Le donne, e solo le donne, hanno l’enorme potere di assicurare la continuità della specie. Si chiama “maternità”, parola venerata e scomoda allo stesso tempo. Nei Paesi dove contraccezione e interruzione della gravidanza sono legali, avere figli non è più un destino, finalmente è una scelta, ma è in diminuzione. Sociologi e politici, lanciano l’“allarme denatalità” e si interrogano sulle cause del fenomeno. Secondo la giornalista A. Bocchetti “… non fare figli è il giudizio più severo che le donne danno a questa società, alla sua organizzazione, alle scelte delle sue priorità… Questa è la guerra delle donne, che non è come quella degli uomini che fa morti. La guerra delle donne non fa più vivi”. È forse in via di estinzione il desiderio di maternità? Gli studi sembrano dimostrare che non è così. Tuttavia, sempre più donne non vogliono figli o rinunciano a causa di ostacoli molto concreti e già ben noti: redditi e congedi insufficienti, scarsità di asili-nido, di alloggi accessibili, di orari flessibili ecc. Perciò la maternità è come una corsa a ostacoli, un freno alla realizzazione professionale, un costo insopportabile, una fatica eccessiva o un lusso inaccessibile.
C’è poi un altro ostacolo: la “violenza ostetrica” (anche se involontaria o “solo” verbale) presente nei Paesi dove gravidanza e parto, pur non essendo malattie, sono molto medicalizzati. È all’origine di nuove raccomandazioni Oms, di un rapporto Onu e di una risoluzione del Consiglio d’Europa. Uno studio del Chuv rivela che il 30% delle mamme ha un ricordo traumatico del parto, e uno studio della Sup di Berna che il 27% ha subito una forma di coercizione. Secondo la revisione di una dozzina di studi le conseguenze per un parto successivo sono: rinuncia, dilazionamento o cesareo (in Svizzera 1/3 delle nascite). Il chirurgo e ricercatore Michel Odent ha notato empiricamente che nei Paesi con tassi elevati di cesarei la natalità è molto diminuita. Ad esempio, Taiwan: oltre il 50% di cesarei e natalità allo 0,8%. Causa o conseguenza? Le eventuali correlazioni andrebbero studiate.
Il fatto è che la natalità è imbrigliata nella barriera fra politico e privato. Angela Notari (autrice e attivista per i diritti delle mamme) osserva che sarebbe uno scandalo pubblico se il 30% dei passeggeri di una compagnia aerea serbasse ogni volta un ricordo traumatico del volo: la politica interverrebbe. Perché per il parto non succede? Perché la cultura patriarcale relega la maternità (unica vera e irriducibile differenza fra maschi e femmine) nella sfera privata, quella invisibile! Tiene questo “potere femminile” sotto controllo patologizzandolo, come si faceva una volta con le donne (“isteriche”) che si ribellavano ai modelli patriarcali. C’è una “congiura del silenzio” secondo Silvia Vegetti Finzi che scrive: “Mettere al mondo e crescere un figlio non è un processo lineare e paritetico ma modulare e specifico. Paternità e maternità non sono funzioni intercambiabili”. Per riequilibrare simbolicamente il potere fra donne e uomini, oltre alle pari opportunità occorre valorizzare la maternità (parto compreso) come differenza. Un diritto da proteggere e un lavoro da remunerare perché è un bene comune da mettere al centro della sfera pubblica, pena la crescente denatalità!