e imponendo alla SdM la stipula entro il 1° marzo del 2013 di un contratto aggiuntivo con Eurolink: l’atto non verrà mai firmato, il contratto d’appalto viene dichiarato nullo e la società viene messa in liquidazione con termine di un anno per il completamento della procedura. Ma Eurolink e Parsons (società statunitense di consulenza di project management) non ci stanno, e ritenendo illegittimo il recesso unilaterale fanno causa allo Stato italiano e alla Stretto di Messina per oltre 700 milioni di euro, procedura che si trascina ancora. E per non farci mancare nulla, la Stretto di Messina fa a sua volta causa allo Stato italiano per il risarcimento delle spese sostenute per poco più di 300 milioni. Col protrarsi del contenzioso slitta anche la liquidazione della SdM, con il commissario che resta al suo posto al costo di 120mila euro l’anno, e la società continua a spendere soldi pubblici, pur non avendo ormai alcun dipendente: nel bilancio 2021 sono riportati costi di gestione per 451’000 euro, di cui la metà per le spese per il personale distaccato per le operazioni di liquidazione, e debiti per 24 milioni di euro.
Poi, quasi dieci anni dopo, ecco rispuntare fuori l’idea del Ponte: prima con uno studio di fattibilità commissionato dal governo Draghi nel 2021 con al centro l’idea di un nuovo progetto di ponte a tre campate. Molto più di recente, con le ultime mosse del Governo Meloni su impulso del neoministro delle Infrastrutture Matteo Salvini: nella nuova legge di bilancio, l’opera viene definita "prioritaria" e viene "resuscitata" la Stretto di Messina sospendendo i contenziosi in corso. Intanto WeBuild si è detta già disposta a rinunciare al contenzioso con lo Stato italiano in caso di prosecuzione del progetto, ma nel frattempo, il contratto è decaduto e andrebbe quindi rifatta la gara d’appalto o si dovrebbe procedere senza di essa. E qui entra in gioco l’idea di utilizzare il cosiddetto "modello Genova", la procedura speciale creata per la ricostruzione del Ponte Morandi dopo il crollo del 2017: in sostanza, la nomina di un Commissario straordinario che, in nome del supposto (ma non acclarato) carattere di urgenza dell’opera, tratti direttamente con le singole imprese (in questo caso Eurolink) in deroga al codice degli appalti, rispettando solo il Codice penale e i regolamenti antimafia. E i fondi, ovvero, a conti fatti, fra i 4 e i 7 miliardi di euro? Il governo Meloni intende chiederli all’Unione Europea. In questo senso, una prima apertura è arrivata al vertice dei ministri dei trasporti del 5 dicembre, con la commissaria Ue ai trasporti Adina Valean che ha aperto a un possibile finanziamento dell’opera, almeno nella prima parte di fattibilità, a patto che venga presentato un progetto solido: «A parte avere una intenzione, bisogna avere una fase di preparazione e poi essere pronti per la costruzione effettiva» ha dichiarato.
In tutto questo tempo è rimasta insoluta la questione principale, ovvero l’attraversamento stabile dello Stretto, che, a prescindere dalle opinioni in merito al Ponte, resta ad oggi un "collo di bottiglia" sia per quanto riguarda il traffico stradale e ferroviario fra la Sicilia e il resto d’Italia, sia per quanto concerne il trasporto di merci attraverso quello che nel sistema delle reti transeuropee dei trasporti (che coinvolge anche la Svizzera, da cui passano due corridoi) è indicato come Corridoio 5 Scandinavo-Mediterraneo, con inizio a Helsinki e capolinea a La Valletta. Le stime del Ministero dell’Interno sul traffico annuo fra Messina e Reggio Calabria parlano di 11 milioni di passeggeri, 0.8 milioni di mezzi pesanti e 1,8 milioni di veicoli leggeri.
