Studio sul sonno di 440 gestanti seguite per oltre un anno scopre un legame tra insonnia e mal di vivere. I ricercatori dell’Eoc scovano anche la cura
Diventare madre, dovrebbe essere il momento più bello per una donna, ma può divenire un incubo che trascina giù nella spirale della depressione. Una brutta bestia, un po’ come una roulette russa, non si sa a chi toccherà. Ma ora i ricercatori ne sanno qualcosa in più. Come dormiamo, o non dormiamo, sembra predire chi è più a rischio. Infatti gli esperti hanno scoperto che la comparsa di disturbi del sonno in gravidanza sono una spia per identificare quali donne soffriranno del mal di vivere: chi ha seri problemi d’insonnia (almeno un mese senza chiudere occhio) in gravidanza ha più probabilità di ammalarsi di depressione perinatale, mentre la sonnolenza frequente dei primi tre mesi non ha alcuna rilevanza.
Sono le conclusioni di un vasto studio, appena terminato e pubblicato su due riviste specializzate, che ha coinvolto per la prima volta 440 gestanti (150 in Ticino), cui ha partecipato l’Ente ospedaliero cantonale. Il 15% delle gestanti, circa 70 donne, ha sviluppato una depressione. Una maggioranza significativa aveva lamentato gravi problemi d’insonnia. Tra loro soprattutto donne appartenenti al cronotipo gufo (i tipici dormiglioni che preferiscono svegliarsi tardi e sono più produttivi di sera), più protette invece le allodole (il loro orologio biologico fa si che raggiungono il massimo della loro produttività prima di mezzogiorno). I ricercatori si sono poi chiesti come aiutare queste donne. Sulle gestanti in depressione è stata testata una cura, non farmacologica: la terapia della luce è risultata efficace per il 73% di loro. Ma c’è un ostacolo: la diffidenza verso un trattamento poco conosciuto in Svizzera. Ci spiega tutto il professor Mauro Manconi – capo servizio al Neurocentro della Svizzera italiana, dove dirige il Servizio di Medicina del Sonno all’Ospedale regionale di Lugano – che ha coordinato questa ricerca autofinanziata (1,7 milioni dal Fondo nazionale per la ricerca scientifica) cui hanno partecipato 39 ricercatori tra Svizzera (ha partecipato l’università di Basilea) e diversi centri ospedalieri specializzati in Italia (Bologna, Torino, Milano). Lo studio si chiama Life-ON: l’inizio della vita ma anche la luce che cura.
Le 440 gestanti (età media 34 anni) sono state seguite dal secondo mese fino ad un anno dopo il parto, per il 57% era la prima gravidanza. Due regole valevano per partecipare allo studio: non dovevano soffrire di depressione e non dovevano assumere farmaci. La qualità del loro sonno è stata radiografata fin nei minimi particolari, studiata anche con la polisonnografia, cioè elettrodi che rilevano l’attività cerebrale per tutta la notte (è la prima volta con una casistica così ampia). Tutto è riassunto in una sfilza di tabelle e grafici, che analizziamo col prof. Manconi: «È soprattutto nel terzo trimestre di gravidanza che abbiamo trovato un incremento dei disturbi del sonno: il 56% delle donne ha lamentato seri problemi di insonnia (ad esempio per la difficoltà di spostarsi nel letto). Il picco è nell’ultimo mese fino ad un mese dopo il parto», ci spiega. Passiamo alla sindrome delle gambe senza riposo: «Ne soffriva una donna su quattro verso il secondo e terzo trimestre, un problema che è scomparso dopo il parto». Capitolo apnee notturne, dovute di regola dall’aumento di peso: «Le abbiamo trovate nel 4,2% delle signore, solo la metà era da curare». Per l’82% di loro è peggiorata la qualità del sonno, senza essere patologica: «Il picco era tre settimane dopo il parto». L’ultimo indicatore era la sonnolenza diurna: «Ne ha sofferto il 40% delle gestanti soprattutto nei primi tre mesi di gravidanza, poi questo problema si è risolto».
La vera svolta, prosegue il medico, è stata scoprire che chi soffre di insonnia e sindrome delle gambe senza riposo nel terzo trimestre ha più possibilità di sviluppare una depressione perinatale: «Ora sappiamo con certezza che il sonno contiene informazioni utili a predire quale donna svilupperà questo disturbo». Cerchiamo di capirne di più sulla correlazione tra sogno e depressione, che l’esperto ci spiega così: «Più breve è la latenza del sonno Rem (fase in cui sogniamo) – il tempo per entrare in questa fase – più si è a rischio. Questo perché il sonno potrebbe (ma va indagato) favorire fenomeni emotivi correlati alla capacità di mantenere un buon equilibrio emotivo in fase di veglia».
