Intervista a Christian Taoutel, professore all’Università Saint-Joseph di Beirut per un bilancio della 'Saura', la rivolta nata per una tassa su WhatsApp
A oltre tre mesi dalla tragica esplosione del 4 agosto, il popolo libanese cerca di rialzarsi facendo affidamento su un orgoglio ammirevole e sui molti aiuti internazionali giunti da tutto il mondo. Quello che è entrato nell’immaginario collettivo come l’undici settembre libanese, ha sconvolto una società già sull’orlo del baratro. Nei quartieri più colpiti, le serrande dei negozi abbassate e i frammenti di vetri rotti per le strade fanno ancora da sfondo a una rinascita che fa fatica a ripartire.
Le due esplosioni sono soltanto la punta di un iceberg che divora la società libanese da anni. La forte corruzione all’interno della classe politica ha condotto il paese fino a una crisi economica senza precedenti. La totale svalutazione della lira libanese e l’impennata dei prezzi dei prodotti alimenti di base hanno ridotto il potere di acquisto quasi a zero condannando gran parte della popolazione sotto la soglia della povertà.
Le proteste per le strade della capitale sono riprese in questi giorni durante la ricorrenza dell’inizio della rivoluzione dello scorso ottobre. Il grido dei manifestanti fa eco alle stesse richieste non ancora esaudite di esattamente un anno fa: le dimissioni dell’intera classe politica considerata mafiosa e corrotta, la creazione di un nuovo governo indipendente dalle comunità religiose e soprattutto il cambiamento del sistema politico confessionale che caratterizza il governo libanese. La divisone delle cariche politiche avviene infatti tra le diverse comunità religione del paese: il presidente della Repubblica cristiano maronita deve collaborare con un primo ministro sunnita e un presidente del parlamento sciita, senza quest’intesa il governo perde la sua legittimazione costituzionale. Un sistema idealizzato per garantire una equa rappresentanza delle minoranze religiose, ma che di fatto ha reso il dialogo sempre più difficile favorendo di conseguenza le stallo politico.
Un anno dopo l’inizio della rivoluzione ripercorriamo gli avvenimenti, attraverso le parole del professor Christian Taoutel, responsabile del dipartimento Storia e relazioni internazionali dell’Università Saint-Joseph di Beirut. “La rivoluzione è stata un fallimento” ci confida il professore una volta entrati nel suo ufficio. I corridoi dell’università sono deserti, l’evoluzione della pandemia ha obbligato i docenti a spostare sulle piattaforme online tutti i corsi. “È stata un’illusione. L’illusione che la società libanese potesse unirsi in un solo movimento rivoluzionario per superare le divisioni confessionali”.
Come nasce il movimento rivoluzionario di ottobre 2019, e cosa ha scatenato l’esplosione della rabbia della popolazione?
La causa diretta che ha portato all’esplosione delle manifestazioni popolari del 17 ottobre 2019, chiamata in seguito ‘Saura’ che significa rivolta, è stata la proposta di una tassa di 6 dollari sulle comunicazioni passanti da internet, precisamente su WhatsApp. Considerando che WhatsApp è oggi in Libano, e forse nel mondo intero, il metodo di comunicazione più utilizzato, questa tassa è stata considerata inaccettabile dalla popolazione. Tutto è iniziato con 100 persone, un piccolo gruppo totalmente anarchico e senza una guida politica. Un movimento spontaneo di giovani che sono scesi a manifestare in piazza contro questa decisione.
Casualmente i manifestanti hanno incrociato per strada il convoglio di un ministro che si dirigeva verso il parlamento. Dopo che i manifestanti hanno bloccano il convoglio, la guardia del corpo del ministro ha commesso un errore imperdonabile. Per disperdere la gente, è sceso dalla macchina e ha sparato alcuni colpi di pistola verso il cielo. La reazione dei manifestanti è stata furiosa e hanno iniziato ad attaccare il convoglio. Il ministro stesso ha cercato di calmare la situazione scendendo dalla macchina e richiamando all’ordine la sua guardia del corpo. Era troppo tardi. In qualche ora i manifestanti sono passati da un centinaio a migliaia occupando il centro città. Spontaneamente le persone hanno iniziato a gridare ‘saura’, rivoluzione!
