L'edizione 2020 della Vendée Globe sfonda sul web: boom d'iscrizioni per un'impresa che può trasformarsi in ossessione. 'E se devi svegliarti di notte, lo fai'
La vastità dell’oceano in cinquanta centimetri di schermo. Tra le onde virtuali, all’inseguimento di chi le onde, invece, le affronta per davvero. Quei trentatré protagonisti in carne e ossa della Vendée Globe, pazza impresa ideata negli anni Ottanta da tale Philippe Jeantot, un ex apneista nativo del Magascar che dopo aver lavorato sulle piattaforme petrolifere s’è dato alla navigazione d’altura e ha contribuito nell'arco degli anni a rivoluzionare il mondo della vela francese.
Quella che chiamano l’Everest dei mari, l’altra domenica ha inaugurato il nono capitolo della sua storia: durante un paio di mesi abbondanti, se va bene, trentatré tra uomini e donne si lanciano all'inseguimento di un sogno che per qualcuno si trasformerà in incubo, ovvero il giro del mondo in solitaria senza possibilità di scalo o assistenza (pena l’esclusione immediata), dalle acque francesi a quelle dell’Antartide e ritorno, al timone di scafi da regata da 18 metri che costano svariati milioni, gli Imoca 60.
Intanto, sugli schermi di computer collegati da ogni angolo del globo quelle trentatré imbarcazioni si confonderanno tra migliaia e migliaia di velisti della domenica o semplici skipper da divano. Quest'anno, infatti, all’edizione online della Vendée Globe sono iscritti ottocentosettanta mila navigatori digitali, un vero record che ha contribuito a mandare in sovraccarico più volte il sistema, costretto ad aggiornare ogni cinque minuti (nel frattempo diventati dieci...) le coordinate di quasi un milione di marinai virtuali. Tra cui, oltretutto, figurano pure illustri navigatori d’alto bordo: da Armel Le Cléac'h, nientemeno che il vincitore della precedente edizione, quattro anni fa, in 74 giorni, 3 ore, 35 minuti e 46 secondi, per la precisione, a Loïck Peyron, vecchio lupo di mare che in vita sua ne ha viste un po’ di tutti i colori. Anche a bordo di Alinghi, nella Coppa America di dieci anni fa. “L’obiettivo è concludere tra l'uno o il due percento dei velisti migliori” dice il sessantenne bretone alla rivista francese ‘Voile et Voiliers’. A dimostrazione di quanto rispetto nutra per i suoi avversari virtuali, pur se senz'altro meno navigati. «Il fatto è che, pur se la regata è partita da quasi due settimane, i piazzamenti sono ancora estremamente fuorvianti a seconda di dove ci si trova geograficamente – spiega Filippo Taiana, appassionato velista nonché vicepresidente del Circolo velico Lago di Lugano e della Federazione ticinese –. Infatti in testa ora c'è chi è più vicino in linea retta, in proiezione, a Capo Horn: magari, invece, guardando alle previsioni meteo a una settimana ci si accorgerebbe che sta per arrivare un fronte in grado di traghettare molto più velocemente verso sud chi adesso invece si trova più indietro, rispetto ad altri che fin qui hanno fatto meno strada».
Filippo Taiana è uno dei quasi diecimila svizzeri che hanno deciso di sfidare sé stessi a colpi di mouse su di un oceano atlantico letteralmente disseminato di barche (virtuali, s'intende), e per farlo il velista ticinese ha scelto la versione digitalizzata di La Fabrique, l'imbarcazione del ventisettenne skipper ginevrino Alan Roura. «È lui che rappresenta la Svizzera in quest’avventura, e noi lo supportiamo», spiega.
Poi, col passare del tempo è facile che quel semplice passatempo virtuale si trasformi in ossessione. Com’è successo a uno degli iscritti, pure lui svizzero, tra l'altro, che all’approssimarsi della tempesta tropicale al largo delle Canarie, ormai una settimana fa, s'era sorpreso a rivalutare la rotta in sala parto, tra una contrazione e l’altra di sua moglie che stava per partorire... «Già si può arrivare assolutamente anche a quei livelli (ride, ndr). Certo che, se penso al sottoscritto, a cui è bastata una disattenzione di qualche ora per finire oltre la quattrocentomillesima posizione... E questo solo per non aver virato al momento giusto. Quindi sì, se c’è da fare una virata alle tre di notte, ci si sveglia e la si fa».
Succede davvero? «Sì, io la sveglia alle tre l'ho già messa più volte in regate precedenti – continua Taiana –, quando anche la tecnica messa a disposizione dal software era un po' più basilare. C'erano proprio dei quadrati in cui si trovavano determinati 'slot' di vento, e tu dovevi sapere che in quel determinato momento avresti dovuto aggiustare le regolazioni. Adesso invece è tutto molto più fluido. E in più (ride) ora ho una bimba di due mesi e quindi la priorità ora è lei».
