Gianni Righinetti, nel suo editoriale sul CdT del 10 ottobre dal titolo "Le luci accese del vicino e lo Stato educatore", propone una riflessione sul modo di affrontare la prospettata penuria energetica. Eccone la lapidaria conclusione: "Diciamo no allo Stato educatore, quello che si è spinto anche a suggerire la doccia in coppia, mentre un forte sì alla libertà di agire secondo la nostra coscienza. Anche così si otterrà il risultato sperato, senza generare tensione e attriti che ci costerebbero tanta energia d’ordine psicofisico. Potremmo chiamarlo senso della misura".
La questione dell’energia in fondo è emblematica di diverse altre questioni. Sostanzialmente è un problema di offerta insufficiente (poco importa se di energia, forza lavoro, soldi o risorse materiali) per far fronte all’ipertrofia della domanda. Questo squilibrio porta il sistema ad andare in sofferenza, fino al rischio di collassare. L’ingiunzione di Righinetti è in sé interessante, poiché indirettamente ci interroga su come regolare un sistema che perde o non trova il suo equilibrio dinamico sostenibile come è il caso ora per l’energia, ma come succede anche per i premi di cassa malati, la previdenza, la finanza, il cambiamento climatico, la biodiversità, la scarsità d’acqua o tanti altri ancora.
Ebbene la proposta regolatoria per evitare il punto di rottura o quantomeno di sofferenza "psicofisica" è quella di fare affidamento al senso di coscienza e della misura di ogni singola persona, ovvero a quella che in area liberale è genericamente chiamata "responsabilità individuale".
In gergo sistemico si direbbe che Righinetti propugni una regolazione dal basso (bottom-up) e bocci la regolazione dall’alto (top-down) tipica dell’intervento statale o dei vertici di qualsiasi sistema. In sé una cosa più che desiderabile, tuttavia ad una semplice lettura intuitiva, verrebbe da chiedersi come sia mai possibile che rispetto ad esempio ai premi di cassa malati, si sia giunti all’attuale punto di sofferenza. Non abbiamo attivato il nostro senso di coscienza e della misura perché non ce l’hanno detto? Oppure lo abbiamo attivato – perché non ce lo facciamo certo dire dallo Stato educatore – ma è difettoso? Oppure ancora, non c’è bisogno di attivarlo perché in realtà non è vero che siamo in sofferenza, ma è solo l’immaginazione isterica ed estremista delle solite sinistre malelingue?
C’è qualcosa che non quadra. Se andiamo allora a vedere più da vicino com’è costituito il nostro senso di coscienza e della misura, non possiamo non riconoscere come il pensiero liberale e in particolare la sua evoluzione neoliberale abbia educato, (in)formato e condizionato in maniera pavloviana (vedi pubblicità e retorica politica) le nostre coscienze a concepire una crescita indeterminata dei consumi, della produttività e dell’espansione competitiva di mercati e profitti, rimuovendo ogni senso del limite.
Se vi è un pensiero invece che è nato e cresciuto per realizzare la sostenibilità, la moderazione e la sobrietà dei consumi nel rispetto dei limiti dell’offerta, quello è inconfutabilmente il pensiero ecologista, che guarda caso viene poi etichettato come estremista, ideologico o isterico proprio da chi non vuole e non riesce a concepire il senso della misura.
Sorge allora l’interrogativo a sapere se questo appello alla coscienza e alla responsabilità, rappresenti un reale desiderio di moderare i consumi (e sarebbe una "notiziona" per un editoriale del CdT!) oppure sia un semplice escamotage per eludere la questione attraverso la ben conosciuta diffusione della responsabilità, dove vale il detto "tutti responsabili, nessuno responsabile" con buona pace della nostra coscienza.