È notizia di pochi giorni fa che è stato riscontrato un errore di calcolo nelle proiezioni finanziarie a lungo termine dell’Avs. Nel 2033 le uscite dell’assicurazione dovrebbero essere inferiori di circa 4 miliardi di franchi, ovvero del 6%, rispetto a quanto stimato in precedenza. L’errore riguarda anche gli anni precedenti, con una sovrastima complessiva di 14,1 miliardi di franchi. Queste proiezioni errate, che avevano influenzato i dibattiti sul futuro dell’Avs, sono state presentate in un momento cruciale, proprio in vista di una imminente nuova consultazione elettorale, questa volta sulla modifica della legge sulla previdenza professionale.
Questo recente sviluppo si aggiunge a un lungo elenco di scenari sull’evoluzione delle finanze delle assicurazioni sociali, in particolare dell’Avs. Già nel 1996, il Gruppo di lavoro interdipartimentale ‘Perspectives de financement des assurances sociales’ prevedeva una differenza tra contributi e spese di 6 miliardi di franchi per l’Avs nel 2015. Le previsioni si estendevano fino al 2025, anno in cui la differenza avrebbe dovuto raggiungere 11 miliardi di franchi.
Queste previsioni, tuttavia, condividono una caratteristica comune: nessuna è stata precisa. Mentre i meteorologi fanno previsioni sull’arco di una settimana al massimo, le previsioni in materia di assicurazioni sociali e di sistemi pensionistici si estendono per decenni nel futuro. Tra il 1996 e il 2035 ci sono circa quarant’anni, quasi quanti ne separano il 1996 dal 1945, dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Un’altra epoca, un altro mondo. Chi poteva prevedere allora cosa sarebbe avvenuto nel 1996 e come sarebbe stato quel periodo?
Per comprendere meglio queste difficoltà previsionali è utile esaminare come funziona l’Avs. L’Avs opera con un sistema di finanziamento a ripartizione, il che significa che è vulnerabile alle fluttuazioni economiche e al rapporto tra lavoratori attivi e pensionati. Nonostante queste sfide, l’Avs non ha mai affrontato problemi finanziari duraturi grazie a riforme che hanno ampliato la base contributiva, riflettendo un consenso popolare reiterato nel tempo. I problemi principali degli ultimi anni sono stati causati dai mercati finanziari. L’Avs ha un capitale di riserva, gestito da un fondo, che deve coprire almeno un anno di uscite e che viene investito per generare interessi, esponendosi però ai rischi del mercato. Le prospettive finanziarie dell’Avs stanno cambiando non tanto per ragioni demografiche, quanto per fattori economici come le crisi finanziarie frequenti, la precarietà lavorativa, i bassi salari e la scarsa qualità del lavoro. Questo dovrebbe portare a considerare l’incertezza delle proiezioni.
Gli errori sono possibili e quasi inevitabili quando si trattano fenomeni sociali. Vale il principio espresso qualche anno fa dal compianto Luciano Gallino: “Vi sono fenomeni della natura di cui è possibile costruire una spiegazione molto complicata solo assumendo che esistano delle variabili nascoste alla percezione dell’osservatore. Esistono invece fenomeni sociali che vengono spiegati con grande semplicità dallo stesso osservatore, nascondendo al pubblico la maggior parte delle variabili. Rientrano in questa categoria le proposte di riforma delle pensioni ipotizzate dal governo” (Luciano Gallino, ‘Le variabili nascoste’, la Repubblica dell’8 luglio 2003).
Nel contesto svizzero, questo principio si applica perfettamente alle proiezioni finanziarie dell’Avs. Le variabili nascoste, come le fluttuazioni dei mercati finanziari e le dinamiche economiche globali, rendono le previsioni estremamente complesse e spesso inaffidabili. Tuttavia, queste previsioni vengono spesso strumentalizzate politicamente per giustificare riforme impopolari o tagli alle prestazioni sociali. Si tratta di una forma di governance attraverso la paura, per utilizzare una definizione citata da Alain Supiot, professore emerito al Collège de France, dove i numeri vengono utilizzati per spaventare l’opinione pubblica e indirizzare il dibattito politico verso soluzioni che penalizzano i più vulnerabili. Le proiezioni, pur utili per orientare le politiche pubbliche, devono essere maneggiate con cautela e sempre accompagnate da una chiara comprensione delle loro limitazioni.
“È difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro”, diceva il fisico Niels Bohr in un noto aforisma che taluni attribuiscono a Mark Twain. Si potrebbe chiosare dicendo che predire il futuro è facile, azzeccarlo è difficile, come ci insegna la storia delle previsioni economiche e sociali.