L’allarme climatico non gonfia più le vele dei Verdi. È uno dei paradossi dei nostri tempi. A prima vista la sempre più grave sofferenza del pianeta dovrebbe favorire le formazioni ambientaliste, che già negli anni 70 del secolo scorso avevano messo in guardia l’opinione pubblica sui guasti provocati dall’illusione di una crescita infinita. E invece sta succedendo il contrario: il consenso ai Verdi è in calo. Alle ultime tornate regionali tedesche sono precipitati: nel Land del Brandeburgo al 4,1%, in Sassonia al 5,1, in Turingia al 3,2. Anche in Svizzera tira aria di crisi. Le elezioni federali del 2023 hanno segnato una battuta d’arresto. L’analisi dei flussi ha certificato che solo il 54% di coloro che hanno votato ‘grün’ nel 2019 hanno rinnovato la fiducia, molti altri – un quarto abbondante – hanno optato per i socialisti.
Ogni Paese fa storia a sé, sulla base dei propri retaggi e dei propri percorsi politici. Ma il fatto che la flessione sia generale impone una riflessione. È come se ora l’appello a una reazione realmente incisiva sui meccanismi che riscaldano e avvelenano gli ecosistemi cadesse nel vuoto. Persino l’European Green Deal incontra viepiù resistenze, se non addirittura ostilità. La nuova composizione della Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen rispecchia questo mutamento di umori e sensibilità, riflesso di un ripensamento in atto.
Nel secondo dopoguerra, la Germania è stata la culla del movimento verde: epiche le battaglie per la chiusura dei bacini carboniferi e per una produzione energetica che non fosse imperniata sulle centrali atomiche, come invece aveva deciso la Francia. La catastrofe di Chernobyl aveva convinto anche i filo-nucleari a puntare su altri vettori energetici, in primis sul gas proveniente dai giacimenti russi, una fonte abbondante e a buon mercato. Sennonché l’invasione dell’Ucraina ha provveduto inopinatamente a rimescolare le carte. Sanzioni e sabotaggi hanno portato alla chiusura dei rubinetti, rincarando a dismisura la bolletta energetica. Vittima illustre è ora l’industria automobilistica, colpita da più tiri incrociati: oltre al rincaro dell’energia, la prospettata soppressione dei motori a combustione entro il 2035 e la concorrenza delle auto elettriche cinesi. Al disorientamento per il declino di un modello che ha riservato alla Germania il titolo di ‘locomotiva d’Europa’ si è poi aggiunta la rabbia, il timore di un melanconico crepuscolo, economico ma anche morale, com’era già accaduto negli anni turbolenti della Repubblica di Weimar tra le due guerre.
Ma se la livrea dei Verdi scolorisce, i socialisti non brillano. Anche in questo campo il sol dell’avvenire sta tramontando, fatta forse eccezione per la Spagna. I sondaggi danno la socialdemocrazia tedesca al 14-15%, superata sia dai democristiani sia dall’AfD (Alternative für Deutschland), i cui dirigenti coltivano sentimenti neo-nazisti. Sul fronte opposto è data in crescita la transfuga della Linke Sahra Wagenknecht, abile a intercettare il rancore di una multiforme platea di scontenti.
L’incertezza del quadro economico, le guerre in corso e lo spettro dell’impoverimento come effetto dell’erosione del potere d’acquisto non sono mai un buon segno per la salute e il funzionamento della democrazia. La prospettiva del declassamento sociale sospinge i ceti medio-bassi nelle braccia dei demagoghi e dei nazional-populisti, figure che giurano di riportare la propria ‘nazione’ agli antichi fasti, ai tempi in cui non c’erano né Bruxelles né Strasburgo, e nemmeno organismi e corti internazionali, sentenze e direttive, ma soltanto un insieme di popoli sovrani, ciascuno padrone in casa propria.
La tentazione del ripiegamento è insomma onnipresente, assieme a una diffusa sfiducia nei confronti della politica e dei partiti che la innervano. È una bile che circola nelle vene delle generazioni postbelliche che negli ultimi anni sono uscite dal ciclo produttivo (i boomer), come pure tra i giovani che si ritrovano gettati in un mercato del lavoro sempre più instabile e competitivo. I movimenti no-global, le campagne per i diritti civili e da ultimo le azioni spettacolari degli attivisti di ‘Last Generation’ non sembrano in grado di modificare i rapporti di forza che si stanno profilando in mezza Europa (negli Stati Uniti la sterzata a destra è già avvenuta).
La destra promette ordine pubblico, attacco alla libera informazione, filo spinato, blindatura dei confini, deportazione degli immigrati irregolari, riarmo ad oltranza; la sinistra risponde con la difesa dello Stato sociale, lo sviluppo sostenibile, la salvaguardia dell’ambiente e una politica migratoria dal volto umano. In estrema sintesi, il programma rossoverde mira a tenere assieme l’ecologia con la giustizia sociale. Nei prossimi mesi, con il voto anticipato in Germania, sapremo se questa formula otterrà ancora il consenso dell’elettorato, o se verrà spazzata via come una foglia secca dall’ondata color pece che si preannuncia.