In un articolo apparso su laRegione lunedì 20 marzo, prendendo a pretesto due nomine nel settore culturale, alcune persone si appellano al governo invocando più rispetto per la cultura. Il rispetto è un valore importante, ma prima di invocarlo o pretenderlo, a me pare che andrebbe quantomeno praticato. Verso le persone, ma anche verso la cultura.
Partiamo dal rispetto per le persone. Meriterebbero rispetto in primo luogo le due persone nominate alla testa dell’Archivio di Stato e della Pinacoteca Züst, che dovrebbero almeno essere messe alla prova prima di metterne in dubbio le qualità, perché a detta di alcuni la loro nomina non sarebbe stata fatta come si deve; una di esse dovrà lasciare un impiego a Berna, dare il preavviso ordinario che si impone in questi casi e organizzare il suo trasloco e quello della sua famiglia in Ticino, cosa che prende diversi mesi (a maggior ragione avrebbe dovuto farlo una delle persone candidatesi e poi non scelte, ticinese che lavora all’estero).
Meriterei forse rispetto anch’io, che fino a prova del contrario sono ancora in carica fino al 6 aprile, giorno dell’insediamento del nuovo governo; non sono a metà servizio, men che meno a metà stipendio, conto di onorare la mia funzione fino alla fine lavorando come ho sempre fatto e non vedo proprio per quale ragione debba lasciare sul tavolo cose incompiute senza motivo. Non mi soffermo sugli inconsistenti accenni al presunto clientelismo di cui ho tristemente dovuto leggere in articoli precedenti relativi a questa stucchevole querelle, accenni semplicemente patetici peraltro buttati lì con una leggerezza disarmante, come pure tralascio la ridicola accusa di aver diminuito il ruolo della direzione della Pinacoteca, che fino al mio arrivo al Decs non aveva nemmeno un regolamento proprio e tantomeno un/a direttore/trice, regolamento e posizione che ho creato io (oggi il/la responsabile della Pinacoteca è un/a conservatore/trice/direttore/trice, inteso come conservatore/trice prima e direttore/trice poi).
Merita rispetto infine anche la direttrice della Divisione della cultura e degli studi universitari (Dcsu), che ha avuto il merito di aver fatto partire le procedure di concorso per tempo, togliendo tra l’altro queste due posizioni dalla macchina dei risparmi appena messasi in moto (taglio del 20% del grado di occupazione), cosa che tra l’altro eviterà a chi mi segue di compensare un 30% proprio nella cultura, e che ha evitato che, con la scusa del prossimo cantiere per la ristrutturazione logistica della Pinacoteca, la stessa si ritrovasse senza responsabile per anni per motivi di risparmio.
Ma anche rispetto per la cultura. Davvero il rispetto per questo elemento essenziale della vita civile lo si vuole misurare su come viene gestito un concorso, prendendo la cultura a pretesto o in ostaggio per esprimere qualche antipatia e/o togliersi qualche sassolino dalle scarpe? Davvero vogliamo confondere la cultura con una questione di gestione delle risorse umane? Non ci sono altri parametri un tantino più oggettivi e pertinenti per parlare di cultura? Guardiamoci attorno e osserviamo quel che succede nel nostro cantone dal profilo dell’offerta culturale, per merito dei tanti attori che la propongono con passione, ma anche dello Stato e dei Comuni che la sostengono.
In realtà è da tempo che si vuole montare un caso sul nulla per dire altro. Infatti, dopo l’inutile fumo, finalmente, a un certo punto gli autori dell’appello arrivano all’arrosto, ovvero alla critica alla direttrice della Dcsu di usare forme di gestione “accentratrici” e “poco attente ai bisogni degli istituti e delle persone che la cultura in questo cantone la promuovono e la fanno”. Una bella frase, molto vuota, parecchio ingenerosa, probabilmente dovuta ad antipatie personali e/o a qualche no a richieste di sostegno o di aumento dei contributi per questa o quella proposta culturale, nella logica del “se il Cantone paga è sensibile alla cultura, se no non lo è”, o del fastidio di dover sostanziare con dei documenti la richiesta di sostegni pubblici, confondendo burocrazia con buona organizzazione. Anche l’indispensabile crescita di un’alleanza forte tra Cantone, Comuni e mondi della cultura, perorata dagli autori dello scritto, è senz’altro un bell’obiettivo, ma dopo dodici anni alla testa del Decs posso dire che la forza dell’alleanza molto spesso si è rivelata direttamente proporzionale alle risorse finanziarie messe dalle casse cantonali; finché il Cantone ha potuto mettere più soldi le alleanze si sono trovate, quando invece è stato il turno dei Comuni, con qualche lodevole eccezione, le cose sono andate altrimenti.
Chi verrà dopo di me a dirigere il Dipartimento che si occupa anche della cultura saprà certamente fare di più e meglio di quel che ho fatto io. Glielo auguro di cuore. Mi auguro pure che sappia ascoltare le ragioni di chi avanza critiche precise, come ho cercato di fare in questi anni, ma sappia anche prendere le misure agli appelli come quello di lunedì scorso, che invocano rispetto ma praticano il pregiudizio, che scomodano la cultura quasi solo per esprimere simpatie o antipatie personali.