Uno scherzo della storia ha reso la frontiera tra le due Baarle, una olandese e l’altra belga, la più arzigogolata del mondo
“Questo formaggio lo fanno qua?” “No, è belga”, mi risponde categoricamente Carola, signora di cui so il nome perché ha sul petto uno di quei cartellini che sembrano usciti da un vecchio diner americano. O da un minimarket olandese, che è esattamente dove ci troviamo.
Da me e da Carola, solerte, paciosa e attempata commessa olandese della drogheria olandese che mi sta preparando un panino olandese con un formaggio straniero, il Belgio è letteralmente a un metro dalla porta da cui sono entrato, forse meno. Ma è anche nel retro del negozio, un palazzo più in là e dall’altro lato della strada. Qui, per capire cos’è Belgio e cos’è Olanda, hanno i confini disegnati per terra con delle grosse croci bianche, da una parte la B, dall’altra la NL di Netherlands, i Paesi Bassi. E talvolta non basta nemmeno quello.
La stranezza di questo posto che in realtà sono due, Baarle-Nassau e Baarle-Hertog, sta in un passato lontanissimo, e incasinatissimo, che per una serie di motivi nessuno ha mai messo a posto, come se fosse uno di quei fili talmente ingarbugliati che tanto vale lasciare così com’è. Una cosa è certa, ormai più di mille anni fa, nel 992, di Baarle ce n’era una sola, così veniva infatti registrato il villaggio in un documento ufficiale.
Duecento anni più tardi, nel 1198, il duca Enrico I di Brabante dona alcuni dei suoi terreni non coltivati al signore di Breda, Godfried II van Schoten: è il piccolo big bang del caos che seguirà e che nessuno sarà mai capace di sistemare davvero. Già negli anni successivi c’è una prima separazione amministrativa a livello municipale, con la creazione di Baarle-Breda (poi Baarle-Nassau dal 1400) e Baarle-Hertog. I villaggi si trovano all’incrocio di un doppio confine, e la questione comincia a diventare un vero problema con la nascita dei Paesi Bassi, nel 1648. Da quel giorno a oggi si contano almeno 15 tentativi di togliere l’enclave belga. Un’enclave a macchia di leopardo.
Perché sì, a differenza di come accade di solito - come ad esempio a Campione d’Italia in Svizzera, in cui i confini sono fatti in modo da delimitare un’unica area compatta - a Baarle i terreni sono disposti a casaccio, come se fosse un puzzle mai finito, un pezzo più grande qua, due più piccoli là. Per dire, a otto chilometri dal centro c’è un fazzoletto di terra belga, minuscolo e circondato dai Paesi Bassi. Sulla mappa sembra un corpo estraneo, un soldato paracadutato oltre le linee nemiche, un detrito di un’esplosione finito, chissà come, troppo lontano da tutto il resto. La gente, incuriosita, va a vedere anche quello, anche se non c’è niente da vedere. Un campo in mezzo ai campi.
Era evidente che la questione andava risolta e, nel 1792, dopo tre anni di negoziazioni, sembrava tutto fatto: Baarle-Hertog sarebbe passato sotto dominio olandese in cambio di altri due villaggi, Castelré e Unicoten. Saranno prima una serie di disguidi amministrativi e poi la guerra tra Austria e Francia a bloccare lo scambio. All’inizio dell’Ottocento il Belgio entra a far parte dei Paesi Bassi, e non ci sarebbe momento migliore per risolvere la faccenda, ma il re Guglielmo I lascia i due villaggi intrecciati in due province diverse. Un’altra occasione persa.
Il 19 aprile 1839 il Belgio raggiunge l’indipendenza, quattro anni dopo il Trattato di pace di Maastricht fissa i confini tra i due Paesi, ovunque tranne a Baarle. La situazione paradossale verrà vissuta durante la Prima guerra mondiale anche dalle truppe tedesche, che occupano il Belgio, ma non i Paesi Bassi neutrali. Baarle Hertog diventerà così un luogo cruciale, da cui verranno spedite migliaia di lettere al fronte e su cui verrà installata una radio in grado di comunicare con le truppe belghe. A Versailles, il Belgio prova a proporre a Stati Uniti e Regno Unito una revisione dei confini, ma il destino di due piccoli villaggi non importa nulla ai grandi della Terra, arrivati alle porte di Parigi per ridisegnare altro. La questione viene snobbata.
Durante la Seconda guerra mondiale i nazisti se ne fregheranno delle enclavi e tratteranno tutti allo stesso modo: male. Senza però risolvere la questione. Anzi, ad aggiungere un altro pezzo di Belgio ci penserà, nel 1959, una causa portata avanti da un allevatore di cavalli che ottiene per sé altri 14 acri di terreno strappati ai Paesi Bassi, il tutto davanti alla Corte di Giustizia dell’Aja.
Nel 1995, ormai rassegnati, belgi e olandesi ci rinunciano e rimisurano tutto per mettere confini precisi e definitivi: oggi a Baarle ci sono in tutto 30 enclavi, 22 sono belghe e si trovano dentro l’Olanda, le altre 8 sono olandesi e si trovano dentro alle enclavi belghe che si trovano in Olanda. Un po’ come le scatole cinesi, ma un po’ belghe e un po’ olandesi.
