Cinema, digitale, giovani: le strategie del Locarno film festival raccontate, aspettando la 75ª edizione, dal direttore operativo Raphaël Brunschwig
«La grande domanda è che cosa è un festival oggi, quali esperienze può offrire». Ci prende un po’ in contropiede, Raphaël Brunschwig, quando lo incontriamo nel suo ufficio al PalaCinema per discutere della 75ª edizione del Locarno film festival, sotto la presidenza di Marco Solari: come managing director ci annuncia la presenza di una nuova sala, l’Otello di Ascona dove arriveranno i film dei due concorsi principali, il ritorno dello Spazio Cinema e altre cose che vedremo dal 3 al 13 agosto, ma la sua visione si allarga e include il quesito iniziale. Una domanda che a ben pensarci fino a qualche anno fa sarebbe stata oziosa: certo con sfumature diverse, a seconda della vocazione e dello spazio per pubblico e industria cinematografica, ma era chiaro che un festival del film era una manifestazione in cui si vedevano dei film. «Nell’epoca del binge watching l’attenzione è il bene più scarso» prosegue Brunschwig: a contendersi l’attenzione di un pubblico sempre più frammentato troviamo non solo le realtà che propongono film, «ma chiunque offra una qualche esperienza digitale».
L’evento fisico, gli undici giorni a inizio agosto a Locarno con le loro occasioni di incontro e di relazione «rimangono al centro di tutto» e l’obiettivo resta quello di tornare al numero di presenze che il festival aveva prima della pandemia – quest’anno si è preventivato, in maniera prudenziale, il 60% dei biglietti del 2019 –, perché «il business model si regge su tre elementi: la qualità dei contenuti, il pubblico, il sostegno delle istituzioni e dei partner; se viene meno uno di questi tre elementi, anche il resto crolla». Tutte le iniziative del festival, «anche quelle più innovative, hanno quindi questo obiettivo, portare pubblico mantenendo alta la qualità. Al contempo «è inevitabile guardare ad altro, guardare al digitale dove oggi e sempre più in futuro si muovono il cinema, le nuove generazioni, l’attenzione delle persone». Ma non è un semplice inseguire: «Se pensiamo ai progetti avviati, come il professorato con l’Usi, il BaseCamp o la Locarno Residency, si vede che vogliamo riflettere sul futuro per creare le premesse affinché vi sia una sorta di ‘empowerment’ delle giovani generazioni, dare loro gli strumenti» per muoversi nel mondo dell’audiovisivo.
Si tratta di progetti che rientrano nel percorso di mediazione culturale che il Locarno film festival ha iniziato a percorrere prima della strategia digitale. «Dobbiamo far vedere che facciamo qualcosa di unico, di originale, di attrattivo a delle persone per le quali non è scontato venire a Locarno». E qui Brunschwig ricorda un incontro avvenuto recentemente con David Streiff, direttore artistico negli anni Ottanta. «I giovani intellettuali definivano il proprio profilo anche con i film che andavano a vedere nei cinema arthouse e loro venivano a Locarno perché per loro era normale, faceva parte della loro "dieta mediatica". Adesso difficilmente i giovani definiscono la propria identità in base a quello che vedono in un cinema, almeno non in quella misura, e per loro non è più scontato venire a Locarno».
Il Locarno film festival guarda al futuro. Ma – e qui Brunschwig cita il fondatore di Amazon Jeff Bezos – «è possibile basare la propria strategia su cosa cambierà nei prossimi dieci ma anche su cosa non cambierà nei prossimi dieci anni». E quindi «che il cinema non scomparirà, né come evento né come fatto sociale; che i festival rimarranno luoghi di ricerca e di confronto e anche di formazione, di educazione alla bellezza e alla ricchezza dell’esperienza cinematografica; e che la regione Ascona-Locarno e il Ticino in generale rimarranno uno scenario ideale per eventi internazionali come il festival». Non è uno scenario eccessivamente rassicurante? «No, perché secondo noi è certo che ci sarà un pubblico interessato all’esperienza dei cinema e dei festival, ma non è detto che lo si riesca a portare a Locarno: la sfida è proprio come essere attrattivi per questo pubblico con iniziative che lo mettano al centro dell’esperienza, come il Prix du public Ubs, che trasforma da oltre vent’anni la platea di 8’000 spettatori nella più grande giuria esistente» risponde Brunschwig.
Quali sono, in questo panorama frammentato, i concorrenti di Locarno? «Dipende dal punto di vista che assumi. Per il pubblico ogni evento, ogni piattaforma è un potenziale concorrente, anche le vacanze a Ibiza sono un nostro concorrente e quindi dobbiamo proporre qualcosa che faccia dire "ad agosto voglio andare al festival"». Dal punto di vista dei partner, quelli che un tempo venivano chiamati "sponsor", «in buona parte provengono dalla Svizzera tedesca e ci muoviamo nel campo dei grandi eventi, non solo cinematografici, nazionali anche se ci sono alcuni progetti che hanno un potenziale internazionale». Ci sono i film e in questo caso i concorrenti del direttore artistico Giona A. Nazzaro «sono gli altri festival, soprattutto quelli che vengono subito prima e subito dopo di noi come Venezia e Toronto». E la sfida qui è offrire «qualcosa che a livello di presenza di pubblico, di professionisti e di giornalisti convinca chi ha lavorato a un’opera a pensare che Locarno sia il posto giusto per "metterla al mondo" e poi farle continuare il suo percorso in altri festival, nei cinema o nello streaming».
