Un giorno, sul fronte russo/ucraino, le armi taceranno, ma un nuovo scabroso problema continuerà a dividere le parti: chi pagherà gli enormi danni causati dalla guerra? Il diritto pubblico internazionale, in teoria, è lapidario: lo Stato colpevole di una guerra di aggressione deve riparare i danni subiti dallo Stato aggredito e dalla sua popolazione, quindi la Russia, Stato aggressore. Perché in teoria? Lo spiega la Storia, come sempre.
Nell’Antichità, la riparazione per i danni di guerra, "il tributo", non conosceva limiti: il vincitore, anche se aggressore, aveva un potere assoluto sul vinto e la sua popolazione, determinante era soltanto il suo interesse, per cui capitava persino che fosse riguardoso nei confronti del vinto per farne un alleato. Quindi, la guerra era un mezzo legale per arricchirsi, tanto è vero che, nella Grecia, il "tributo" figurava nel budget quale normale entrata e Tito Livio riferisce che "era un vecchio costume anche per i Romani", quindi "vae victis!" (guai ai vinti!).
Nel Medioevo, a seguito dello sgretolamento del Potere centrale, la guerra non era più una relazione tra Stato e Stato, ma tra nobili, i quali si davano mutuamente continui conflitti, perciò "il tributo", monetizzatosi in "bottino" o "riscatto di prigionieri", spettava al signorotto vincitore e ai suoi vassalli. È appunto per mettere fine a questi conflitti che, nel 1095, il papa Urbano II, realista e abile politico, promosse, all’insegna del famoso "Dio lo vuole", la prima Crociata, in altre parole, unificò ed esportò le guerriglie con uno scopo comune "nobile".
Poi, dopo la graduale dissoluzione del Sacro Romano Impero con la consecutiva formazione della Monarchia assoluta e la nozione patrimoniale dello Stato, il concetto di sovranità si afferma sempre più sino a diventare l’unico principio giuridico ammesso. Perciò, la guerra, attributo principale della sovranità, diventa legittima, ossia giusta per ambo le parti e, con la pace, le parti si tenevano "reciprocamente sdebitate di tutti i mali e danni che ci si è causati durante le ostilità", come detto nel trattato di Ryswick (1697) tra Guglielmo II d’Inghilterra e Luigi XIV. Però, a partire dalla fine del Settecento, l’indennità di guerra riappare sotto forma di denaro dovuto dallo Stato vinto a quello vincitore o di cessione di parte del suo territorio a quest’ultimo (l’Alsazia e la Lorena dalla Francia alla Germania, nel 1870). Infine, la Grande Guerra (1914/18), causando enormi danni a seguito della sua generalizzazione ed estensione, nonché dell’introduzione di nuove armi di sterminio, ha dimostrato in modo clamoroso che una indennità in denaro è impossibile, inopportuna e ingiusta.
Allora quale altra soluzione? Il trasferimento in natura di prodotti? Ma per trasferirli, occorre produrli e i produttori dello Stato creditore si opporrebbero contro detta concorrenza estera. Allora la cessione allo Stato creditore di parte del territorio dello Stato debitore, ma sulla stessa vive una popolazione, la quale non è più, come un tempo, una moneta di scambio, tanto più che, con ogni probabilità, susciterebbe l’irredentismo suscettibile di degenerare in guerra civile.
Come mai qualsiasi indennità sarebbe ingiusta? Perché, a seguito dell’emergenza dell’individuo da semplice oggetto a soggetto del diritto pubblico internazionale, la relazione non è più esclusivamente da Stato a Stato, ma anche da Popolo a Popolo. Quindi il Popolo diretto responsabile giuridicamente, dei suoi atti però, non di quelli dei suoi governanti.
Applicati all’attuale conflitto tra Russia e Ucraina, questi concetti a cosa porterebbero? Chi è l’aggressore? Indubitabilmente la Russia, lo ho ammesso Putin stesso, tanto è vero che ha detto e scritto che l’Ucraina non esiste in quanto fa parte della Russia, sorretto in questo dal patriarca ortodosso di Mosca Kirill, notoriamente suo amico, il quale, durante la celebrazione della Pasqua ha solennemente proclamato che "tutto quello che Putin fa è giusto, perché sta proteggendo la Grande Santa Russia dai mali dell’Occidente", quindi "Dio lo vuole", come per le Crociate! Però, quali mali? La Libertà e la Democrazia liberale. È quindi evidente che Putin, ordinando l’aggressione di uno Stato sovrano, si è reso colpevole del crimine di guerra previsto dall’art. 8 bis dello Statuto del Tribunale penale internazionale. E il Popolo? Il Popolo, in queste condizioni, non può non credere a Putin e al suo Papa, perciò, che colpa può avere? Nessuna, lo ha ammesso il Vice Primo ministro ucraino, Mykhailo Fedorov; "Siamo coscienti del fatto che la società russa si trova dietro a una cortina di propaganda e di censura", quindi nessuna responsabilità. Questo non significa che le parti si tengano "reciprocamente sdebitate di tutti i mali e danni causati", come nel trattato di Ryswick. Al contrario, l’Ucraina e la sua popolazione dovranno essere risarcite, ma non con un "tributo" a carico della Russia, in quanto ricadrebbe tutto sul suo Popolo innocente, bensì con un "contributo", in proporzione delle rispettive possibilità, a carico dei contendenti, Russia e Occidente. Anche l’Occidente, perché, in più della solidarietà economica, con gli "aiuti", è coinvolto, come lo erano gli Stati Uniti già prima del 1942 con i prestiti e noleggi (gratuiti), escogitati dal presidente Roosevelt per superare la neutralità imposta dalla dottrina Monroe, dei quali la Russia ne ha beneficiato molto.
In definitiva, si impone una solidarietà economica internazionale fattuale, la quale fa sì che non vi sono più Stati vincitori e Stati vinti, ma soltanto Popoli costretti a ricostruire e a ripristinare il mercato internazionale nell’interesse di tutti. È appunto a quanto giunge la divisione del lavoro, già caldeggiata da Adamo Smith (1723-1790). Allora, come non pensare a Marx: la sottostruttura (l’economia) determina la soprastruttura (le Istituzioni) anche a livello internazionale? Ma la morale? Certo: Putin, anche se dovesse sfuggire alla Giustizia, sarà confinato a vita in Russia con il marchio infamante di genocida. La stessa fine farà chi lo ha sostenuto. Tuttavia, vi sono sofferenze che non hanno prezzo. Soccorre allora Sant’Agostino e, dopo di lui, Kant e Joseph de Maistre: la guerra è una specie di purificazione collettiva. Basta? Quaggiù no, però, consola, in parte, la teoria di Schumpeter (1883-1950), la "distruzione creativa", confermata, Piano Marshall aiutando, dalla ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale e dai consecutivi "trenta gloriosi".