Tanto si è scritto in questi giorni sulle colonne di questo giornale, relativamente al dibattito che la richiesta di credito sottoposta al Gran Consiglio per sussidiare il restauro della sede Ofima di Locarno ha generato.
Sono intervenuti politici di levatura nazionale e cantonale, esperti di sviluppo regionale, storici, e ognuno ha espresso la propria legittima e interessante opinione. Inizialmente il dibattito era incentrato sull’opportunità che un’azienda produttrice e fornitrice di energia elettrica che non presenta difficoltà economiche chiedesse allo Stato – e quindi alla collettività – di partecipare alle spese dei costi per il restauro del proprio stabile amministrativo, oggetto di tutela ai sensi della Legge cantonale sui beni culturali.
Contributo dopo contributo però l’attenzione si è spostata dapprima verso lo sfruttamento delle acque nel nostro Cantone e i danni arrecati all’ambiente, poi sui beneficiari degli introiti generati da questo sfruttamento. Sia tecnici che politici, sia Oltralpe che in loco.
Se da un lato questo excursus ha il merito di aver ricapitolato buona parte della storia dell’idroelettrico nel nostro cantone e tematizzato il discorso delle contraddizioni della liberalizzazione del mercato dell’energia, dall’altro ha deviato totalmente l’attenzione dal nocciolo della questione: il contributo pubblico in sostegno del restauro di un bene culturale d’interesse cantonale, ossia di un “monumento”.
L’edificio oggetto del contendere è stato progettato e realizzato sul finire degli anni 60 del secolo scorso da Paolo Mariotta, rinomato architetto locarnese di fama internazionale che proprio nello stabile amministrativo Ofima vede la propria nona sinfonia quale, per citare il messaggio governativo, “notevole esempio di architettura moderna del secondo dopoguerra nel Canton Ticino”.
Nel 2017 il complesso comprendente l’immobile e il suo ampio parco – uno dei pochi spazi verdi rimasti nel quartiere Campagna di Locarno soffocato dalla speculazione edilizia – sono stati inseriti dall’Ufficio dei beni culturali del Cantone tra gli edifici considerati meritevoli d’interesse. Anche la Città di Locarno ne ha riconosciuto l’importanza annoverandolo nel censimento dei beni culturali cittadini con specifica variante di Pr approvata dal Consiglio comunale nel 2020. La tutela con la quale la comunità riconosce un valore in un elemento culturale lo investe di una dignità che lo pone al pari livello di altri beni storici, indipendentemente dalle sue specificità (tipo di bene, periodo storico, stile... ) e, soprattutto, a prescindere dai suoi proprietari poiché patrimonio di tutti. Lo spirito che ha spinto la popolazione ticinese a dotarsi di una legge sulla protezione dei beni culturali che prevede anche la possibilità di sussidiare parte delle opere di restauro è quello di proteggere e valorizzare i beni culturali e promuoverne la conoscenza e il rispetto. A titolo d’esempio a Locarno sono monumenti tutelati anche il castello visconteo, Casa Rusca o la chiesa di Sant’Antonio, per citarne solo alcuni.
Nel dibattito che seguirà quello sui giornali e caratterizzerà la votazione in Gran Consiglio occorrerà dunque rimettere la chiesa, o meglio il monumento, al centro del villaggio considerando, senza preconcetti, il modo appropriato – anche in un periodo di difficoltà economica come questo – di intervenire in sostegno di quello che è in effetti patrimonio culturale della collettività ticinese tutta.