Ma si può quantificare quanto ci sia dire reale in tutta quella virtualità? «Diciamo che la situazione è estremamente agonistica. Ovviamente non c’è la parte di stress, il dover vivere la regata ventiquattr’ore su ventiquattro, né l’aspetto della regolazione delle vele… Diciamo che chi vince una sfida del genere ci riesce perché è bravo a guardare i fronti, a capire da che parte mettersi. La meteorologia qui è un fattore fondamentale. E poi c’è una cosa da dire: la piattaforma del gioco ti offre sì le previsioni meteo su cui puoi basare le tue decisioni, ma gli skipper virtuali più bravi si affidano a tutta una serie di altre fonti meteorologiche, come le previsioni fatte dagli americani, dagli australiani, eccetera. Previsioni reali, s’intende».
Ma quanto c’è di fondato nella simulazione al computer dei diversi fenomeni meteorologici? «Direi che le condizioni sono reali al cento per cento. Quelle del vento di sicuro, ma credo che nell’algoritmo per dare la velocità effettiva della barca venga presa in considerazione anche l’altezza delle onde. Quindi direi che da un certo punto di vista il realismo c’è. Infatti le condizioni sono quelle, e non soltanto ti confronti con altre centinaia di migliaia di regatanti virtuali, ma pure con i veri iscritti alla Vendée Globe. E puoi guardare alla scelta che ha fatto Alan (Roura, ndr) oppure Alex Thompson (tra i grandi favoriti per la vittoria e ormai in fuga dopo aver doppiato Capo Verde, ndr) e dirti “seguo questo” oppure “no, seguo quest’altro”, o magari semplicemente fare di testa tua».
Sulla lunga, lunghissima rotta che porta allo stesso porto da cui si era partiti, virtualmente e no, ventiduemila miglia nautiche dopo. «La regata d'altura ha regole tutte sue. Pur nelle poche esperienze che ho avuto, ho capito che una cosa fondamentale è la gestione dei turni, anche se questi poveri cristi sono in barca da soli, e quindi... (ride, ndr). L'altro aspetto decisivo è che se non fai un 'routage' meteo basato su previsioni attendibili, be', puoi anche non partire».
Qual'è la differenza tra un velista virtuale e uno in carne e ossa? «Diviamo che un velista reale deve avere almeno le capacità di un buon velista virtuale. Perché se non ha la capacità di capire la meteo, di prevedere cosa potrebbe succedere, interpretando le carte e riuscendo a gestire i tempi, rispettandoli...».
Del resto, ‘Virtual regatta’ non è un gioco: è una vera e propria simulazione, con tanto di appoggio da parte di World Sailing, la Federazione internazionale. «È così. In primavera, in piena pandemia, abbiamo deciso di trasformare le regate del nostro circolo velico in regate virtuali. Non soltanto è stato molto divertente, ed è servito a risollevare il morale in un periodo in cui non si poteva far competizione, ma ci ha permesso di scoprire un’alternativa in quei mesi invernali in cui praticamente non si può uscire, non tanto perché fa freddo, visto che non siamo al Polo, ma perché non c’è vento. Ed è uno strumento utile anche a chi fa competizione intesa come match race, siccome può continuare ad allenare l’aspetto tattico».
Ma i lupi di mare, quelli veri, come vedono l’avvento di certe tecnologie? «Oddio, i ‘veri’ velisti ci hanno messo un po’ ad accettare la cosa. La loro risposta era: vabbé, comodo fare il giro del mondo dal divano… Poi però si sono resi conto che, pur se è vero che sparisce completamente l'essere sballottati a destra e sinistra per mesi, in fondo non è null'altro che un simulatore. Estremamente sofisticato, oltretutto. Di conseguenza potrebbe essere utile anche a chi un giorno la Vendée Globe vorrà farla sul serio, per verificare se la sua capacità di prendere decisioni si tramuta in risultati positivi oppure no».
A proposito di risultati: nella sua Vendée Globe vissuta dietro a una scrivania, l'obiettivo vero di Filippo Taiana qual è? «Arrivare. In altre parole: non abbandonare per colpa di una posizione di classifica che ti porta a dire "non ne vale più la pena". In effetti, se si guarda alla mappa del mondo si vedono i vari sistemi depressionari che si muovono, e ognuno di essi è una specie di treno che porta a quello successivo. Ecco, se perdi il treno poi non lo recuperi più. Me l'avessero chiesto qualche settimana fa, avrei risposto che puntavo ad arrivare nel primo dieci per cento, ma adesso diciamo che ambisco a chiudere nella prima metà della classifica».