La carcerazione in istituti chiusi, l’ospedalizzazione in cliniche psichiatriche e la deportazione in istituti dell’Italia o della Svizzera tedesca sono le soluzioni, evocate dalla nuova magistrata dei minorenni avvocato Fabiola Gnesa. (laRegione del 9.11.22, pag. 6). La giudice ricorda di avere ventidue lunghi anni di esperienza nel settore (da evidenziare nel ventennio a regime leghista). Personalmente, dopo trentatré anni passati quale funzionario pubblico e capo del servizio tutele e curatele della città di Locarno, capisco la sua frustrazione e il senso di sconfitta che prova al cospetto di cifre come i 1’046 procedimenti penali contro minori, aperti dal mese di gennaio a oggi. Tuttavia sono del parere che soprattutto la massima autorità preposta alla giustizia minorile del Cantone non può arrogarsi il diritto d’insultare minorenni e giovani adulti, classificandoli nel gruppo della criminalità giovanile. Per il migliaio e oltre di giovani implicati, dei quali alcuni di essi non ancora giudicati, il diritto vieta esplicitamente di definirli, pubblicamente o privatamente, dei criminali. È l’ombra lunga questa dell’abituale costume leghista, oggi un poco moderato, quando in passato con il suo domenicale ha profondamente leso, spesso impunemente, l’integrità personale di decine di adulti. Nessun minorenne o giovane adulto può essere registrato nell’ambito criminale; il soggetto è semplicemente una persona immatura, da accompagnare con rispetto, empatia e pazienza, su un cammino diverso da quello intrapreso e compromesso, spesso gravemente, da un ambiente famigliare e sociale degradato. Sono certo che queste situazioni di degrado famigliare, in ventidue anni di lavoro, la signora Fabiola Gnesa ha avuto più occasioni di conoscerle perfettamente. Mi chiedo, nel costume odierno nel quale per non offendere un nero si cambia persino il nome al delizioso moretto coperto di cioccolato, come si possano offendere e stigmatizzare i nostri figli anche nel caso in cui la nostra massima autorità preposta alla giustizia minorile si dispera "perché non sa dove collocarli". La carcerazione, l’ospedalizzazione coercitiva in istituti psichiatrici e la deportazione sono abitualmente, come nel razzismo, frutto dell’odio e del desiderio di vendetta. La figlia o il figlio, soli fra le pareti domestiche, confrontati con genitori esausti, vivono il preludio di una solitudine e di un abbandono che per loro, con il carcere, l’ospedalizzazione psichiatrica e la deportazione, si protrarrà in un deprimente, insopportabile e infinito futuro.