Il Canton Ticino mostra segni di vulnerabilità particolarmente accentuati rispetto al resto della Svizzera e addirittura rispetto a molte regioni europee. Secondo i dati dell’Eurostat, il rischio di povertà in Ticino è tra i più elevati del continente, un dato che svela le criticità del mercato del lavoro e la presenza di dinamiche strutturali alle quali si cerca di porre rimedio agendo sulla fiscalità e sull’assistenzialismo, peraltro messo a dura prova dai tagli reiterati alla spesa pubblica. Le povertà non solo persistono nel tempo, ma si dilatano, in ragione di una serie di fattori che incidono sui bilanci delle economie domestiche, quali l'assicurazione malattia e pensioni meno generose.
Non solo non si vedono interventi concreti che possano suggerire un'uscita o almeno un contrasto a questi processi di pauperizzazione, ma il contesto internazionale rischia di aggravarlo ulteriormente. Se venissero attuate anche solo una parte delle misure ventilate da Donald Trump, come la defiscalizzazione, le misure tariffarie e la deregulation con aumenti fenomenali del deficit pubblico federale, si andrebbe dritti verso un rilancio dell’inflazione. E questo non solo a detta degli economisti e degli analisti, ma anche dell’andamento dei titoli obbligazionari i cui rendimenti, o tassi d’interesse, sono schizzati verso l’alto, appunto in vista di una ripresa a medio termine dell’inflazione altamente probabile. Uno scenario destinato a irradiarsi oltre i confini degli Stati Uniti. Con l’aggravante per la Svizzera di un prevedibile rafforzamento del franco, non esattamente la cosa migliore per le nostre esportazioni in un clima di guerra tariffaria. Basti pensare alla pressione sui costi salariali che ne conseguirebbe.
Un tratto caratteristico delle forme di povertà indotte da queste politiche economiche iscritte nel solco di una consolidata tradizione liberista non è solo la pervasività del fenomeno, il fatto che vanno a intaccare contesti sociali diversi (privato, pubblico, attivi, inattivi, residenti, stranieri), ma è il fatto che la povertà diffusa colpisce frammentando, generando non tanto una comunità di poveri, quanto piuttosto una moltitudine di soggetti spesso in lotta fra di loro, al punto che spesso si parla di “guerra fra poveri”.
Il problema della rappresentanza politica delle istanze di questa povertà plurale è quello di situarsi sul piano delle cause piuttosto che dei soli effetti. È sugli effetti delle politiche liberiste, sull’ampliamento delle disuguaglianze, sulla concentrazione verticale della ricchezza, sui tagli alla spesa sociale, che il populismo ha presa ed è vincente. Come ricorda Mosè Cometta nel suo bel libro ‘Giustizia spaziale. Transizione urbana e sfide ambientali’ pubblicato da Mimesis nel 2024, etimologicamente populismo significa fare popolo, fare comunità, unire per unire. Rispetto ai partiti storici, per i quali l’unione è un mezzo per raggiungere un fine, “Nel caso del populismo, e lo annuncia il nome stesso, essa [l’unione] è il fine stesso del movimento”. Trump ha fortemente beneficiato dell’inflazione e dei suoi effetti devastanti sulla vita della moltitudine di cittadini americani, trasformando il loro rancore in popolo elettorale, ma tutto fa credere che questo popolo sia solo un mezzo per raggiungere ben altri fini. Fini esterni a questa comunità, a questo popolo, non fini condivisi, interni alla comunità stessa, quei fini che rimandano a una lotta contro le cause strutturali della povertà.
Possono i partiti storici, la sinistra in particolare, rappresentare le cause strutturali all’origine dell’impoverimento di larghe fasce della popolazione? Sì, ma a una condizione, ossia quella di ripensare la temporalità, ripensare un futuro nel quale riconoscere sé stessa come inseparabile dalle lotte e dalle rivolte che si sono manifestate nella storia. Il problema della rappresentanza è tutto qui: rappresentare i bisogni, la sofferenza, l’inquietudine, la rabbia contro lo stato di cose esistente, in modo da darsi il tempo per prefigurare un futuro che non sia distopico, una semplice estensione del presente. Un futuro qui e ora, un tempo per sperimentare, pensare l’uguaglianza che, come dice Norberto Bobbio, è la capacità di sentire lo scandalo delle disuguaglianze. Occorre avvertire questo scandalo e non farsene mai una ragione.