Le cattive decisioni si sono susseguite in una catena di eventi ormai inarrestabile. La polizia incaricata della protezione del parlamento ha cercato di reprimere i manifestanti con l’uso della forza. Le dimensioni ancora ridotte delle manifestazioni e il carattere pacifico non giustificavano la violenza della polizia. Questa terza provocazione è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. In un lasso di tempo di quattro o cinque ore, il numero di manifestanti ha avuto una crescita esponenziale, portando per le strade migliaia di persone.
Il governo libanese come ha gestito inizialmente la crisi e come si è comportato di fronte al moltiplicarsi delle proteste? Dove fondano le radici delle richieste del movimento rivoluzionario?
Il governo non ha voluto ascoltare i manifestanti, se lo avesse fatto si sarebbe potuta evitare la saura. Le rivendicazioni inizialmente miravano a un ministro e a una decisione specifica. Ma la pessima gestione del governo ha portato alla rivoluzione. Il silenzio in cui l’élite politica si è rifugiata per oltre una settimana ha moltiplicato il numero dei manifestanti. Questa collera è il risultato di una gestione governativa pessima che ha portare la popolazione libanese ad accettare gradualmente una situazione insostenibile. È il principio della rana e dell’acqua calda: se si mette una rana in una pentola d’acqua bollente salta fuori, ma se si riscalda l’acqua gradualmente la rana non se ne accorge. Lo stesso è successo alla popolazione libanese, ma la tassa su WhatsApp è stata l’umiliazione di troppo. Posso citare alcuni esempi concreti per spiegare queste umiliazioni. Nell’estate 2019 una crisi del petrolio ha colpito il Paese poco prima della rivoluzione. Lo stato non aveva più la liquidità per pagare l'approvvigionamento di petrolio, e per settimane la popolazione non poteva più rifornire le proprie automobili. Un altro esempio è la crisi dei rifiuti che da 3 anni colpisce Beirut ogni due o tre mesi. ‘The garbage city’, secondo il canale televisivo americano CNN, un’umiliazione oltre al disagio. Il tutto perché i soldi destinati alla ditta di gestione rifiuti scomparivano di punto in bianco.
Tutti questi problemi sono arrivati progressivamente ma la questione di WhatsApp ha toccato direttamente i giovani e sono loro che hanno dato lo slancio alla rivoluzione. La tassa avrebbe privato i giovani del loro ultimo piccolo lusso in un momento di forte cisi economica, l’unico modo per comunicare tra loro gratuitamente. 6 dollari al mese per telefono è una richiesta ingiustificata. Una famiglia di 4 persone avrebbe dovuto pagare 24 dollari al mese su uno stipendio medio di 400 dollari. Questo ha fatto esplodere la popolazione. In aggiunta alla pessima fama dell’attuale presidente della repubblica, Michel Aoun, il meno amato della storia del Libano.
Il movimento rivoluzionario è riuscito a superare almeno inizialmente le divisioni confessionali che hanno sempre caratterizzato il Paese; è stata un’illusione?
Questo movimento è riuscito a superare le barriere confessionali perché i problemi citati hanno colpito tutta la società libanese. Quando manca l’elettricità sia i musulmani che i cristiani non hanno accesso all’elettricità. Questi problemi hanno creato un denominatore comune nella popolazione. Nei primi giorni delle manifestazioni tutti sono scesi in piazza gridando lo slogan diventato poi simbolo della rivoluzione ‘kellon yaani kellon’, tutti sono corrotti, e tutti vuol dire tutti. Sull’onda di questo entusiasmo è successo qualcosa di totalmente nuovo nei quartieri sciiti. Le persone sono scese a manifestare contro lo stesso partito sciita di Hezbollah accusando i sui dirigenti di corruzione. Questa inedita reazione dei quartieri sciiti ha alimentato la speranza, una speranza molto ingenua, che la rivoluzione avrebbe potuto trascendere le religioni e le confessioni, innalzandosi al di sopra dell’appartenenza comunitaria. Hezbollah ha capito che stava per perdere la sua ultima carta e la sua reazione non si è fatta attendere. Il segretario generale del partito ha denunciato le manifestazioni attraverso un canale televisivo; è stato il primo politico che ha parlato attraverso un comunicato stampa. Hezbollah ha accusato i manifestanti di essere pagati dal governo americano e dalle potenze europee per schierarsi contro il suo partito. La popolazione sciita, a causa delle brutali repressioni dei miliziani del partito di dio, ha smesso di protestare. Una repressione molto violenta. Nei quartieri cristiani, sunniti e drusi le proteste sono continuate, ma il sogno di un fronte compatto e unito era ormai svanito.”
