Elefantizzare è un (mio) neologismo che rappresenta l’atto di ingigantire e appesantire tutto, con conseguente perdita della visione particolare e concreta. Spesso questa montagna elefantesca partorisce il classico topolino, creando più disagi che benefici. È quanto, a mio avviso, sta sempre più accadendo nella scuola ticinese.
Vari settori essenziali della scuola stanno infatti implodendo, diventando poi difficili da gestire nel lavoro quotidiano del docente. Fornisco alcuni esempi. La burocrazia e il carico amministrativo, aumentati quantitativamente negli ultimi anni e non sempre utili alla causa; il Piano di studio, troppo denso e ridondante e a volte lontano dalla vita reale di classe; la formazione continua, necessaria ma, anche qui, eccessivamente impostata sulle ultime (e passeggere?) teorie pedagogiche; l’esplosione dei costi della pedagogia speciale, per la quale uno sguardo critico e obiettivo permetterebbe di individuare i correttivi opportuni; il moltiplicarsi di figure affiancate ai docenti nelle aule, generando sovente poca chiarezza e deresponsabilizzazione; l’eccessiva enfasi data alle competenze trasversali a scapito delle conoscenze e dei valori, innescando (anche) la perdita di autorevolezza del ruolo dell’insegnante e arrischiando di formare cittadini con un bagaglio conoscitivo e culturale più fragile.
Queste criticità vengono scarsamente considerate dai vertici scolastici e sono spesso accantonate. È perciò necessario che le diverse componenti del panorama scolastico abbiano il coraggio di esporre questi (e altri) disagi e, se necessario, andare anche controcorrente, attraverso – beninteso – uno spirito costruttivo e senza alcun vittimismo.
In questo senso – considerando il delicato momento che la nostra società sta vivendo, che ovviamente si ripercuote nelle aule – è essenziale capire come la tendenza ad elefantizzare la scuola sia controproducente. Occorre tornare a privilegiare le priorità, le concretezze e rendersi conto che tra il dire e il fare non c’è solo di mezzo il mare, ma anche una moltitudine di insidie che vanno poi a influire negativamente sull’operato e la motivazione del docente e sul riscontro effettivo degli allievi. Ciò, assolutamente, non significa abbassare l’asticella delle richieste, oppure superficializzare l’insegnamento: deve semmai valere il contrario. Ma se il docente non può dedicare il tempo adeguato per la sua missione educativa, a causa di molti-troppi impegni non prioritari, il suo compito risulta sempre più proibitivo. Perché non è un supereroe!
Bisogna evitare, e il rischio è reale, che gli elefanti formativi testé enunciati (ed altri che si insinuano all’orizzonte) prendano il sopravvento e offuschino le bellezze del ruolo di insegnante: sarebbe come muoversi in una cristalleria, con conseguenze facilmente intuibili.