Volontari luganesi al confine tra Polonia e Ucraina per portare cibo, vestiti, sanitari. ‘Manca latte in polvere’. Intanto in Ticino è gara di solidarietà
Una gara di solidarietà che allontana per un momento l’atrocità delle bombe. «Mio fratello è a Kharkiv, anche i miei zii e cugini, non riesco a raggiungerli. È allucinante: la mia città non esiste più», mi dice Darya Schöni. La incontro a casa sua a Lugano, è da 20 anni che vive e lavora in Svizzera. Sorseggiamo un tè di valeriana. Sul tavolo ci sono le gocce di rescue. Non riesco nemmeno a immaginare l’ansia che deve provare. «Ho pianto due giorni, al terzo ho deciso di fare qualcosa». Con altre due mamme ucraine ha avviato delle collette, le tre donne sono rimaste quasi travolte dal successo. Cosa serve, viene segnalato dall’ambasciata ucraina di Berna, il tam tam passa da Instagram. C’è chi porta merce, chi offre un garage per riporla, chi presta un furgoncino. Roberto Bucci non ci ha pensato due volte, aveva tempo e si è messo alla guida di un pulmino a noleggio, carico di viveri, vestiti, sanitari. Direzione Polonia.
Quando ci risponde al telefono ha alle spalle 20 ore di guida. È appena arrivato sulla frontiera con l’Ucraina (nella zona Przemysl Glowny), dove c’è una palestra che ospita chi fugge dalla guerra, sulla frontiera con l’Ucraina, dove c’è una palestra piena di rifugiati. «Qui è un delirio. Fa freddo. Ci sono bambini, mamme. Sono tantissimi. Un vero delirio», ripete più volte il luganese. La voce rotta dai singhiozzi. «Piango, ma sono felice di essere qui. Non pensavo di vedere una cosa simile. Sono tutti ammassati, non c’è un letto libero». Gli chiedo che cosa vede: «Ci sono tanti volontari, sono molto giovani, parlano diverse lingue, lavorano senza sosta. Una ragazza mi ha appena dato una lista di medicine. Fanno la spola tra Ucraina e Polonia, portano farmaci a chi combatte».
In mattinata ha scaricato le donazioni ticinesi in un deposito vicino alla frontiera. Erano tre mezzi provenienti dal Ticino, anche un furgoncino offerto gratuitamente da una ditta: «Tutto è ben organizzato, ci hanno accolto volontari ucraini e polacchi, abbiamo sistemato le casse. Mancano soprattutto pannolini, latte in polvere. Molti scappano con gli animali domestici, quindi anche cibo per animali». La comunicazione va e viene. Sento la voce di un uomo. «Mi dice che non posso fare foto». Roberto, con un misto di rabbia e commozione, fa una promessa: «Per me questo è solo l’inizio. Tornerò con un pullman per portare via da questo inferno mamme e bambini». A chi seguirà le sue orme consiglia: «Non è una passeggiata in Europa, bisogna essere organizzati, anche se in dogana non abbiamo avuto problemi», conclude.
Intanto a Lugano le collette vanno avanti. È un dramma vissuto quasi in diretta a casa di Darya. «Durante la guerra, quando le donne non potevano aiutare i mariti, i figli o i fratelli, aiutavano gli altri, pensando che qualcuno avrebbe fatto lo stesso coi loro parenti. Questo è quello che facciamo ora», mi spiega. Mentre parliamo arrivano in continuazione messaggi dall’Ucraina. È un’amica da Kharkiv. «Lei e il marito sono medici, ma l’ospedale non c’è più. Non c’è più acqua corrente, non c’è luce, solo il gas funziona, scarseggia il cibo», mi racconta. La sua amica si è messa in viaggio. «Stanno scappando, sono in coda», mi dice. Abbandonano la loro città con un misto di terrore e senso di colpa per lasciare i propri luoghi di appartenenza. Il telefono continua a squillare. Tanti chiamano per fare donazioni. «Il popolo ticinese sa reagire in fretta e ha un grande cuore, malgrado non abbia una tradizione di conflitti, è pronto ad aiutare gli altri. In Svizzera non mi sono mai sentita straniera», precisa.
Al Conza a Lugano c’è un gran via vai di auto, dai cofani strapieni escono borse con viveri, vestiti, sanitari, coperte, anche cibo per cani. C’è chi lascia direttamente un trolley pieno, intanto, ora dopo ora, si accumula una marea di borse. Sono tutte da svuotare, la merce va selezionata e riposta in scatole per categoria. «Niente vetro mi raccomando, se si rompe è un casino», sento urlare mentre mi dirigo nel settore scarpe. Qui c’è Sefica Topic, cappellino rosso, sguardo accogliente, piglio deciso. È l’anima e la mente della colletta per l’Ucraina organizzata dall’Associazione Umanitaria Comunità Bosniaca in Ticino. Riusciamo a stento a fare due parole. «Ho portato nuove scatole di cartone. Dove le metto?», urla una signora distinta. Incrocio lo sguardo sorridente di Maja, è infermiera, sta scrivendo l’etichetta ‘jackets’ su uno scatolone. «Essere qui mi fa bene, ho scelto dove stare, non sul divano, ma coi più deboli». È arrivata al mattino a portare vestiti e si è fermata ad aiutare. «Così mi sento meno impotente davanti a questo orrore». Anche Claudio, pensionato di Lugano ha deciso di rimanere. Oggi è il responsabile di pannolini, spazzolini da denti, saponi… «È dalle 9 che sono qui. Ho la schiena rotta, ma ho toccato con mano quanto lavoro c’è. Stasera rientro a casa felice».