Passiamo infine alle buone notizie. Analizzando come dormono le donne che hanno sviluppato la depressione (il 14%) è emerso anche un altro dato interessante: «La sonnolenza diurna dei primi mesi non rappresenta un fattore di rischio per un’eventuale depressione». Incrociando altre variabili non è emerso nulla di altrettanto significativo. Ad esempio: fare o non fare attività fisica, la recente morte di un parente o perdita del lavoro, essere sposati o conviventi, essere o meno sovrappeso… tutte queste variabili, spiega il medico, non sono correlate significativamente al rischio di una depressione perinatale. Lo sono invece avere avuto in precedenza aborti o interruzioni di gravidanza e aver avuto episodi depressivi.
Una volta appurato che l’insonnia verso la fine della gravidanza può predire l’arrivo di una depressione, i ricercatori si sono chiesti, come aiutare chi è già scivolato in questa patologia invalidante e se è possibile prevenirla. Non ci sono terapie farmacologiche sicure da usare in gravidanza, dunque la scelta è caduta sulla terapia della luce. «Ne abbiamo testato l’efficacia su un sottogruppo di donne: chi aveva sviluppato questa malattia e altre 80 signore non depresse scelte a caso. Abbiamo dato una lampada medica da usare a domicilio al mattino, durante la colazione, per 30 minuti, per 6 settimane». Questo trattamento, che dura 60 giorni, funziona per questa patologia: «Si usa di routine in vari centri, anche il nostro, ed è sicura in gravidanza. Sappiamo che la luce aumenta la produzione di serotonina (l’ormone della felicità) nel cervello e fa un ‘resetting’ del ritmo sonno-veglia che probabilmente migliora l’umore», ci spiega il dottor Manconi. I risultati sono stati incoraggianti: «La terapia non funziona in modo preventivo, quindi non serve farla a tutte le gestanti. Invece è molto efficace per le donne già depresse: il 73% di loro è guarito, ed i benefici erano evidenti già dopo una settimana di trattamento». Il problema è stato convincere le donne: «C’era molto scetticismo e diffidenza verso una cura non molto usata in Svizzera».
Una donna su sei in gravidanza o dopo il parto cade in depressione. Un prezzo da pagare elevato sia per la madre, sia per la società, perché una depressione perinatale può avere riflessi negativi sullo sviluppo emotivo e psicologico del bebè e sull’intero nucleo familiare, fino ad atti violenti verso il feto o il suicidio. Alcune donne mascherano (o negano) i sintomi della depressione perché si vergognano di non farcela. Va distinto il ‘baby blues’ dalla depressione. «Dopo il parto, nel 70% dei casi, arriva il baby blues, dovuto a un calo di ormoni, al pianto del bambino che attira l’attenzione della madre e quello della madre che attira l’attenzione dei familiari. Non è una patologia e si normalizza entro giorni o settimane». Diverso il discorso per la depressione perinatale: «Può iniziare in gravidanza o dopo il parto». La madre può vivere la nascita con tristezza per paura di non farcela, perché può sentirsi sola, e allora si colpevolizza: qui può inserirsi la depressione. Ora sappiamo che l’insonnia gioca un ruolo importante.
Verrebbe da dire meglio mattinieri come le allodole che tiratardi come i gufi. Perché le gufe in gravidanza sono più a rischio di depressione perinatale. Le prime (allodole) si svegliano presto, anche senza sveglia e senza sforzo, ma preferiscono coricarsi presto; le gufe invece faticano ad alzarsi alla mattina e finiscono per fare le ore piccole, perché sono più attive la sera. «Alla base di quelli che chiamiamo cronotopi ci sono predisposizioni genetiche, riflettono il funzionamento dell’orologio interno che regola tra l’altro anche il ritmo sonno-veglia». E poi ci sono gli intermedi. È interessante notare che su 440 gestanti, il 6% erano gufe, il 38% allodole e il 56% intermedie. «Il cronotipo gufo ha la tendenza a dormire meno, a consumare più alcol, fumare e usare dispositivi elettronici. Forse queste abitudini incidono sul rischio di insonnia e depressione perinatale. Saperlo può aiutare a prevenirlo con un’attenzione maggiore all’igiene del sonno», conclude il medico.