Attualmente, per passare da una sponda all’altra dello Stretto si impiegano, fra tempi di raggiungimento dell’approdo e imbarco, navigazione e tempi di sbarco, almeno 40-60 minuti, tempi dilatati anche fino a 3 ore durante i giorni di punta dei periodi di vacanza. In treno, poi, si arriva a dure ore fra smontaggio del treno, caricamento sul traghetto e montaggio allo sbarco. Va meglio a piedi, con un servizio di aliscafi veloci che, però, termina alle 20.55 nei giorni feriali e addirittura alle 17 nei festivi. A ciò si aggiunge il mancato riconoscimento del principio di continuità territoriale, che permette allo Stato di calmierare i prezzi dei trasporti per le zone difficilmente raggiungibili del Paese. Così, le tariffe sono lasciate all’arbitrio del libero mercato, in una situazione che, però, vede la società Caronte Tourist come unica concorrente del gruppo statale Rfi: il risultato è che andare a trovare un parente o una persona cara sull’altra sponda dello Stretto spostandosi in automobile (soluzione quasi obbligata soprattutto in orari serali o nei festivi) costa intorno ai 50 euro. Tempi e costi, dunque, spropositati rispetto alla brevità del tratto da percorrere e soprattutto inadeguati e anzi d’ostacolo rispetto alla visione di un’Area metropolitana dello Stretto integrata. Una situazione di fatto di cui anche i più acerrimi nemici del Ponte devono prendere atto: se da un lato lo schieramento "pontista" a tratti sfora nell’idolatria nei confronti del nuovo Vitello d’Acciaio, dall’altra parte i contrari alla costruzione dell’opera al di là degli slogan "No Ponte" offrono poche soluzioni alternative o non ne offrono affatto, apparendo troppo spesso come dei neinsager più interessati all’opposizione al Ponte in sé che alla risoluzione del problema.
"Il Ponte non è stato ancora realizzato per ragioni politiche, per l’opposizione della sinistra. E ora ci sono le condizioni, con un governo nazionale e i due governi regionali di Sicilia e Calabria che intendono realizzarlo.", ci dice l’ingegner Giacomo Guglielmo, esperto di mobilità e trasporti e di fondi europei. Ma chi pagherà? "Pagherà lo Stato, anche con finanziamenti europei: i soldi si troveranno, come si sono trovati per tutte le grandi opere pubbliche, dal raddoppio dell’autostrada Firenze-Bologna all’Alta Velocità del nord, tutte infrastrutture costruite dallo Stato italiano. E i siciliani, fino a prova contraria sono italiani, ed è una vergogna che si debbano ancora muovere con traghetti e aerei inquinanti mentre tutta Italia viaggia in treno" Il Ponte a campata unica è dunque la soluzione migliore, nonostante le obiezioni tecniche? "Si perché non è soggetto alle correnti marine, dato che le torri sono a terra. I tunnel sono soluzioni molto più pericolose e comunque vanno imboccati circa 20 km prima. Riguardo il rischio sismico, il Ponte è progettato per resistere a una scossa di magnitudo 7.2 Richter che è la massima intensità di un terremoto che si può registrare su questa faglia: anche se intorno, per ipotesi, crollasse tutto, il ponte resterebbe in esercizio. Quanto all’allontanamento fra Sicilia e Calabria, al ritmo attuale, considerando che i giunti sono elastici e fatti apposta per deformarsi in ogni direzione per metri, occorrerebbero 4000 anni prima di doverli sostituire". In definitiva, quali sarebbero i vantaggi? "Il Ponte costerà solo 4 miliardi (quanto il suddetto raddoppio dell’A1 n.d.r.) e farà risparmiare almeno due ore di viaggio: potendo andare in treno da Messina a Milano in 6-7 ore anziché almeno 9-10, ci si penserà sicuramente a preferirlo all’aereo, che peraltro inquina molto di più. In questo momento la mancanza del Ponte costa ai siciliani circa 6 miliardi l’anno in spese di trasporto di persone e merci con aerei. Dal punto di vista economico con il Ponte sarà possibile, fra l’altro, far sbarcare nel porto di Augusta le merci ad oggi dirette in Adriatico dal canale di Suez, in gran parte in arrivo dalla Cina, e da qui trasportarle via terra ai mercati italiani e del Sud Europa: vuol dire risparmiare giorni di navigazione su navi inquinanti e soprattutto incassare l’IVA. Se intercettassimo anche solo il 10% di queste merci, il Pil siciliano (ad oggi intorno agli 80 miliardi) sarebbe quasi raddoppiato. E poi ovviamente ci sono i posti di lavoro, 8’000 in 6 anni a cui va aggiunto tutto l’indotto: arriviamo a 25’000 impieghi l’anno". Insomma, è la volta buona? "Con le condizioni politiche attuali si, se non si farà ora sarà difficilissimo farlo più avanti. E non aver finora realizzato il ponte è un crimine contro la scienza, contro 2000 anni di evoluzione, contro la logica. Ed è stato anche sbagliato farlo diventare una questione politica".
