Sicuramente è molto più facile parlare che essere in un’aula e gestire un gruppo di 20-25 allievi e tutto ciò che ci sta intorno. In una società e una scuola in continua trasformazione, si è discusso molto (e molto se ne discuterà ancora) d’inclusione, di superamento dei livelli nelle scuole medie, di qualità dei consigli di classe, di forum dei docenti, regolamenti, diritti, sanzioni, attività a favore dell’accoglienza dei ragazzi in difficoltà, di sviluppo di competenze personali e sociali, di cooperazione e spazi di scambio, valutazioni, progetti d’istituto, d’integrazione e rispetto delle differenze e delle specificità del singolo allievo, di comunicazione e di collaborazione con le famiglie e la comunità e la rete di servizi, d’organizzazione degli spazi e dei tempi scolastici, d’analisi di situazioni pratiche e professionali, di lavoro di rete interdisciplinare, di mediazione, di cambiamento della griglia oraria, d’interventi in situazioni difficili di crisi o di suicidio, di prevenzione della violenza, delle sostanze psicotrope e della sindrome del burnout dei docenti, di disagio giovanile, di utilizzo responsabile delle tecnologie, di cambiamenti climatici, di migrazioni, d’educazione sessuale sì o no in classe ecc. Vi sembra poco?
L’insegnante-educatore deve fare i conti quotidianamente con i programmi delle singole materie (il suo mandato principale, che se fatto bene, rappresenterebbe già un importante fattore di protezione e di prevenzione, tema questo che meriterebbe un approfondimento da parte di tutti gli attori scolastici), ma anche con le regole relative alla vita scolastica, con lo sviluppo della personalità dell’allievo, che si vuole tollerante, autonomo, critico e responsabile, cittadino attivo, in linea con gli articoli e le finalità della legge sulla scuola.
La realtà nella nostra scuola è ben diversa dalla percezione che alcune persone possono avere dall’esterno, poiché i docenti sono spesso confrontati con il moltiplicarsi di situazioni complesse in cui devono ricoprire quasi di più il ruolo di educatore o d’assistente sociale (a volte anche quello di operatore della prevenzione o della promozione della salute), che quello dell’insegnante. Educare trasmettendo certi valori non può certo risolvere tutti i mali, soprattutto quando, a volte, se ne fa carico unicamente la scuola, mentre il resto sembra andare per conto suo, però può di certo contribuire a promuovere un determinato clima favorevole all’apprendimento.
Nella scuola, qualche importante miglioramento è già stato apportato. È però difficile insegnare ed educare in un clima da stadio e in una campagna elettorale ininterrotta da anni (elezioni cantonali, presto le federali, poi quelle comunali), se non c’è il sostegno incondizionato dell’opinione pubblica e del Governo. Il docente per fare ciò deve avere un supporto dalle famiglie, ma soprattutto dal mondo politico ed economico, che gli permetta di tenersi sempre aperto al desiderio di imparare cose nuove e aggiornato per difendere e promuovere i valori fondamentali in una società sempre più complessa e accogliere e sostenere gli allievi che per natura possono incontrare delle difficoltà importanti nella loro traiettoria di crescita identitaria, fisica, psicologica e sociale. Per fare questo, il docente deve avere a disposizione strumenti e tempo per mettere alcune parole su tematiche e situazioni molto delicate, il cui numero cresce di anno in anno, in ogni classe e in ogni ordine di scuola.
Ne consegue che tutte le parti in gioco dovrebbero contribuire a riflettere approfonditamente per il miglioramento di una politica scolastica, incentrata sul rispetto dei bisogni e dei diritti degli allievi, ma anche di chi ne detiene la loro responsabilità giuridica, etica e morale, formativa ed educativa per gran parte della giornata.