Ci sono tante mamme con bambini. Chi porta borse e borsoni, chi aiuta, chi vuole far vedere ai figli il lato oscuro della guerra. Sefica mi spiega che la guerra l’ha vissuta sulla sua pelle in Bosnia. «Oggi festeggiamo 30 anni di indipendenza, lo facciamo aiutando l’Ucraina». Ci raggiunge il suo braccio destro, Alma Karabasic, una donna pragmatica, abituata a fare, si ferma un momento e dice: «La guerra è solo sofferenza, mentre l’umanità non ha passaporto». Si sentono accenti slavi, c’è chi parla inglese, ucraino, italiano, tutti sono lì per dare un contributo. Le si inumidiscono gli occhi mentre mi racconta: «Mi hanno ucciso tutta la famiglia in Bosnia, stiamo ancora cercando i cadaveri finiti nelle fosse comuni. Sarò sempre riconoscente alla Croce Rossa, che mi ha salvata». Sono le ferite profonde che lascia la guerra, che devastano più generazioni.
È proprio la Croce Rossa a sostenere l’associazione per i trasporti, ci sono tante carte da riempire, moduli da preparare. Il viaggio è lungo. «Il primo camion parte oggi, va in Polonia dove sta arrivando chi scappa dalla guerra. Consegneremo tutto lassù alla Croce Rossa», precisa la responsabile. Il costo dipende dal peso, dal tragitto, dal contesto di guerra, insomma da tanti fattori. «Più di 7mila franchi a carico», commenta. All’entrata c’è un box dove chi arriva può mettere una donazione. «Ci serviranno per i trasporti». Andando via incrocio Marisol, lavora alla Croce Rossa a Lugano. «Sono qui in veste privata - mi dice mentre scarica borse piene di cibo - sono qui per un atto di solidarietà verso chi soffre». La colletta al Conza di Lugano è iniziata lunedì e continua fino a venerdì alle 18, è tra le azioni segnalataci anche dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, UNHCR.
Aiutare i più deboli, in modo mirato ed efficace, non è facile soprattutto in un contesto di guerra. Anche l’associazione il ‘giardino dei bambini’, già operativa nell’Europa dell’Est dove ha costruito ospedali, scuole, centri per senza tetto, sta organizzando l’invio di materiale di primo soccorso al valico di frontiera Palanca, tra Moldavia e Ucraina, dove sono state allestite tendopoli e strutture mediche. Al momento non è possibile varcare il confine ucraino. «Siamo in contatto giornaliero coi nostri contatti in Ucraina e Moldavia. Presto andremo sul posto per valutare quale è il modo migliore di aiutare, subito dopo organizzeremo l’invio del materiale che stiamo raccogliendo in Ticino», ci spiega Monica Marzano. La sua farmacia Azione a Bellinzona è un punto di raccolta, come pure la farmacia Viganello a Lugano e l’Oratorio Sant’Antonio a Locarno. Un camion trasporta 22mila chili di materiale, ma occorre inviare ciò che davvero serve ed assicurarsi che arrivi davvero ai più bisognosi. «La raccolta sta andando bene, c’è molta generosità, cerchiamo soprattutto materiale sanitario, stampelle e carrozzine, sacchi a pelo e coperte, scatolame, omogeneizzati e cibo per bambini», precisa.
D all’inizio della guerra oltre 660’000 rifugiati ucraini, secondo l’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), sono scappati dal Paese. I numeri aumentano in modo esponenziale «Ci sono movimenti significativi sia all’interno del paese sia verso i confini, i civili fuggono per la loro sicurezza. La situazione cambia di ora in ora» ci spiega Vincent Burgy portavoce Hcr Svizzera e Lichtenstein. Dietro a numeri e stime ci sono bambini, ragazzi, adulti, donne, uomini, anziani, famiglie, amici, amori. «La situazione è instabile, i gravi problemi di sicurezza e la mancanza di accesso sicuro per gli operatori umanitari in Ucraina pongono grandi sfide all’UNHCR per continuare a operare in alcune aree. Tuttavia, l’UNHCR è ancora presente e continua a svolgere attività di protezione sul campo, compreso il lavoro con i leader dei gruppi di sfollati. Queste attività comprendono la valutazione della situazione e l’identificazione dei luoghi in cui gli sfollati interni possono essere accolti, nonché la costruzione della capacità delle hotline per garantire l’effettiva diffusione delle informazioni sulla protezione». Ogni aiuto è benvenuto. «Sostenere l’UNHCR, per intensificare le operazioni di soccorso in Ucraina e nei paesi vicini per aiutare i civili in fuga. Aiutare le persone in fuga dall’Ucraina che arrivano in Svizzera (info dall’Organizzazione svizzera di aiuto ai rifugiati; info@osar.ch o +41 31 370 75 75).