Faccio outing: non guardo il Festival di Sanremo dai tempi di "Trottolino amoroso dudu dadada" (la canzone di Mietta e Minghi). Questo non significa che io non sappia, spesso mio malgrado, che cosa succede sul palco dell’Ariston ogni anno. Le battute sessiste del presentatore, il vestito di taluna e talaltra, quella gaffe e quell’altra ancora, la lite fra Morgan e Bugo: tutto rimbalza su social, giornali, al punto che, come ha scritto un amico critico letterario romano, Massimiliano Manganelli, "Il Talmud è più breve dei commenti che in una sola settimana riesce a produrre il festival di Sanremo", battuta che ho trovato piuttosto divertente.
Che dire, non è – solo – snobismo (anche, lo ammetto), il carrozzone m’annoia, la musica leggera contemporanea, parafrasando Battiato, mi butta giù, ma forse sbaglio, perché quelle giornate esprimono qualcosa di un Paese e di quali sono le tendenze in atto, non tanto quelle legate all’abbigliamento e al trucco. Intendo proprio i modelli, anche contrapposti, che un Paese – parliamo anche un’area del mondo – vuole darsi. Che modelli ci ha proposto l’ultima kermesse?
Si è tanto parlato, durante questa edizione, di Chiara Ferragni, la quale ha monopolizzato l’attenzione con un discorso alle donne – dove al centro, però, c’era lei stessa, che non è un’operaia o un’attivista o una pensatrice, ma una donna che ha fatto successo con gli abiti, il mascara, i rossetti e gli ombretti. Cose che si vendono, che generano marketing e introiti, parecchi introiti. Chiara Ferragni, come il suo compagno di vita Fedez, non sono solo persone, sono aziende. Quando calcano una scena, portano sul palco un brand. Il pericolo di affidare i temi politici alle aziende è questo: che cambia il vento, cambia la moda, e improvvisamente il femminismo e altri temi politici importanti, per cui un’area politica e una certa zona intellettuale si battono da anni, non sono più così cool, non si sposano più con le frasette di Instagram, il vestito color cipria e gli ultimi dettami in fatto di colore delle unghie: e quindi puff, in un attimo si cambia bandiera, e addio parità, diritti, ecologia, con buona pace di chi aveva sperato che il vento stesse davvero cambiando. L’idea di affidare a un brand, a influencer modaioli tematiche di stampo politico mi butta ancora più giù delle (immagino) melense e scontate canzonette sanremesi.
Che modelli ci ha proposto, quindi, l’ultimo Sanremo? L’idea che la scelta sia fra questi due poli: liberal-conservatore e liberal-progressista. Che il sistema attuale con le sue falle possa essere anche lontanamente messo in discussione è fuori discussione, proprio. Mentre scrivo questo articolo penso che oggi facciamo la raccolta differenziata, che abbiamo contenitori che ricicliamo, che mio fratello lavora in una startup che cerca di far decollare un progetto di ricircolo per diminuire il packaging, ma non basterà. Che i nostri genitori ai nostri tempi non avevano coscienza ecologica ma consumavano meno. Che tutto quello che facciamo è una goccia nell’oceano (pieno di detriti). E che ancora troppe fasce della popolazione mondiale soffrono e sono schiacciate da una parte del mondo ricca e viziata. Tutto questo forse non riusciranno a fermarlo i nuovi movimenti giovanili, figuriamoci – mi perdoni – Ferragni, che con il capitale – e non solo con Fedez – ci va a nozze.