I dibattiti

L’Unione europea che conta, ora o mai più

(Ti-Press)

Come sarà il 2024, è la domanda che s’impone in questo delicato momento dei rapporti internazionali. Sarà un anno epocale, in quanto la metà della popolazione del pianeta è chiamata alle urne, con scelta parte libera, parte imposta; le autocrazie aumentano a scapito delle democrazie; il problema dei rifugiati sta diventando insolubile e il degrado ecologico irreversibile. Per Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia, la guerra tra Israele e Hamas può provocare un nuovo shock petrolifero, con gravi ripercussioni per l’economia mondiale. Quindi, si delinea un grave orizzonte, considerato anche il persistere della guerra russo-ucraina dall’esito incerto. Infatti, all’eroica resistenza della popolazione ucraina che ha vanificato la speranza di Putin di giungere a Kiev in 48 ore, è subentrata l’inquietudine dovuta alla stridente superiorità della popolazione russa: tre volte quella dell’Ucraina (quindi il dover far fronte a un esercito nettamente più numeroso), alla penuria di armi e munizioni, al fallimento della controffensiva di giugno, alla stanchezza dopo due anni di combattimento, quasi senza rotazione al fronte, nonché all’incertezza e ai ritardi degli aiuti dell’Occidente (persino Biden ha cambiato aggettivo: il sostegno “fin quando necessario” è diventato “fin quando possibile”). Quindi, anche gli Stati Uniti sono stanchi e preoccupati, guardano alla Cina e a Taiwan, mentre metà della loro popolazione è diventata isolazionista nei confronti dell’Europa, comprensibilmente, considerati gli assurdi commenti di certi opinionisti europei. La guerra tra Israele e Hamas ha poi aggravato questi problemi. Per contro, la Russia ne beneficia, in quanto distoglie aiuti dell’Occidente all’Ucraina; per di più, ha riorganizzato l’economia di guerra già introdotta nel 2014 e pratica la mobilitazione forzata, senza contare le draconiane restrizioni della libertà e le sanzioni letali contro i dissidenti (emblematico è il recente martirio di Alexei Navalny), per cui al fronte appare favorita. Tuttavia, in Europa, ancora il 72% delle persone interrogate approva il sostegno all’Ucraina ciò che, unitamente al recente sblocco dei 50 miliardi di aiuti dell’Ue, sinora oggetto di ricatto del putiniano Orbán, costituisce all’attenzione sia di Putin sia degli Stati Uniti la prova della determinazione dell’Europa. Allora, che dire di chi formerà il Nuovo Mondo?

Putin? È pronto a negoziare il cessate il fuoco, a condizione di tenersi quello che ha conquistato. Sa che non è possibile; però quello che vuole realmente è quello che segue l’armistizio, ossia le discussioni relative al trattato di pace, perché sa che può farle durare finché gli garba, come lo attestano i “pourparlers” di Ginevra relativi alla Georgia in corso sin dal 2014! Nel frattempo, verrebbero sospese le procedure di adesione dell’Ucraina e degli altri candidati all’Ue; cesserebbero gli aiuti dell’Occidente all’Ucraina e le sanzioni economiche calmerebbero il fronte interno; potrebbe continuare a “russianizzare” la parte conquistata, sradicandola da ogni elemento riferentesi all’identità ucraina, perché, per lui, l’Ucraina non esiste, fa parte della Russia e, soprattutto, potrebbe continuare ad armarsi e a cercare alleanze in vista della ripresa delle ostilità più cruente di quelle in atto se non venisse accettato quanto pretende.

E Trump? È la vergogna dell’America, ma più di lui lo è il Partito Repubblicano che non lo ha eliminato dalla politica quando era ancora possibile senza il pericolo di suscitare una guerra civile. Però, quello che ora conta è quello che farebbe se dovesse tornare alla Casa Bianca: revocherebbe o ridurrebbe gli aiuti all’Ucraina; si ritirerebbe dalla Nato (voleva già farlo da presidente e pochi giorni fa, da candidato, ha prospettato l'uscita degli Stati membri in mora con il contributo); inoltre, in nome della “America First”, inizierebbe una guerra economica generalizzata, come fatto durante il suo primo mandato, per cui gli alleati, per sopravvivere, dovrebbero seguirlo, sconvolgendo totalmente l’economia mondiale. E non è tutto, perché di fronte all’aumento del pericolo russo, la tentazione di questi ultimi (specie quelli confinanti con la Russia) di concludere accordi bilaterali con gli Usa sarebbe grande, causando quindi la destabilizzazione dell’Occidente “collettivo”, come Putin ironicamente chiama i membri della Nato. Quindi, l’Ue sta vivendo un momento storico, esistenziale. Infatti, una vittoria di Putin metterebbe fine all’inviolabilità delle frontiere e renderebbe verosimile la ricostituzione dell’impero sovietico imploso nel 1999: il sogno di Putin.

“Si prepara la Pace”. È il grido di speranza risuonato al recente forum di Davos. Però senza Putin la speranza sarebbe vuota. Quindi, una speranza che rievoca quella della pace di Monaco nel 1936, tradottasi in un clamoroso tranello per gli Alleati. Allora? Allora è giunta l’ora della verità: la situazione geopolitica è evoluta al punto che l’Ue, per sopravvivere, e con essa l’Occidente, specie in funzione di un possibile ritiro, totale o parziale degli Usa dalla Nato, deve senza più tentennamenti e senza attendersi aiuti dagli Stati Uniti, mandare a Putin un messaggio chiaro, categorico e concreto, ossia un considerevole persistente aiuto all’Ucraina. A tal fine, la deputata europea Nathalie Loiseaux, in più dei 50 miliardi già sbloccati, propone di accordarsi per un grande prestito, almeno 100 miliardi di euro, sul modello di quello dei 750 miliardi deciso a seguito della pandemia, associando allo stesso il Regno Unito rimasto nella Nato, nonché la Finlandia e la Svezia. Simile provvedimento, oltre a dimostrare concretamente a Putin che mai potrà vincere la guerra, per cui gli conviene una pace ragionevole (la diplomazia è anche mostrare i denti e non solo “embrasson nous”?) metterebbe fine alle continue ostruzioni del putiniano Orbán e stimolerebbe l’industria bellica europea evitando alla Nato la morte cerebrale, temuta da Macron. Non solo, ma l’Ue riacquisterebbe nel mondo l’autorità politica, economica, sociale, culturale e morale di un tempo: l’Europa, senza ombrello, l’Europa di Jean Monet e Jacques Delors, “l’Europe des Lumières”… ora o mai più!