Di avviso radicalmente diverso è Tonino Perna, ex docente di Sociologia Economica all’Università di Messina. "Quello che nessuno mette in evidenza è che il ponte è visto come una protesi, ma una protesi a cui manca tutto il resto del corpo. Perché fatto il Ponte, mancano i progetti su come arrivarci" spiega Perna. "Dal lato siciliano bisognerebbe portare l’autostrada e la ferrovia 30km in là rispetto alla posizione attuale al centro della città, e bisogna considerare che le colline al di sopra della città di Messina sono estremamente franabili, c’è un grosso rischio di dissesto idrogeologico. In Calabria invece andrebbe rifatta la ferrovia perché per portare il treno all’altezza dell’imbocco del ponte a circa 100 metri bisogna far iniziare la salita 30-40 km prima. E poi c’è, ovviamente, il rischio sismico, e il fatto che la Sicilia e la Calabria, geologicamente, si allontanano l’una dall’altra di cinque centimetri ogni cinque anni". Un’opera dunque nei fatti impossibile da realizzare? "Bisogna prima di tutto iniziare a dire chiaramente che il Ponte non può essere finanziato con i fondi del Pnrr, Bruxelles l’ha già detto esplicitamente: perchè bisognerebbe realizzarlo in quattro anni, e mancano ancora i progetti definitivi, si discute ancora se farlo a una o a tre campate. A cosa serve tutto questo? Serve come arma di "distrazione di massa" rispetto a quelli che sono i veri problemi del Sud, a iniziare, solo per dirne una, dalla statale Jonica 106 (la famigerata "strada della morte" n.d.r.), dato che da Reggio Calabria a Bari ci vogliono quasi 6 ore in macchina e 9 in treno (per circa 450 km), e in generale la mancanza di mobilità delle zone joniche della Calabria, che anche per questo motivo hanno uno dei Pil pro capite più bassi d’Europa, o ancora la riqualificazione dell’Ilva di Taranto. Anche economicamente è insostenibile: nessun privato investirebbe in un progetto che non si sa quando sarà realizzato, e senza sapere, una volta ultimato, quando rientrerà dall’investimento. È quindi chiaro che andrà fatto con soldi pubblici: e non si sa nemmeno quanto costerà davvero". Ponte o non Ponte, però, resta la questione dell’attraversamento dello Stretto e dei tempi eccessivamente lunghi… "È lo Stato che deve investire di più in questo campo, perché negli ultimi trent’anni, andando dietro alla storia del Ponte, siamo andati indietro da questo punto di vista. È un trasporto pubblico di interesse pubblico che va al di là del calcolo costi-benefici immediati, e che se gestito bene, può andare tranquillamente in pareggio, perché il movimento sullo Stretto c’è. C’è anche, peraltro, un progetto di navi elettriche, che non inquinano e che possono navigare con più regolarità. È a questo che vanno destinate le risorse."