I dibattiti

C’è del vero e dell’utile nell’ironia

(Ti-Press)

Verrà giorno (se prima non ci sarà il giudizio universale causato dalla bomba atomica) in cui ci sarà il giudizio dell’umanità sulle barbarie, l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia putiniana. Ma quale giustizia? Ecco cosa insegna la Storia. La “Realpolitik” per far cessare il conflitto al più presto possibile, costi quel che costi, e riconciliare l’Occidente con la Russia e parte dell’Oriente, è quindi l’amnistia? È possibile: lo ha fatto, in un contesto non così grave ma significativo, il generale De Gaulle quando, nel 1945, ha riconciliato la Francia pericolosamente divisa in due clan irriducibili, graziando Maurice Thores, segretario generale del Partito comunista, il quale, durante tutta la guerra, rimase a Mosca, quindi disertore, quindi condannato a morte per legge. Giunto a Parigi non solo venne graziato, ma fu pure nominato ministro nel governo provvisorio del generale, il quale ottenne così la collaborazione dei comunisti per la restaurazione delle istituzioni e dell’economia e vi riuscì. La stessa cosa potrebbe fare, se fosse rieletto, Joe Biden: graziare Donald Trump, nonostante i suoi reati inauditi, addirittura anche contro la nazione e lo Stato, per evitare il pericolo di una nuova guerra civile dovuta alla irresponsabilità del Partito repubblicano che non lo elimina dalla scena politica.

Allora, a cosa potremmo assistere? Putin, nel suo palazzo faraonico sul Mar Nero, trascorrere indisturbato, magari anche venerato dagli irriducibili ammiratori, gli ultimi anni della sua vita, attorniato dai suoi correi più importanti: il Patriarca Kirill, suo assistente spirituale, e i ministri della guerra, dell’interno, della propaganda e degli affari esteri. Oppure al suo soggiorno all’estero, in Cina o in una Repubblica delle banane, come nel 1918 ha potuto fare il Kaiser Guglielmo II, rifugiandosi in Olanda, nonostante l’art. 227 del Trattato di Versailles che prevedeva la creazione di un Tribunale “ad hoc” per giudicarlo.

Però “est modus in rebus”, quindi, presto o tardi, dovrà pur esserci un nuovo processo di Norimberga per giudicare tutti i crimini, in particolare quello massimo, di aggressione, perché genera gli altri (i crimini di guerra e quelli contro l’umanità), per colpire soprattutto il potere assoluto: lo zar e i suoi correi.

È quindi interessante conoscere cosa hanno potuto ragionevolmente opporre al Ministero pubblico i difensori nel processo di Norimberga del 1945: la pusillanimità delle democrazie liberali di fronte ai genocidi perpetrati da Hitler in un breve lasso di tempo, dalla conquista del potere, nel 1933, all’invasione della Polonia nel 1939, che ha scatenato la guerra; il riarmo della nazione e la rimilitarizzazione della Renania, in crassa violazione del trattato di Versailles del 1919; la notte dei cristalli; l’incendio del Reichstag; l’annessione dell’Austria; l’annessione dei Sudeti; il primo campo di concentramento (Dachau) e il patto Molotov-Von Ribbentrop. Quale fu la reazione delle democrazie liberali? Nessuna; anzi, aveva suscitato nel mondo democratico molti ammiratori, i giochi olimpici a Berlino nel 1938 e le sfilate oceaniche a Norimberga, al punto che il despota si sentì onnipotente e immune cosicché, a conclusione della difesa di allora, nell’aula risuonò l’ammonimento del filosofo Karl Jaspers: “Allorquando ci si rimprovera, a noi tedeschi, di avere, sotto il terrore, assistito senza far niente alla perpetrazione di crimini e all’affermazione del regime (hitleriano), si dice la verità. Ma noi abbiamo il diritto di ritenere che gli altri, senza il terrore, lasciarono, passivamente, compiere quello che è successo e anche, senza saperlo, incoraggiarlo pensando fosse un affare che non li concerneva perché si produceva in un altro Stato”.

La lezione però non è servita; anzi, da quando Putin è al potere (2008) nonostante lo scioglimento del Patto di Versavia, coscienti o incoscienti, le democrazie occidentali gli hanno ripetutamente inviato segni di debolezza e messaggi di buone intenzioni, al punto che il cancelliere tedesco Scholz, continuando le speranze della cancelliera Angela Merkel, condivise dal presidente Nicolas Sarkozy, l’ha inconsciamente eretta a dottrina chiamata, in Ucraina, “scholzing” o, secondo il presidente Emmanuel Macron, “non umiliare Putin”, tutti dimenticando il monito del presidente Mendès France: “Le mezze misure non sono misure”. E Putin che conclusione ha potuto trarre da cotanta bonomia? Che non ci sarebbe mai stata nessuna pericolosa reazione contro la messa in opera delle sue aggressioni imperialiste e che, sicuramente, il conflitto non si estenderà mai sul suo territorio. Così ci fu e c’è la Georgia, poi la Crimea, poi il Donbass e, infine, l’Ucraina. E, passato all’atto, di fronte alle terribili conseguenze che, in ogni caso, ricadranno anche sul suo popolo, come fa Putin a ricredersi senza perdere la faccia e il potere, insomma, se non fosse una tragedia, una manna per i futuri difensori!

E che dire dei putiniani occidentali, consci o non consci, ossia gli ignavi, i tolleranti interessati, i gentili, gli ossequiosi e i partigiani? Continueranno a fornire argomenti e immagini ai futuri difensori nel “nuovo Norimberga”, facilitando il loro compito di spiegare il “come mai è potuto succedere e continuare a lungo”, magari con un po’ di ironia, sì di ironia perché, è il sociologo e teologo Peter Ludwig Berger che lo dimostra, c’è del vero e dell’utile nell’ironia, per cui si addice anche al tragico.