Negli ultimi anni si è fatto attuale il dibattito sulla socialità, favorito dall’evoluzione che ha preso, in quasi tutti i Paesi, specie del mondo occidentale, l’assetto democratico sociale ed economico della società, caratterizzato da una crisi generale che ha provocato un aumento demografico delle classi più povere, causato da una evoluzione negativa della distribuzione delle ricchezze. Un fenomeno cui ha dato un contributo non indifferente l’aumento della litigiosità nell’ambito del dibattito tra le categorie sociali, aggravato dall’irrazionalità e dall’incoerenza delle guerre in corso, sia in Ucraina sia nel Medio Oriente, con il dominio delle mentalità imperialiste.
La libertà e la socialità sono due valori che si consideravano opposti, o almeno in competizione. Poi, con l’affermarsi delle idee già comparse nell’Illuminismo e consolidate durante la Rivoluzione francese, cioè con il passaggio dall’Ancien régime a una nuova concezione della società e degli organi che presiedono al suo funzionamento, nacque la democrazia. Nel suo ambito comparve un’inedita maniera di concepire i rapporti tra la socialità e la libertà. Nel XIX secolo, il predominio fu della prima: il XX secolo segnò una svolta, dovuta soprattutto all’ideologia e alla politica dei partiti socialisti: l’importanza degli argomenti sociali, nel contesto di una più marcata attenzione ai ceti sociali modesti e alle relative grosse preoccupazioni finanziarie, andò crescendo. Le due guerre mondiali, con le difficoltà anche di ordine economico da esse create, non spensero comunque le esigenze di una maggiore considerazione sociale. Non si possono dimenticare episodi di indubbio significato, tale l’uscita nel 1930, in pieno regime fascista, di un libro come “Socialismo liberale” di Carlo Rosselli, una combinazione delle due concezioni sopramenzionate. Un’impostazione dagli effetti politici con il “Partito d’azione” fondato per la partecipazione alla Resistenza; una presenza valida, alla quale non fece riscontro un risultato elettorale: nel 1948, infatti, esso portò allo scioglimento.
Le cose cambiarono con le riforme e i provvedimenti che caratterizzarono gli anni successivi alla Seconda guerra. Grazie agli aiuti dall’esterno, e alla forza politica ed elettorale dei partiti di sinistra, l’intervento dei poteri pubblici a favore di una pronunciata sensibilità sociale, sotto forma di aiuti e sovvenzioni ai cittadini in maggiore difficoltà, si fece positivamente sentire, sia a favore di una sanità pubblica atta a sopperire alle esigenze di tutte le classi sociali, sia nell’ambito di una pubblica istruzione volta a offrire a tutti di accedere a conoscenze per un migliore inserimento nella vita sociale. Senza dimenticare altri settori della vita collettiva, messi in grado di offrire a tutta la popolazione un tenore di vita dignitoso. Furono, per le nazioni democratiche, i decenni dello “Stato sociale” e dei suoi benefici. Le cose mutarono drasticamente, negli anni 70, con la nascita dello slogan del “meno Stato”, che ebbe un notevole successo: meno competenze ai poteri pubblici, meno spese statali.
Contro questa mentalità che afferma una rinuncia alle conquiste sociali, occorre reagire rivendicando il riconoscimento della pari dignità tra la libertà e la socialità, ampliando l’elenco dei diritti sociali (dalle cure mediche e ospedaliere all’educazione in scuole pubbliche che permetta di affermarsi a tutti, indipendentemente dalle classi sociali; da un guadagno dignitoso alla possibilità di partecipare ai modi di coltivare la propria cultura nei vari settori senza elevate spese ecc.). È ovvio che questo coinvolgimento di tutti i cittadini esige un impegno finanziario dei poteri pubblici. È pure improbabile una risposta positiva di tutta la classe politica. È qui che il discorso deve assumere un tono più generale, e cioè aprendo la proposta di un assetto generale, con un riconoscimento costituzionale di tutti i diritti sociali.
Le iniziative finora sorte non sono tutte positive. Ad esempio, l’attività parlamentare dei deputati del Plrt si volge in una direzione diversa, che si inquadra nell’ambito delle proposte e delle prese di posizione di questo partito sulla politica fiscale: l’iniziativa per una diminuzione delle imposte a favore dei ceti più facoltosi, fortemente sostenuta dai vertici liberali, in particolare dal presidente del Plrt Speziali e dalla capogruppo Gianella. Così anche l'iniziativa “antiburocratica”: che la burocrazia possa a volte dare fastidio ad alcuni cittadini può essere vero, ma non da farne un problema fondamentale. Questo oggetto è la prova di una concezione della politica del partito citato, come efficacemente descritto lo scorso 5 ottobre dal direttore de laRegione Daniel Ritzer quando afferma: “Non sarà la proposta di un articolo costituzionale antiburocratico, né tantomeno un inconcludente ‘Piano d'intervento contro l’erosione del potere d’acquisto’ (altra trovata liberale radicale) a risollevare le sorti di un partito che appare scollegato dalla realtà”.
Visto l’esito delle elezioni del 22 ottobre, le prospettive per attuare l’eguaglianza dei diritti sono assai difficili; ma non si possono dimenticare i successi del passato, che hanno segnato l’inizio di un’evoluzione che mira a raggiungere una reale uguaglianza.