Saad Hariri è stato nominato primo ministro con l’incarico di costruire un nuovo governo. Lo stesso Hariri, esattamente un anno fa era stato costretto a dare le sue dimissioni di fronte alle richieste dei manifestanti. Come spiega questa nomina?
Le élite politiche di fronte alla rivoluzione si sono unite, tutti o quasi sono corrotti e tutti hanno avuto paura. Si sono uniti per impedire il cambio del sistema politico. L’unico che è stato intelligente è stato il primo ministro Saad Hariri. Hariri ha dato le dimissioni una settimana dopo l’inizio delle manifestazioni, prendendo le distanze da questa classe politica corrotta. Per questo oggi ha il diritto di ripresentarsi, le sue dimissioni legittimano la sua nuova candidatura. Le sue dimissioni sono state in parte forzate e in parte ponderate, Hariri ha rispettato le richieste dei manifestanti. Dopo un anno senza cambiamenti, si presenta per proporre un nuovo governo che possa uscire dalla crisi.
Quali sono le cause del fallimento della rivoluzione?
La rivoluzione è stata un ‘échec’ totale. Le cause di questo fallimento sono principalmente due. In primo luogo, i manifestanti non sono stati capaci di unirsi in un fronte unico. Le dispute tra le diverse frazioni della rivoluzione hanno indebolito lo stesso movimento. La mancanza di un leader è stata poi la principale debolezza che ne ha segnato la fine. Le uniche figure politiche che si sono proposte di guidare il movimento sono state vecchie figure politiche che hanno fatto parte del sistema corrotto fino a pochi anni fa.
La seconda causa, che ha definitivamente spento la rivoluzione, è stato il mancato supporto dell’Occidente. Le promesse e le belle parole americane ed europee non si sono trasformate in niente di concreto. Il sostegno mediatico americano non è bastato per spostare gli equilibri in favore dei manifestanti. Se veramente l’Occidente sosteneva le proteste libanesi avrebbe fatto pressione sull’Iran per indebolire il cordone ombelicale che lega il partito di dio alla potenza sciita. L’Occidente è anche stato responsabile per aver tardato a intervenire. La Francia ha aspettato l’esplosione del 4 agosto e la totale svaluta della lira libanese (un dollaro adesso sorpassa le 8'000 lire) per proporre un piano politico.”
Quanto hanno inciso sulla fine della rivoluzione le repressioni violente perseguite da Hezbollah?
Le repressioni di Hezbollah possono essere considerate un terzo fattore che ha segnato il destino della rivoluzione. Il partito sentendosi minacciato ha usato tutta la sua forza per contrastare le manifestazioni e distruggere la ‘saura’. La sua azione è stata feroce e mirata, andando ben oltre le semplici intimidazioni e umiliazioni. Le repressioni non hanno risparmiato assassinii e pestaggi. Attraverso i social media circolavano video impressionanti di manifestanti presi di mira e picchiati dai miliziani sciiti. Hezbollah ha usato ogni mezzo a sua disposizione per diffondere il terrore tra la gente. Sono state azioni terroristiche da parte di un regime del terrore.
La delusione delle parole del professore è condivisa dai molti giovani che hanno preso parte alle manifestazioni, eppure il sentimento è che la rivoluzione è stata soltanto una breccia nel muro che separa da anni la popolazione. L’esplosione nella sua tragicità ha lasciato un segno indelebile nelle coscienze libanese, ma ha anche riacceso la speranza di una popolazione unita al di là delle divisioni confessionali. ‘Beyrouth, elle est mille fois morte mille fois revécue’ citano le insegne sparse lungo le vie della città.