Quando si parla di distribuzione della ricchezza, l’attenzione è quasi sempre concentrata sul 10% dei più ricchi, o sull’1%. Naturalmente è giusto focalizzare l’analisi su questa fascia di super ricchi per i motivi che vedremo in seguito, ma forse è utile iniziare dal 50% più povero. Nel 1981 il 50% della popolazione svizzera più povera deteneva il 5,1% della ricchezza totale, nel 2020 la percentuale è scesa al 3,7%. Siccome è difficile avere dati attendibili sull’evoluzione della ricchezza totale del Paese, non si sa se ci sia stata una perdita anche in termini assoluti o solo percentuali, ma è indiscutibile che metà della popolazione detiene una quota marginale della ricchezza nazionale. A parziale consolazione questa evoluzione ha riguardato praticamente tutti i Paesi industrializzati. Passiamo ora al vertice della piramide. Nel 1981 il 10% della popolazione più ricca deteneva il 54,5% della ricchezza totale, mentre nel 2022 questa quota è salita al 62,7%. Se andiamo ancora più nel dettaglio e consideriamo l’1%, abbiamo che nel 1981 deteneva il 22,3%, percentuale che è salita al 31,2% nel 2021.
Nella realtà le differenze sono probabilmente ancora più accentuate, perché nel computo della ricchezza sono calcolati i valori degli immobili che, come sappiamo, sono valutati secondo il valore di stima e non secondo il valore di mercato. Naturalmente questo vale per tutti i proprietari, ma il totale “del beneficio” cambia se si è proprietari di un appartamento o di una piccola casa d’abitazione o di uno o più palazzi a Zurigo o a Ginevra. La distribuzione è un po’ più equilibrata se consideriamo i redditi. Secondo le analisi dell’Ufficio federale di statistica il rapporto tra il 20% più povero e quello più ricco è di 5,2 (significa che il 20% superiore ha un reddito medio 5,2 volte superiore al 20% inferiore). Questo risultato è possibile grazie ai trasferimenti (varie forme di prestazioni sociali), altrimenti il valore sarebbe ben più elevato. Sul lungo periodo questo rapporto è stato relativamente costante fino al 2014, poi è leggermente salito.
Un indicatore significativo è l’indice di Gini. Se questo indice è zero significa che ci troviamo di fronte a una perfetta distribuzione, mentre un valore di 1 significa che una sola persona detiene tutto “il malloppo”. Se consideriamo il reddito disponibile, vediamo che negli anni l’indice è passato da circa 0,27 agli inizi del secolo a un po’ più di 0,30 nel 2020. Le cose cambiano però se consideriamo la ricchezza o il patrimonio. Secondo i dati di Avenir Suisse, il coefficiente di Gini sale a 0,85 a dimostrazione di una concentrazione della ricchezza nelle mani di un gruppo relativamente ristretto di persone. Inoltre, sempre secondo i dati dell’Ufs, nel periodo dal 2005 al 2018, il suo valore è continuamente aumentato, e questo in tutti i cantoni e il Ticino è uno di quelli che ha registrato l’aumento più marcato. La media della zona-euro è di 0,68, mentre in Italia è 0,61.
Dare una spiegazione di questa evoluzione è estremamente complicato, perché intervengono molti fattori. Possiamo partire da una delle conclusioni di Thomas Piketty nel suo libro “Il capitale nel 21esimo secolo”, nel quale evidenzia come nel Novecento i patrimoni siano cresciuti a una velocità doppia rispetto alla crescita dei salari. È quindi evidente che il divario non può che accentuarsi tra la maggioranza della popolazione che vive prevalentemente di redditi da lavoro e la minoranza che invece dispone di patrimoni importanti.
Bisogna correggere questa situazione? La risposta è complessa ed è prevalentemente politica e sociale. Da un punto di vista prettamente economico, la risposta è naturalmente positiva, perché un sistema con troppa disparità non può funzionare nel lungo periodo. E l’unico sistema per correggere le disuguaglianze è la tassazione dei patrimoni. Da un punto di vista politico non c’è invece nessun consenso, anzi si amplia sempre di più l’idea opposta, cioè che è necessario ridurre ulteriormente il carico fiscale e c’è addirittura chi avanza l’ipotesi di una flat tax, cioè un’aliquota uguale per tutti.
Ma a stupire di più è l’indifferenza sociale. L’idea che sia normale che la disuguaglianza di ricchezza e patrimonio possa essere elevata o addirittura crescente sembra accettata dalla maggioranza della popolazione. La spiegazione potrebbe essere nel fatto che questi dati non sono facilmente accessibili e comprensibili, ma non sembra sufficiente. Appare più verosimile “l’assuefazione” all’idea abilmente propagandata che l’accumulo di ricchezza da parte di un numero marginale di persone sia cosa giusta e utile per il sistema economico.