Realtà come le piattaforme di streaming sono quindi sia concorrenti, contendendosi la famosa attenzione del pubblico, sia una risorsa con cui collaborare? «Sono un elemento dell’ecosistema. Partiamo dal fatto che il cinema, in questo momento, gode di moltissima attenzione, probabilmente non si sono mai visti così tanti film come adesso e questo offre grandi opportunità anche a un festival». Brunschwig cita come esempio le Locarno Shorts Weeks, in pratica una piattaforma creata dal festival insieme a Swiss Life per mettere in evidenza i cortometraggi della sezione Pardi di domani. Ma anche le collaborazioni con piattaforme esistenti come Netflix, MUBI, Play Suisse o «Blue TV di Swisscom che è un nostro partner strategico ed è il principale servizio di video on demand in Svizzera».
Lo sviluppo digitale del festival – tramite lo streaming e più in generale costruendo una comunità online – rappresenta inoltre un’occasione per pensare a collaborazioni internazionali. A livello artistico il Locarno film festival è da sempre internazionale: film con relative delegazioni e stampa provengono da tutto il mondo; a livello di pubblico è principalmente un evento svizzero e, come accennato, compete con le altre manifestazioni svizzere nella ricerca di sponsor e partner. «Il festival in presenza rimane al cuore delle nostre attività» precisa Brunschwig. «Ma le attività che costruiamo intorno a questo cuore seguono logiche globali e possono quindi essere sostenute da partner diversi da quelli interessati agli undici giorni di agosto, partner che si muovono a livello internazionale». Le potenzialità sono indicate di nuovo dalle Locarno Shorts Weeks, per le quali «con l’ultima edizione abbiamo avuto contatti da oltre 150 nazioni».
Vediamo più da vicino queste iniziative. Le Locarno Shorts Weeks, giunte alla quarta edizione, sono già state ricordate e anche il BaseCamp, il laboratorio per giovani talenti a Losone. Per quanto riguarda la cattedra sul futuro del cinema all’Usi, il professor Kevin B. Lee «da una parte insegna all’università, dall’altra ci aiuta a sviluppare nuovi progetti e lui stesso crea dei contenuti che diffonderemo sulle nostre piattaforme». Abbiamo poi Locarno Kids in collaborazione con la Mobiliare «che si espande online con attività tutto l’anno» e Open Doors Toolbox, «una piattaforma con la quale fornire strumenti e risorse a giovani cineasti dei Paesi emergenti, gli stessi del progetto Open Doors che si svolge in presenza a Locarno con la differenza che in un anno la comunità digitale include già millecinquecento persone, mentre a Locarno ne possiamo portare cento ogni anno».
Abbiamo poi Heritage Online, l’iniziativa che mira a sostenere la distribuzione sulle piattaforme di streaming dei film del patrimonio cinematografico e Locarno Residency, un percorso di accompagnamento per giovani cineasti alle prese con il loro primo lungometraggio. «Tutto questo ha lo scopo di rafforzare il posizionamento del festival e in fin dei conti di mettere il direttore artistico Giona A. Nazzaro nelle migliori condizioni possibili per dire che questo è il festival più attrattivo dove far vedere dei film e invitare premiati d’eccezione, come è il caso per il Pardo d’onore Manor, che negli anni ha omaggiato personalità quali Ken Loach, Werner Herzog e, quest’anno Kelly Reichardt».
Prima della pandemia lo sviluppo digitale era presentato, negli incontri e nelle conferenze stampa, come la soluzione al raggiungimento dei limiti della manifestazione in presenza: il Locarno film festival, nei suoi undici giorni di manifestazione, non può crescere più di così e quindi lo sviluppo futuro non può che avvenire, nel resto dell’anno, online. Adesso il quadro è cambiato ed è visto come un passaggio naturale, quasi ineluttabile. Quali gli obiettivi a lungo termine del festival? «Offrire contenuti e servizi rilevanti al pubblico e ai professionisti, far vivere il brand del festival tutto l’anno, traducendo in progetti digitali i nostri valori e rafforzando il business model del festival» e quindi, in questo modo, rafforzare il festival fisico che, come detto, resterà sempre al centro di tutto, risponde Brunschwig.
A proposito di business model: i progetti digitali come si sostengono economicamente? «Si devono sostenere da sé con vari modelli legati a partnership, sistemi in abbonamento e altre soluzioni che si stanno sviluppando. C’è un investimento iniziale, per dare avvio al singolo progetto, ma poi deve essere economicamente sostenibile e anzi rafforzare il festival sia per quanto riguarda l’interazione con i suoi pubblici, sia per quanto riguarda l’aspetto economico, diversificando le entrate».
La gestione di tutte queste nuove iniziative non porta a dei problemi organizzativi? «Il Locarno film festival è un’organizzazione molto complessa» riconosce Brunschwig, citando aspetti quali il modello di finanziamento che va da partner privati alle istituzioni e alla politica, dalle realtà locali e regionali a quelle nazionali. «Siamo chiaramente in una fase di trasformazione che impone di sviluppare nuove competenze: ad esempio la vicedirettrice operativa Simona Gamba ha preso il posto, come Chief innovation officer, di un vicedirettore che era responsabile marketing, sostituendo un profilo classico con un tipo completamente nuovo che Locarno non aveva». Cambia il festival e, aggiunge Brunschwig, cambia anche la società: «C’è una maggiore sensibilità su temi come la diversità, la parità di genere, l’equilibrio tra lavoro e vita privata; inoltre soprattutto i giovani avvertono il bisogno di lavorare per delle realtà che abbiano uno scopo profondo nel quale si identificano».
In conclusione, cosa è un festival oggi? «Posso dire cosa è il Locarno film festival: un progetto con al centro un festival cinematografico classico attorno al quale si sono costruiti altri elementi che coerentemente con la nostra identità ci permettono di mantenere la nostra rilevanza rispetto ai vari pubblici. Una comunità per creare immaginari rilevanti per il nostro tempo».