Il 25 settembre saremo chiamati a pronunciarci su due proposte che riguardano l’Avs: l’aumento dell’età di pensionamento delle donne da 64 e 65 anni e l’aumento dell’Iva dal 7,7 all’8,1%. Meno spese, quindi, per la soppressione di un anno di prestazioni e più entrate, grazie all’Iva. Secondo i fautori della riforma, le finanze dell’Avs sarebbero in gravi difficoltà, il disavanzo peserà sulle nuove generazioni e, infine, la riforma sarebbe favorevole alle donne. Ma è proprio così? Vediamo.
In primo luogo non è vero che l’Avs ha difficoltà finanziarie. Il rapporto tra le fasce 20-64 anni e quella dei più 65 si è modificata. Però, in passato molte delle persone con meno di 65 anni non avevano attività rimunerate. Inoltre, la generazione del baby-boom che sta attualmente andando in pensione decrescerà a decorrere dagli anni 2030 e con essa anche le prestazioni erogate dall’Avs.
Le finanze dell’Avs non dipendono dal numero di coloro che pagano i contributi, bensì dalla massa salariale totale. L’aumento delle prestazioni è sempre stato finanziato essenzialmente grazie all’incremento della massa salariale.
Non è vero che le nuove generazioni sono penalizzate. Il sistema Avs è solido, costa molto meno delle casse pensioni e garantisce in modo perenne le prestazioni, senza nessun problema.
Lo scorso anno le prestazioni dell’Avs sono ammontate complessivamente a 47’027 milioni di franchi. Le entrate a 47’907 milioni. La maggiore entrata, che tiene conto anche degli interessi maturati sul deposito nel fondo di compensazione, è stata di 2’583 milioni. Nel 2032, secondo le proiezioni dell’Ufas, senza nessuna modifica, avremmo un disavanzo di 3’751 milioni. Il fondo di compensazioni ammonterebbe tuttavia ancora a 43’439 milioni. (2021: 49’741).
La situazione, quindi, anche senza modifiche, sarebbe tutt’altro che drammatica, soprattutto se si tiene conto che a partire da quella data le condizioni, dal profilo demografico, subirebbero una notevole modifica.
L’Ufas indica anche quanto succederebbe con la modifica in votazione, qualora Avs 21 fosse accolta. Le prestazioni diminuirebbero (a 62’896 milioni), le entrate aumenterebbero (a 60’225 milioni), come pure il fondo di compensazione (a 56’440 milioni).
Come si può constatare, senza modifiche fra dieci anni avremmo un disavanzo di 3’751 milioni. Se volessimo garantire un pareggio dei conti, anche in considerazione che sarebbe più che opportuno aumentare le rendite, ci sono altre modalità per raggiungere questo scopo. Il primo consiste nel ritoccare i contributi. Basterebbe un aumento dell’1% (metà a carico dei datori di lavoro e metà a carico dei dipendenti): esso frutterebbe infatti circa 3’500 milioni. Non sarebbe necessario aumentare l’età di pensionamento né delle donne, né degli uomini. Il contributo complessivo (attualmente 10,6%) rimarrebbe molto modesto, soprattutto se confrontato con quelli delle casse pensioni, spesso superiori al 25%.
Ci sorge quindi un dubbio sul perché il Consiglio federale e il mondo economico critichino con tanta insistenza l’Avs. Come abbiamo visto, l’Avs non deve accumulare somme importanti, ma versa subito ai pensionati quanto raccolto dal personale attivo. Con il sistema delle casse pensioni si devono invece accumulare somme gigantesche. Il capitale dell’Avs ammonta infatti a soli 50 miliardi. Quelli delle casse pensioni a 1’000 miliardi. Tali somme permettono a banche e assicurazioni di realizzare grossi benefici. E di versare generosi stipendi ai loro dirigenti. L’Avs non permette invece alle banche di fare affari.
Bocciare Avs 21 è quindi necessario, per salvaguardare l’Avs, una nostra preziosa istituzione, permettere un suo ulteriore sviluppo e, naturalmente, per impedire l’aumento dell’età di pensionamento delle donne e un aumento dell’Iva.