Facendo riferimento all’importante lettera inviata dal signor De Paris a laRegione il 18 dicembre, vorrei far notare che in Europa e in Svizzera alcune organizzazioni denunciano da anni le pessime condizioni di sfruttamento in cui si trovano a lavorare gli operai, ma soprattutto le operaie e i bambini dei Paesi del Sud del mondo.
La campagna "Vestiti puliti" è portata avanti dal 1989 con il nome di "Clean Clothes Campaign" e vede un’alleanza formata da sindacati e Ong che lavorano con più di 250 organizzazioni in tutto il mondo.
Purtroppo i problemi non ci sono solo in India, ma anche in Cambogia, in Cina, in Vietnam, in America Latina ecc. dove le grandi catene di distribuzione degli abiti delocalizzano, cercando luoghi dove i salari siano il più concorrenziali, sfruttando la manodopera locale che vi lavora perché non ha alternative...
Come non ricordare gli incendi e gli incidenti occorsi nelle fabbriche di vestiti in Bangladesh dove sono morte centinaia di donne costrette a lavorare dodici ore al giorno in un ambiente insalubre, da cui non potevano uscire neppure per andare ai servizi igienici?
Questa è la triste realtà dei vestiti che indossiamo. In Svizzera Public Eye, Claro (centrale d’importazione dei prodotti del commercio equo in Svizzera) e nella Svizzera italiana l’Associazione Botteghe del Mondo e l’Acsi denunciano da anni questo stato di cose con dossier a esso dedicati e con denunce mirate.
L’alternativa, come diceva il signor De Paris, è cercare di comprare dell’abbigliamento informandosi da dove proviene e chi lo ha fabbricato, utilizzandolo più possibile e non facendosi ingolosire dai prezzi troppo bassi – qualcuno ne paga le conseguenze –.
Alcuni di questi abiti e accessori si possono trovare nel commercio equo che certifica che essi sono fabbricati dando il giusto guadagno alle persone che li confezionano nel Sud del mondo, con fibre il più possibile naturali e senza usare pesticidi: ciò crea un circolo virtuoso, sia a livello ecologico, sia a livello sociale, perché, se i genitori possono lavorare con un salario dignitoso, i bambini riescono ad andare a scuola e non vengono sfruttati in queste fabbriche paragonabili a un inferno.
Qualcosa si sta muovendo solo perché i marchi si rendono conto che fanno una pessima campagna a sé stessi, ma senz’altro c’è moltissimo ancora da fare: dovremmo alzare ancora di più la voce per denunciare questo terribile stato di cose, rendendo attenti le consumatrici e i consumatori!