L’ufficio del turismo ha due bandiere e tutta quella serie di gadget che ci si può immaginare in un posto del genere: monete, francobolli, mappe, magneti, magliette, divise da doganiere che giocano con l’ambiguità di Baarle e la sua permanente e inossidabile provvisorietà.
Da lì parte un percorso che tocca luoghi da teatro dell’assurdo: la casa con due ingressi separati (uno in Belgio e uno nei Paesi Bassi), quella con il confine che passa in mezzo al portone e quella con due numeri civici per un unico ingresso. Quest’ultima è proprio chiamata la Casa con i due numeri: è il civico 19 di via Loveren di Baarle-Nassau, ma è anche il civico 2 di Baarle-Hertog. I suoi abitanti sono gli unici ad avere il privilegio di scegliere in quale dei due Paesi e di fatto anche in quale nazione abitare. Metà di questa casa, quella subito accanto e il loro giardino sul retro sono anche l’enclave più piccola del mondo: il nome tecnico è H7, quello con cui è conosciuta in zona è Campo degli innamorati, che toglie quell’aria notarile: in questa enclave, stando all’ultimo censimento, vivevano tre persone.
La regola dei portoni però solitamente è un’altra: visto che i confini s’intrecciano in talmente tanti modi che non è inusuale avere la cucina in Belgio e il salotto nei Paesi Bassi, il divano in Belgio e la poltrona nei Paesi Bassi, o addirittura il letto in entrambi i Paesi, si è deciso che a determinare l’appartenenza al Belgio o all’Olanda è la posizione della porta d’ingresso.
Ci sono casi in cui l’inquilino del primo piano vive in Belgio e quello del secondo nei Paesi Bassi, semplicemente perché hanno due ingressi separati. Perfino i parcheggi, a volte, subiscono la stessa sorte, con il cofano parcheggiato in un Paese e il baule in un altro: oggi almeno c’è l’euro a unire le due Baarle, prima della moneta unica ti ritrovavi a comprare il pane in franchi e la frutta in fiorini. Quasi tutti i negozi, specialmente chi fa consegne, hanno sia un numero di telefono olandese che uno belga, per non perdere visibilità dall’altra parte della città, che poi spesso è la stessa parte, seppur con un’altra bandiera.
Per orientarsi a volte sono necessari lampioni e cartelli stradali, che hanno sul palo un adesivo con la bandiera corrispondente. Una galleria d’arte ha approfittato del fatto di avere i confini al suo interno per far proseguire la linea di croci bianche fin dentro al negozio attirando inevitabilmente più visitatori. Perché sì, quello che sembra un’infinita serie di complicazioni è soprattutto un vantaggio: le due Baarle sono villaggi in tutto e per tutto identici a decine di altri in zona, case basse e rosse, villette anonime, campi. Il confine è ciò che le divide e le unisce in nome del turismo: e così nasce l’Enclavekoffie, il caffè dell’enclave. E assieme a lui il biscotto, l’amaro, la birra dell’enclave.
La questione dei negozi, in parte risolta con l’arrivo dell’euro, è saltata di nuovo fuori con la pandemia, infatti alcuni bar hanno il bancone in un Paese, ma i tavolini nell’altro, un negozio di abbigliamento è stato chiuso perché la cassa era in Belgio nonostante la maggior parte della superficie fosse in Olanda nei giorni in cui Bruxelles decise di chiudere tutto, mentre i Paesi Bassi cercavano di tenere aperto il più possibile. Per alcune settimane anche i bus che passano da una nazione all’altra - da sempre e continuamente - erano diventati una bizzarria nella bizzarria, visto che in Belgio si era obbligati a portare la mascherina, ma in Olanda no. Decidere come comportarsi per i due sindaci non è stato facile, perché c’erano da rispettare tanto le regole quanto il buonsenso.
Tra i tanti palazzi attraversati dal confine c’è anche quello del comune di Baarle-Hertog. Per mostrare meglio la divisione, la linea è stata disegnata sia sul pavimento che sul muro. Un pezzo della sala che ospita il consiglio comunale si trova in Olanda. Per via di un permesso speciale - e per problemi di spazio - alcuni consiglieri del paesino belga posso prendere posto in territorio olandese. La votazione viene considerata comunque valida, anche se in teoria non potrebbe essere così. Diversa è la questione dei matrimoni civili celebrati in quella sala: l’atto formale e la firma devono avvenire nella parte belga della sala, sennò le nozze devono essere annullate.
Insomma, due cittadine tranquille, a pochi chilometri dal confine belga, a meno di un’ora di auto da città olandesi come Breda e Eindhoven, le due Baarle nel 2014 sono state tirate in ballo in qualcosa di più grosso, perdipiù a sproposito, quando l’ex premier israeliano Benjamin Netanyahu, per minimizzare, ha paragonato la situazione dei coloni in Cisgiordania ai loro secolari incastri. Vincent Braam, sindaco di Baarle-Nassau, reagì, definendo irrispettose le parole di Netanyahu e inconciliabili le loro storie. Passeggiando per Baarle non si può che dargli la ragione, la cosa più minacciosa nei paraggi è un adesivo che propone la guerra, sì, ma contro il Var: non il dipartimento francese, la moviola in campo.